Categorie: venezia

fino al 9.I.2010 | Arthur Duff | Verona, Studio La Città

di - 11 Dicembre 2009
I flussi di parole, proiettati attraverso due raggi laser
che convergono perpendicolarmente sulle due pareti d’angolo nella “cattedrale ovest”
della galleria, giocano con i nostri sensi e con la nostra abitudine logica al
linguaggio. Le frasi utilizzate compaiono a coppie, oppure singolarmente,
spesso provocando l’impressione di ripetersi e chiosarsi una con l’altra,
originando un’eco, una rima, una correlazione. Ma è solo una coincidenza: il
loro significato dipende dal caso e dallo scorrere dei fotoni del laser. Mentre
il fatto che la nostra mente ricerchi un qualsiasi nesso tra le apparizioni
fugaci dipende da nostri meccanismi percettivi interni.
Arthur Duff (Wiesbaden, 1973; vive a Venezia) ha infatti deciso di
operare consapevolmente nell’ambito della percezione del linguaggio,
avvalendosi di una componente fortemente fisica e legata allo spazio di
fruizione e allestimento.
Immaginiamo una scultura parlante, una specie di
iper-mondo in cui le cose non ci vengono dette, bensì appaiono, rapide, discontinue.
La tentazione immediata è quella di rimetterle a posto, di creare una
correlazione, di ricostruire un senso compiuto che abbia un valore quanto meno
evocativo. Un po’ come dopo un sogno di cui si ricordano solo alcuni flash:
raccontandolo si tenta di “aggiustarlo”, inserendo elementi di continuità
logica che nel sogno non ci sono. Ne abbiamo una necessità quasi fisiologica,
non solo nel lavoro onirico, ma nell’arte tout court: le parole devono rappresentare,
evocare, esprimere.

Il ruolo del linguaggio a cui siamo abituati – e in
qualche modo sottomessi – è quello di comunicare un contenuto immediato. Ma non
è così per le installazioni laser di Duff, né tanto meno per le opere a parete:
nell’arte si deve stare al gioco e si richiede una certa dose di “violenza”
verso i nostri modi abituali di percepire e giudicare, verso il nostro
desiderio di stare davanti a un lavoro il quale sia e valga già come un oggetto
trovato e non – al contrario – come un oggetto che trova noi, ponendoci strane
e aggrovigliate domande.
Collocate in un’altra sala rispetto all’intervento laser,
le cosiddette “opere ricamate”: una sequenza di lavori a parete di formato
medio, intelaiati con un tessuto caratterizzato dal motivo usato per le divise
e per le tende militari, sul quale l’artista ha inserito parole dai colori
accesi e allegri, oppure disegni astratti.

A prima vista ironiche e giocose, queste tele sono in
realtà portatrici di un’ulteriore valenza simbolica e reiterano il messaggio
dell’installazione laser In Hiding: si ha coscienza di quello che si crede di vedere e non
di quello che si vede. In altri termini, le parole ricamate sulle tele hanno in
sé una loro verità e fanno “apparire” qualcosa che per noi d’ora in poi
esisterà, per lo meno come segno o simbolo di qualcos’altro.
Il paradosso di questa mostra sta nel fatto che è un laser
a suggerirci che il linguaggio è pericoloso nella misura in cui diventa
meccanico.

marzia scalon
mostra visitata il 21 novembre 2009


dal 21 novembre 2009 al 9 gennaio 2010
Arthur Duff – In Hiding
Studio La Città
Lungadige Galtarossa, 21 – 37133 Verona
Orario: da martedì a sabato ore 9-13 e 15.30-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 045597549; fax +39 045597028; lacitta@studiolacitta.it; www.studiolacitta.it

[exibart]


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