Piaccia o non piaccia, i miti ci sono ancora, e si contano sulle punte delle dita. Anche tra i curatori. Ebbene, Pontus Hulten è uno di questi. Per mettere un punto a qualunque discussione basterebbero i trecentomila visitatori della sua mostra Futurismo & Futurismi aperta a Palazzo Grassi nel 1986 (in quell’epoca lontana anni luce dal rampante marketing culturale e dalle mostre-evento); o il successo editoriale del catalogo, divenuto una pietra miliare per gli studi sul movimento. Ma anche la creazione ex novo del Moderna Museet di Stoccolma, del Centre Pompidou di Parigi, del MOCA di Los Angeles. Dopo una vita trascorsa a girare il mondo, Hulten ha deciso di donare al museo fondato nella nativa Svezia la sua raccolta personale, che è ospitata in questi mesi nella città che più di tutte lo ha amato: Venezia.
Si tratta di una collezione eterogenea, frutto del caso, e che -come egli stesso nota- testimonia tutte le coincidenze, e perfino la mancanza di uno scopo. Non c’è infatti criterio alcuno, se non l’amicizia e i legami continui ed intensi con gli artisti, come si vede dalle numerose foto in bianco e nero. Con la coppia Tinguely/de Saint Phalle e bambini al seguito alla mostra She, mentre la gente curiosa tra le piccole labbra di un grande donnone opera di Niki. Oppure con Andy Warhol a Stoccolma e con Leo Castelli, primo mentore degli artisti della Pop Art americana. Ecco quindi i collage di Robert Rauschenberg One question one answer o il poster per la retrospettiva del Moderna Museet del 1973. Oppure a quattro mani con Niki de Saint Phalle nel favoloso telo Painting made by dancing di enormi dimensioni (oltre quattro metri), o nel Portamonete per Tinguely di ferro.
Due litografie di Jasper Johns, un bel pezzo di formaggio di Oldenburg, e poi il prediletto Sam Francis che inonda di colore le stanze. Non mancano le icone Marilyn e Mao di Warhol.
Segue una sezione con opere direttamente ispirate ad Hulten, o perché lo raffigurano, come Bonjour Mosieur Hulten di Walter de Maria o perché ne raccontano il lavoro, come le cartoline inviate quotidianamente al museo di Stoccolma da On Kawara, nelle quali l’artista giapponese comunica giorno per giorno l’orario in cui si è alzato.
Ma è la terza sezione quella più curiosa, forse perché più intima. Sono lavori su carta che spaziano da Malevich e Brancusi (una spirale metallica su un cerchio di cartone) a Daniel Buren e Vedova, senza alcuna logica diversa dal gusto personale.
O per affermare, come scrive nella postfazione, che in fondo è stato solo un caso se la vita lo ha condotto in tanti posti in cui l’acqua era così importante mentre c’era sempre una barca ad attendere per portarlo in giro.
daniele capra
mostra visitata il 3 marzo 2006
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