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01
dicembre 2009
fino al 6.XII.2009 Migropolis Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa
venezia
L’ennesima mostra su Venezia? No, un’analisi sul mondo e sulle nuove regole economiche e sociali dettate dai flussi di migranti. Che, muovendosi, incontrandosi, scontrandosi, generano nuove identità culturali...
L’arte al servizio della sociologia, dell’antropologia,
dell’economia, nel non luogo simbolo della compenetrazione culturale, della
vendita e della svendita dei principi identitari, della convivenza e della
connivenza, in cui la perdita della memoria storica e la sua antitetica
conservazione coesistono in molti racconti umani che, oggi come ieri, parlano
di contemporaneità.
Come i grandi teleri di Vittore Carpaccio narrano una società
rinascimentale veneziana multietnica e in parte già orientata al global net, così oggi figure allogene di
venditori di merci contraffatte si stagliano pacificamente sullo sfondo di una
Basilica sempre più metafora di un culto laico e depotenziato dei fasti che
furono. Una conquista multiculturale che ha coinciso in maniera inversamente
proporzionale con la perdita dell’identità comunitaria.
Delimitato perciò un territorio urbano, il progetto di
Wolfgang Scheppe,
avviato nell’inverno del 2006 come esperienza didattica in collaborazione con
gli studenti internazionali del corso Iuav di Politiche della Rappresentazione,
si è posto come
fine l’analisi delle nuove dinamiche socio-economiche che stanno alla base
della nuova realtà urbana lagunare, modificandone giornalmente le abitudini e,
come ovvia conseguenza, l’aspetto del territorio.
Un’azione di ricerca e analisi organica, diramata lungo i
percorsi, gli svincoli nodali, le variabili e le mutazioni che una società
migrante sviluppa all’interno della propria complessità, durata tre anni e
articolata lungo tre fasi: la prima teorica, per stabilire in circa 1300 pagine
di materiale e circa 60mila immagini le basi della ricerca da condurre; la
seconda, nel 2008, per affinare una struttura in grado di organizzare e rendere
leggibili i risultati ottenuti in un sintagma di visualizzazioni di dati e
immagini; la terza operativa, con l’esposizione del caso-Venezia.
Il ‘caso’, anagrammato in ‘caos’, introduce la teoria di Baudrillard
della perdita dell’originale attraverso le sue copie; la lettura d’insieme
della mostra è complesso almeno quanto la comprensione della città odierna che,
privata della fiducia nella propria unicità, si rifugia nell’ideologia del
multiplo d’autore – deprezzato dalla tiratura illimitata – apparentemente
fortificandosi nel brand d’autore (il leone andante riletto da Philippe Starck è emblematico), in realtà
mostrando, vulnerabile, il fianco scoperto.
Le maschere e i merletti (made in somewhere) assumono la stessa valenza
culturale del kebab, divenuto ormai piatto tipico della città. Il ponte di Calatrava, testimone del nuovo che penetra
Venezia, monitora i due accessi nevralgici alla città la quale, riservando
l’ingresso acqueo solo alle navi da crociera, si riscopre sempre più appendice
isolata della terraferma. Un plastico tridimensionale, costruito sul gioco del
Monopoli (The Gameboard and the Chapter Structure), paradigma visivo situazionista
e schema logico del progetto, ricorda come tutto sia ormai vittima della
fortuna e dell’economia.
La serie di immagini fotografiche, di case study, di
motion pattern, di mappe, di dati statistici dipingono etnie un tempo lontane
che interpretano il paradosso veneziano, cioè l’abitare un luogo ripudiato in
toto dagli autoctoni e in cerca di nuove identità, traducendo il loro
imperturbabile vivere la città senza fratture, come una tappa – forse
definitiva – del lungo viaggio di migranti.
dell’economia, nel non luogo simbolo della compenetrazione culturale, della
vendita e della svendita dei principi identitari, della convivenza e della
connivenza, in cui la perdita della memoria storica e la sua antitetica
conservazione coesistono in molti racconti umani che, oggi come ieri, parlano
di contemporaneità.
Come i grandi teleri di Vittore Carpaccio narrano una società
rinascimentale veneziana multietnica e in parte già orientata al global net, così oggi figure allogene di
venditori di merci contraffatte si stagliano pacificamente sullo sfondo di una
Basilica sempre più metafora di un culto laico e depotenziato dei fasti che
furono. Una conquista multiculturale che ha coinciso in maniera inversamente
proporzionale con la perdita dell’identità comunitaria.
Delimitato perciò un territorio urbano, il progetto di
Wolfgang Scheppe,
avviato nell’inverno del 2006 come esperienza didattica in collaborazione con
gli studenti internazionali del corso Iuav di Politiche della Rappresentazione,
si è posto come
fine l’analisi delle nuove dinamiche socio-economiche che stanno alla base
della nuova realtà urbana lagunare, modificandone giornalmente le abitudini e,
come ovvia conseguenza, l’aspetto del territorio.
Un’azione di ricerca e analisi organica, diramata lungo i
percorsi, gli svincoli nodali, le variabili e le mutazioni che una società
migrante sviluppa all’interno della propria complessità, durata tre anni e
articolata lungo tre fasi: la prima teorica, per stabilire in circa 1300 pagine
di materiale e circa 60mila immagini le basi della ricerca da condurre; la
seconda, nel 2008, per affinare una struttura in grado di organizzare e rendere
leggibili i risultati ottenuti in un sintagma di visualizzazioni di dati e
immagini; la terza operativa, con l’esposizione del caso-Venezia.
Il ‘caso’, anagrammato in ‘caos’, introduce la teoria di Baudrillard
della perdita dell’originale attraverso le sue copie; la lettura d’insieme
della mostra è complesso almeno quanto la comprensione della città odierna che,
privata della fiducia nella propria unicità, si rifugia nell’ideologia del
multiplo d’autore – deprezzato dalla tiratura illimitata – apparentemente
fortificandosi nel brand d’autore (il leone andante riletto da Philippe Starck è emblematico), in realtà
mostrando, vulnerabile, il fianco scoperto.
Le maschere e i merletti (made in somewhere) assumono la stessa valenza
culturale del kebab, divenuto ormai piatto tipico della città. Il ponte di Calatrava, testimone del nuovo che penetra
Venezia, monitora i due accessi nevralgici alla città la quale, riservando
l’ingresso acqueo solo alle navi da crociera, si riscopre sempre più appendice
isolata della terraferma. Un plastico tridimensionale, costruito sul gioco del
Monopoli (The Gameboard and the Chapter Structure), paradigma visivo situazionista
e schema logico del progetto, ricorda come tutto sia ormai vittima della
fortuna e dell’economia.
La serie di immagini fotografiche, di case study, di
motion pattern, di mappe, di dati statistici dipingono etnie un tempo lontane
che interpretano il paradosso veneziano, cioè l’abitare un luogo ripudiato in
toto dagli autoctoni e in cerca di nuove identità, traducendo il loro
imperturbabile vivere la città senza fratture, come una tappa – forse
definitiva – del lungo viaggio di migranti.
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a
cura di Wolfgang Scheppe, Veronica Bellei, Katerina Dolejsova e Nera Kelava
Fondazione Bevilacqua La Masa – Galleria di Piazza San Marco
Piazza San Marco 71/c – 30124 Venezia
Orario: da mercoledì a domenica ore 10.30-17.30
Ingresso: intero
€ 4; ridotto € 3
Catalogo Hatje Cantz
Info: tel. +39 0415237819; info@bevilacqualamasa.it; www.bevilacqualamasa.it
[exibart]
Nel blog TRANQUI2 trovate un mio intervento sulla mostra Migropolis:
MIGROPOLIS- STATOPOLIS alla Bevilacqua La Masa
Alcuni errori di metodo compiuti dal gruppo di lavoro di MIGROPOLIS sono riconfermati dalle affermazioni di Wolfgang Scheppe apparse in un’intervista al quotidiano il Manifesto (la trovate nel blog TRANQUI2); figuriamoci se, come invece erroneamente egli sostiene, possiamo definire anti-arte un evento nato il un centro del sistema dell’arte – luogo deputato per un’attribuzione di valore – e prodotto dall’università! Casomai chiamiamolo evento anti-artisti, laddove la mole impressionante di testi e grafici esposti serve come surrogato all’assenza di una poetica d’artista. Non voglio sminuire il lavoro fatto dal corso di Scheppe, sottolineo solo come ciò che manca ai curatori di questo tipo di progetti è la cutela nei giudizi, il rispetto per il ruolo dell’artista. Un errore simile (rapporto tra sistema dell’arte e arte di ricerca) l’avevamo visto al Contemporaneo di Mestre nella nuova gestione di Riccardo Caldura: si tratta di intellettuali il cui operato deve essere analizzato con molta attenzione poiché tendono invariabilmente a sostituire o sovrapporre i loro schemi mentali alla centralità della poetica dell’artista. Una mio primo intervento sulla mostra (il catalogo merita un discorso a parte) lo potete leggere nel sito TRANQUI2