Una mostra che racchiude in sé un significato generatore di inquietudine perché legato ad un’idea di orrido, di crudele, intrinseca alla scelta tematica dell’esposizione, è quella allestita nelle sale del Museo di Castelvecchio, con una vasta ed accurata selezione di armi, strumenti di offesa o di difesa, militari o civili, oppure semplici status symbol di un potere.
Una mostra che vuole riscoprire pezzi preziosi solitamente dimenticati nei depositi del Castello, coerente con le scelte espositive precedenti, volte alla rivalutazione di disegni, dipinti, ceramiche, medaglie e bronzi che, da sempre, arricchiscono in modo silenzioso il patrimonio artistico della città.
Una scelta intelligentemente coerente, che dà il giusto risalto a più di 300 pezzi di cui spesso si stenta a comprenderne il senso, la ‘quotidianità’, preda anche di una retorica pseudo-patriottica che ha cercato di occultare, attraverso l’esaltazione del cimelio, i tanti errori e le tante manchevolezze della nostra storia militare.
Certo, nella riscoperta di sciabole, carabine e scudi, non ci aiuta la difficoltà intrinseca della materia, che richiede una preparazione specifica molto accurata, ma questo non preclude la possibilità di scoprire un altro validissimo strumento di indagine del passato, che da sempre, in modo drammatico, ha segnato il cammino della civiltà umana.
Inoltre, questi piccoli tesori contengono in sé un valore aggiunto: si tratta di sottili evocatori di orizzonti lontani, leggendari, fantastici, emanatori di un fascino ambiguo sottolineato ancor più dal loro essere consapevolmente avulsi dal contesto originario.
In una occasione così importante per scoprire altri piccoli tasselli del puzzle dell’indagine storico-artistica, non si può non rimanere colpiti dalla raffinatezza delle armi esposte che, private della loro funzione offensiva e difensiva, testimoniano l’abilità raggiunta nell’arte della forgiatura e del cesello, grazie alla grande capacità di lavorare materiali ardui come il ferro e l’acciaio.
Ed infine, non si dimentichi la statua imponente di Mastino II della Scala, la cui sfinge guerriera, colma di energia virtuale nella sua fissità orgogliosa e terribile, si pone come degno suggello di una mostra che ha posto i crudeli strumenti di conquista del potere al centro di un’indagine storica.
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