Nata dall’omonima banca nel 1991, in seguito alla legge Amato che dava nuova sistemazione agli istituti di credito, la Fondazione Cariverona non possedeva all’origine un patrimonio artistico. Ben presto ecco la maturazione di una sensibilità nei confronti dell’arte che porta a diverse acquisizioni, privilegiando le vedute della città e gli autori, sia classici che moderni, che avessero un forte legame con il territorio.
Punto di svolta è la notevole Veduta di Castelvecchio e del Ponte Scaligero di Bernardo Bellotto (1722-1780), che entra nella collezione nel 2000 e segna una intensa stagione di acquisti, con autori −tutti presenti in mostra− come Bonifacio Veronese (1487-1553), Palma il Giovane (1544-1628), il Brusasorci (1539-1605) e Gaspar van Wittel (1652-1736).
In quegli anni avviene una svolta ulteriore e la Fondazione Cariverona avverte la necessità di un percorso diverso mirato a valorizzare l’arte moderna e contemporanea italiana: nasce così la Fondazione Domus che, con l’obiettivo della pubblica fruizione, inizia una politica di acquisizioni a partire dall’avanguardia del Novecento per arrivare fino all’Arte Povera e alla Transavanguardia.
Maturate in un clima che sta portando all’estrema conseguenza il divisionismo, il paesaggio di Giacomo Balla (1871-1958) e i due ritratti di Umberto Boccioni (1882-1916) sono state dipinte nel primo decennio del Novecento, negli anni precedenti l’adesione dei pittori al Manifesto Futurista. Compiutamente futurista è invece l’olio su cartone Nature morte, encrier di Ardengo Soffici (1879-1964), che fa pendant con il più asciutto e geometrico lavoro di Gino Severini (1883-1966).
Notevoli i tre Morandi (1890-1964), su cui spiccano le Bagnanti di ispirazione cézanniana, e Allo specchio di Cagnaccio di San Pietro (1897-1946). Presenti molti degli autori italiani tra le due guerre, ma è con la esplosione cromatica di Materia-Luce di Tancredi (1927-1964) e il materico groviglio tracimante del Vedova (1919-2006) del ciclo Varsavia, esposto alla Biennale di Venezia del ‘60, che la mostra dà una nerboruta sferzata allo sguardo dello spettatore. Stonano invece, rispetto ad una collezione di questo valore, il multiplo con i violini di Arman (1928-2005) degli anni Novanta. Ma è l’euritmia coloristica di Din-don. Omaggio a Balla di Pietro Dorazio (1927-2005) a ricondurci ad un sentiero più luminoso. Quello radioso del Sole nella finestra di Mario Ceroli.
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