Circa sessanta i musei e le collezioni che hanno messo a disposizione le 120 opere del Maestro affinché Padova lo celebrasse nel migliore dei modi. Provenienti da 18 paesi europei i capolavori ripercorrono le tappe della ricca produzione artistica del boemo amante dei viaggi e appassionato della cultura italiana. Le opere di Mengs erano richiestissime dalle corti di tutta Europa: lo vollero per affrescare il Palazzo Reale a Madrid (proprio assieme all’italiano Tiepolo); divenne “primos pintos del Rey”; il Grande Elettore di Sassonia lo nominò “Pittore di Gabinetto”; realizzò le tre pale d’altare della chiesa di Dresda (e fu nominato “Pittore di Corte” a soli 22 anni dal re di Polonia); a Firenze realizzò i ritratti della famiglia granducale e i calchi dei rilievi ghibertiani della porta del Paradiso del Battistero. Figura molto importante in qualità di vero e proprio punto di riferimento per gli artisti e per l’arte in generale (basti pensare che nel suo atelier di Roma gli facevano visita un gran numero di artisti giunti da ogni parte del continente) Mengs ha teorizzato assieme a Winckelman il superamento del barocco a favore della classicità: il manifesto di questo nuovo stile è rappresentato proprio dall’affresco del “Parnaso” a Villa Albani.
Se Anton Raphael Mengs è stato il pittore dei Principi, è anche vero però che ha dato un contributo che i più ancor oggi sottovalutano a quello che è stato il rinnovo stilistico di fine ‘700. E’ ancor oggi fonte di discussione l’individuare quanto le sue opere abbiano influenzato lo stile di Goya (tanto per citare un artista che è riconosciuto per l’originalità di realizzazione dei propri lavori), ma anche di moltissimi altri pittori che in una Italia al centro dell’attenzione culturale ruotavano attorno alle linee e ai colori di questo “fuori classe”. La curatrice Staffi Roettgen, in sede di inaugurazione della mostra, sembrava entusiasta di essere riuscita a ottenere un così elevato numero di capolavori (che vanno dai grandi ritratti di nobili, agli schizzi preparatori di soffitti, dalle tele ad olio di carattere religioso ai gessetti degli studi sulle figure) e di poter finalmente omaggiare e spiegare in concreto l’importanza del maestro. Se si da anche un semplice sguardo a come Francesco Milizia, Luigi Lanzi o Goethe hanno descritto il talento di Mengs, subito si acquisisce la consapevolezza di trovarsi dinnanzi ad un vero artista, che a prescindere dalla nomea (forse non proprio lusinghiera) di “pittore più pagato d’Europa”, ha saputo imporsi all’attenzione non solo dei vari nobili e ricchi committenti, ma anche degli studiosi, letterati e teorici del tempo. Mengs dedicava una particolare cura allo studio dell’antico (possedeva una collezione di calchi delle più famose statue conservate nelle collezioni italiane che erano motivo di interesse per gli artisti che giungevano a Roma; tra questi anche Fragonard e David) e in quest’ottica non perse tempo a cercare di rivalutare, ispirandosi, i capolavori seicenteschi del Domenichino, del Guercino e di Guido Reni. Soggetto di studio fu anche il chiaroscuro del Correggio, che Mengs ha saputo far proprio nelle opere a tema religioso, come ad esempio quelle concernenti l’Adorazione dei Pastori.
Anche Raffaello fu”vittima” di studio, sia per via della ricerca di varietà di soggetti che per la tecniche artistiche. insomma, questo artista ha saputo rivalutare il classico e gettare le basi per uno stile completamente nuovo che si conosce col nome di Neoclassicismo. Mi sembra piuttosto importante far notare come Palazzo Zabarella dopo la mostra dedicata al Guercino e alla pittura emiliana del ‘600, abbia saputo nuovamente superarsi offrendo la visione dei capolavori di Mengs. La medesima sarà riallestita a Dresda in occasione della conclusione dei restauri del Castello Reale (il periodo sarà 23 giugno-3 settembre 2001), indice, anche questo, del valore della mostra e altresì della perfetta organizzazione della Fondazione Zabarella.
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Ho visto la mostra e devo dire che mi è piaciuta un sacco. Quella del Guercino è stata carina, questa è strepitosa.
Ci voleva questa programmazione a Padova. Mostre intelligenti ed interessanti, che accontentano anche i palati fini. Quella sul Guercino ci ha fatto vedere un'intera fetta dell'arte del '600 e questa ci fa conoscere per intero una figura chiave del '700, che contiene in sé il neoclassicismo, l'Accademia ma perfino le prime tracce del romanticismo. Mai è stato così chiaro il passaggio da un'epoca all'altra. Da vedere.
bella bella e bella. Questa mostra è proprio mitica. Mi congratulo con exibart per avermene parlato e per aver messo delel foto in grado di rendere a pieno l'idea di che tipo di capolavori incontriamo alla mostra. l'archivio fotografico mi è sembrato utile. Bravi. A costo di sembrare noiosa, vi ripeto che la mostra merita una visita, andateci.
Magari che?!!! cmq sono il e non la...giornalista!
che bell'articolo! che bravo il/la giornalista!!!
magari...
porcodiddio
Stuzzicato dal paragone con Mozart, me ne sono andato a Padova a rinfrescarmi la memoria su quel Mengs che non poca parte della saggistica artistica e letteraria ha codificato come frigido esponente del neoclassicismo, accanto al mentore ed amico Winckelmann. E ne valeva la pena! A parte la magnificenza della sede (il Palazzo Zabarella merita da solo una visita), l'incontro con il pittore si è rivelato una riscoperta, grazie alla ricchezza del materiale e alla sapiente distribuzione tematica, corredata da ampie didascalie (unica menda: non si poteva tradurre, per il visitatore comune, qualche testimoninza contemporanea in tedesco e in spagnolo?). Il paragone con Mozart regge, purche del grande Salisburghese non si ricordi solo la perfezione formale, ma anche l'iridescente senso della complessità della vita, che si traduce in audacie armoniche e in un cromatismo che testimoniano l'inquietudine mozartiana e nello stesso tempo il suo apprendistato cosmolpolitico. E così anche Mengs, precoce come il "divino fanciullo", testimonia qui dei suoi viaggi e degli studi approfonditi del mondo greco-romano, non meno che della grande pittura italiana, da Raffaello al Correggio, dal Parmigianino al
Reni (per citare solo alcuni). Certo, il Mengs migliore - o almeno quello che oggi ci attira di più - non è forse quello dei soggetti storico-mitologici, ma quello degli intensi gessetti e dei pensosi autoritratti, delle tele religiose. Poi, si capisce, c'è la magnificenza dei ritratti importanti, dal papa Clemente XIII al cardinale Archinto, da Carlo III di Spagna al giovanissimo Ferdinando IV di Napoli. Ma Mengs non si perde nell'illustrazione della funzione e degli attributi del potere: con gesto sintetico e semplice (di quella semplicità che, come in Mozart, è seconda natura conquistata dall'arte) va dritto allo sguardo del personaggio prescelto, che a sua volta incatena quello dello spettatore: sia esso lo sguardo bonario di Carlo III (che contrasta con la solenne corazza), oppure quello limpido di Maria Luisa di Borbone, o infine quello regale e insieme furbesco del giovanissimo Ferdinando IV di Napoli. Altro che frigido e decorativo neoclassicismo! Qui si rivela (torna ancora il paragone con Mozart) la capacità di cogliere in un punto il carattere predominante, il fuoco interiore che dona unità alla persona e insieme al carattere della rappresentazione, dove gli attributi e il senso del potere sono filtrati e trascesi nell'ordine dello spirito. E del resto c'è una riprova storica a testimoniare che la lezione di Mengs è stata ben più di un restauro: una personalità come Goya ne ha tratto alimento, proiettandone così l'azione in una stagione e in una sensibilità che il pittore boemo ha presagito e ispirato.