Con uno sguardo superficiale si sarebbe portati a considerare la poetica di
Richard Nonas (New York, 1936) come una mera declinazione della corrente minimalista degli anni ‘60-‘70. Con l’arte dei vari
Flavin,
Judd,
Andre e
Morris, solo per citarne alcuni, le sue opere hanno in comune anzitutto le strutture elementari e ridotte ai minimi termini, ma anche l’importanza particolare assegnata al rapporto con lo spazio in cui vengono esposte.
I lavori presenti in mostra, pur non essendo site specific, sono stati scelti e allestiti da Nonas appositamente per gli ambienti della galleria, e sembrano invitare i visitatori a prender coscienza delle modifiche percettive intervenute con la loro collocazione. A differenza della produzione industriale dei lavori minimalisti, però, tutte le sculture sono state lavorate artigianalmente dall’artista con l’ausilio di attrezzi antichi come un martello, un’ascia o una sega. Perché, nella loro imperfezione, come scrive Nonas, “
le cose numinose, fatte a mano, possono radiare un’aura di significati semplicemente leggibili attraverso lacune temporali e spaziali”.
Nonas prende avvio dall’antropologia, disciplina di cui s’è occupato per oltre un decennio prima di diventare artista. O, meglio, riflette sui problemi interpretativi a cui non può sfuggire l’osservazione partecipante, la ricerca sul campo. Le parole non possono trasmettere il senso profondo delle esperienze, a maggior ragione quelle da lui vissute fra gli Inuit del Canada o con le tribù del deserto del Messico: “
Descrizioni, spiegazioni, comprensione e teoria erano strumenti di base dell’antropologia, ma ora mi sembravano il suo problema”.
Le sue sculture derivano da questa impasse: non rimandano ad alcun soggetto e si muovono su un territorio comune all’uomo, a qualsiasi cultura esso appartenga. Tre barre di ferro allineate sul pavimento; pannelli di legno, alcuni dei quali assemblati a formare croci, altri in modi diversi, altri ancora incisi e in parte dipinti di rosso; lastre trapezoidali; travi intagliate con dentellature appuntite; una serie di strutture risultanti dall’unione in diverse combinazioni di tre pezzi; piccole strutture geometriche appese e isolate alla parete. E, in una stanza, quattro travi di legno poste una coppia sopra l’altra, a formare un quadrato, contornate da bastoni poco lavorati, appoggiati alle pareti.
Insomma, il celebre slogan minimalista,
less is more, sembra appropriato anche per le opere di Nonas.
La semplicità dei suoi lavori condensa – sintetizzando processi compositi attraverso intuizioni visive – una comprensione di tipo irrazionale. Cariche di ambiguità e suggestioni, queste sculture divengono, proprio in virtù di ciò che esplicitamente non dicono, un più adeguato strumento comunicativo.