Nella corte interna di Palazzo Forti è esposta un’opera di
Roberto Barni (Pistoia, 1939),
Continuo. Un bronzo, come
Ironia e Malinconia, del 1999, che fa parte della collezione della Galleria d’Arte Moderna, e dimostra quanto costante sia stata la presenza di Barni, nel corso del tempo, a Verona.
Ora, però, dislocate nelle sale affrescate del Palazzo, sono esposte in ogni luogo e spazio quarantatre opere fra sculture e dipinti, per l’esattezza 21 oli e 22 bronzi. L’allestimento dispone, in un doveroso confronto diretto, spesso un dipinto e una scultura, quasi a sottolineare quella sospensione auratica tipica dell’opera di Barni. Ma se le opere in bronzo, a parte la celebre
Impronta del 1960 e
Iperantropico del 1974, sono tutte degli anni Duemila, i dipinti invece sono stati realizzati quest’anno.
La novità risiede dunque nella proposta pittorica di produzione recentissima, appositamente creata per questa mostra. La pittura, stesa su superfici di grandi dimensioni, riprende in modo speculare la scultura, con tutto quel mondo di uomini che affolla la sua poetica, ma con un’attenzione cromatica più marcata ed eterogenea. I rossi, i blu, i verdi, i grigi sono gli interlocutori sulla tela, dove alcune figure stilizzate ruotano vorticosamente, mentre altre sono riprese sulla soglia, mezze figure, tagliate verticalmente a metà, come se oltrepassassero un diaframma.
Ma se i dipinti sono anche scenografie inedite nelle sale del palazzo, le sculture più recenti hanno raggiunto una tale chiarezza nella metaforizzazione della realtà da poter affermare che la sua opera è nella fase più matura. La Weltanschauung di Barni, solida e chiara, si misura ora, sempre più, con la ricerca stilistica, sia nella pittura che nella scultura.
La figura umana non è più il soggetto che trasmette inquietudine e ansia esistenziale; ora è diventata essa stessa oggetto-scultoreo, che serialmente allude a una dimensione di universalità in cui l’identico, nelle sue infinite varianti, rappresenta il non senso della vita, che trova forse solo in Samuel Beckett l’unico valido riferimento. Ma se in quest’ultimo lo spazio per l’ironia è ristretto, non così accade nelle opere di Barni, dove invece l’ironia è ben più presente, anche se le situazioni sono apparentemente simili.
È la scelta del linguaggio forse a determinare un certo riso interiore. Se la parola raggiunge il pensiero, la rappresentazione coinvolge tutto l’essere; ed è questo, nelle proposte di Barni, che scatena l’ironia. In
Remar contro (2000) se ne ha l’esatto sentore: i due vogatori, disposti l’uno di fronte all’altro in una bagnarola, remano in direzioni opposte, provocando una tragica immobilità. Ma anche in
Tripode (2005), dove tre figure maschili, da un ipotetico centro perduto, si dipartono verso non si sa quali direzioni. Ancora più pertinente è la situazione di
Divergenze: le due figure, l’una sopra l’altra, camminano in direzioni opposte, quasi a voler ribadire l’impossibilità di un incontro dialogante.