La mostra su
Jean-Baptiste-Camille
Corot (Parigi,
1796 – Ville d’Avray, 1875) nasce dalla cooperazione tra Comune di Verona e
Museo del Louvre. Curata da Vincent Pomerède, riprende e sviluppa l’impianto di
quella di Reims dello scorso febbraio. La linea è la stessa: Corot ultimo dei
classici e primo dei moderni.
Attraverso 97 dipinti, si analizza la figura di quest’artista singolare,
difficile da inquadrare in virtù della propria tranquilla libertà di visione. I
saggi in catalogo rendono l’immagine di un pittore legato alla tradizione, ma
non accademico, mitemente innovativo, che sempre sfuggì alle definizioni, e
agli stili, come dirà
Renoir.
L’esposizione si articola in quattro sezioni. L’allestimento è imperniato su un
sistema in cui, all’interno di grandi “cassoni”, vengono proposti i confronti
diretti fra Corot, i suoi maestri, i pittori moderni che ne saranno
influenzati. I cassoni, chiusi sui lati, isolano i dipinti a gruppi.
Gli
accostamenti, peraltro corretti nel merito, risultano in tal modo un po’
forzati spazialmente, i rapporti imposti piuttosto che suggeriti.
Nella prima sezione sono presentati i modelli della pittura di paesaggio tra
XXVII e XIX secolo, in relazione ai principi neoclassici di
Valenciennes e
Michallon. Nella seconda,
L’ultimo dei
classici, Corot è
messo a confronto coi maestri di una tradizione mai rigettata,
in primis Poussin e
Lorrain.
Del suo tipico paesaggio composito, figlio dell’azione
en plein air e della successiva ricomposizione
in studio, viene mostrata l’evoluzione. Essa si compie traverso i viaggi in
Italia (1825, ‘34, ‘43), fondamentali per lo studio della luce, e l’attenzione
ai nordici e agli inglesi,
Constable e
Turner su tutti. Nella sezione
Gli ornamenti della natura si evidenzia come la mimesi non
sia il centro di una poetica fondata sulla fusione di realismo e immaginazione.
Nell’ultima parte la mostra accelera e la tesi principale diviene esplicita.
Corot, la cui chiarezza di visione riporta ai classici e ai vedutisti
sei-settecenteschi, ritenuto da Zola padre del Naturalismo e apprezzato artista
da
Salon, è in
realtà, senza contraddizione, il primo dei moderni.
Una lettura, questa novecentesca, “
piuttosto radicale” (Pantazzi), che punta a
raggiungere un pubblico vasto. In generale, ogni artista dalla forte personalità
è un precursore (pensiamo all’ultimo
Tiziano, oppure, per restare in Francia,
alle figure di
Delacroix,
Courbet,
Manet,
Millet,
Cézanne). Ma impressionisti, fauves,
cubisti (in mostra, opere di
Monet,
Sisley,
Cézanne,
Derain,
Mondrian,
Signac,
Braque,
Gris) guardarono davvero alle opere più libere del maestro di
Ville d’Avray. Quei paesaggi destrutturati, capaci di rendere l’“
anima della
natura”,
e quelle “
figure di fantasia”, espressivamente “
sognate” (
Redon), che Corot non stimava molto,
ritenendole poco più che studi.
Gli stessi quadri di fronte a cui Gide esclamerà: “
Che esaltazione!
Confrontare le nostre teorie impressioniste ed i metodi classici!”.