A guardarla sfilare con il suo foulard di pitone vivo, nella penombra delle calli veneziane, resa ancora più evanescente dai riflessi delle acque lagunari o dalla proiezione della sua ombra nera, si poteva pensare di essersi imbattuti in una di quelle crudeli femmes fatales fuggite da una tela di Von Stuck o da un disegno di Beardsley. La sera, accarezzata da stoffe trasparenti e accompagnata da scenografici servitori neri, amava portare a spasso i suoi stravaganti animali da compagnia: due levrieri che faceva dipingere di blu, i ghepardi, probabilmente ammansiti da droghe e gazzelle dorate. Non si può certo dire che Luisa fosse una donna portata per l’ordinarietà e la naturalezza, caratteristiche che non concedeva nemmeno alla sua fauna domestica, oltretutto molto simile a lei. Bellezza contemporanea, dall’aspetto androgino e dall’aura oscura, perennemente allucinata e fuori dalle righe, Luisa Adele Rosa Maria Amman (Milano 1881 – Londra 1957), nasce da una delle più ricche famiglie di industriali milanesi. Rimasta orfana in adolescenza di entrambi i genitori, erediterà con la sorella un ingente patrimonio che dissiperà fino all’ultimo centesimo, per dare vita alle sue fastose e strabilianti feste e travestimenti. Fatale, nel 1903, fu l’incontro con Gabriele D’Annunzio, avvenuto a soli tre anni dal matrimonio con il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, dal quale nacque anche la sua unica figlia, Cristina. Un avvicinamento quello con il Vate non solo intellettivo ma anche passionale, che le inoculerà una dose letale di egotismo e decadentismo che si manifesteranno nelle compulsive e metamorfiche trasformazioni, e nell’attrazione per lo scandalo e l’eccesso. In breve tempo i capelli e la labbra si faranno di un rosso acceso, le ciglia lunghe e finte, gli occhi dilatati e sfocati dall’uso della belladonna. Luisa è ora pronta per varcare il palco della sua vita e divenire La Marchesa: un’attrice dedita a recitare mille parti, tante quante sono le inquietudini e le insofferenze interiori.
È prestigiatrice, chiromante, mannequin. Ma è soprattutto, già all’epoca, e probabilmente senza saperlo, una scultura d’arte contemporanea che, come tale, non riesce mai a mantenere la stessa, solida, forma. La fluidità e il movimento (non a caso divenne musa anche dei futuristi) sono di certo elementi che la pervadono. Incapace non solo di tenere indosso lo stesso abito per un’intera giornata, Luisa, non riusciva a tenere a freno nemmeno se stessa. Si spostava continuamente fra Milano, Roma, St. Moritz, ma soprattutto Venezia e Parigi, dove acquistò Palazzo Venier dei Leoni e il Palais Rose, da lei ribattezzato du Rêve. Infine giunse a Londra, città lugubre e dalle energie occulte, dove morì nella totale povertà e silenzio, quel silenzio che per tutta la vita aveva cercato di non sentire.
Dopo forse più di un secolo di assenza, Palazzo Fortuny accoglie, fino all’8 marzo 2015, i mille trasformismi di questa satanica figura che ispirò, fra gli altri Carrà, Boccioni, Boldini, Marinetti, Martini, Balla, Van Dongen, Man Ray. L’esposizione, – la prima sulla marchesa -, è stata ideata da Daniela Ferretti e curata da Fabio Benzi e Gioia Mori e mette in mostra oltre un centinaio fra dipinti, vesti, sculture, accessori, gioielli, fotografie, video, di artisti e stilisti che sono stati ammaliati dalla sua personalità. Difficile poter pensare che, dato lo straordinario fascino di questa casa-museo, si possa sbagliare un allestimento. Anche perchè con così tanta bellezza, quest’ultimo può spesso risultare un dettaglio da poco. Non a caso, se il secondo e terzo piano sono pervasi da fascino e da energie sulfuree è proprio il piano terra, – il più neutro -, a risultare poco curato e studiato. Appena entrati, si viene subito colpiti dalla vista di un sontuoso abito verde di John Galliano, posto al centro della sala, ma soffocato dalla vicinanza con la parete sinistra. Tutt’attorno, alcuni scatti realizzati da fotografi di moda e un quadro di Boldini appiccicato alle sedie, sulle quali gli spettatori osservano i video delle sfilate di moda, ispirate alla protagonista della mostra.
Lasciata questa sala, un po’ spoglia e disordinata, si viene inebriati dalle stanze successive che risultano essere un tripudio di colori, stoffe, tele, disegni, faune impagliate e luccicanti gioielli, atti ad evidenziare ancora di più quel senso di mistero occulto che la Casati emanava. Fra i suoi ritratti, spicca la tela di Augustus Edvin John, la cui immagine è stata usata anche come manifesto della mostra e copertina. Il dipinto ritrae una donna sì maliarda, ma decisamente più calda e accogliente rispetto al solito, che ne ruba un’intimità quasi scompigliata. Una figura distante dalle sembianze di Gorgone-Salomè sempre in posa di Romaine Brook o Alastair, come pure dall’allucinato Van Dongen, che la immagina come una fantasmatica malcontenta assuefatta dai vapori lagunari; o ancora al Zuloaga, quasi di fronte, che la immagina come una spagnoleggiante gitana, mantenendo da un lato, l’aspetto esoterico dato dallo sfocamento di Man Ray, e, anticipando, dall’altro, la decadenza con cui la immortala Cecily Beaton nella sua casa londinese, rifugio della oramai raggiunta deriva. Alchemiche ed erotiche sono poi le carte di Aberto Martini, che disegnano una marchesa perennemente sfuggente, leggera come una farfalla. Oltre ai pezzi storici, alle suggestioni, agli abiti che hanno ispirato l’alta moda – impossibile non citare i trasformismi di John Galliano e l’elegante raffinatezza di Chanel, con la suggestiva Cruise Collection 2010 al Lido (luogo dove la contessa amava organizzare delle orge e dalla quale, il luccicante abito all’ultimo piano, proviene), non mancano pezzi d’arte contemporanea (come gli scatti fuori fuoco di T.J. Wilkox), e i pezzi realizzati per l’occasione, da Francesco Vezzoli e Filippo Sambuy. A completare questa prima, grande, retrospettiva sulla marchesa e il periodo della Bella Époque, un catalogo articolato e completo, all’interno del quale viene analizzato, in modo approfondito e da diversi punti di vista, la vita, l’opera e l’oggettistica di questa eccentrica e lunare performer, che ha speso una vita intera a disegnarsi come un’irraggiungibile eroina dei fumetti.
Eva Comuzzi
mostra visitata il 13 dicembre
Dal 4 ottobre 2014 all’8 marzo 2015
La Divina Marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Époque agli anni folli
Palazzo Fortuny
Campo San Beneto
041 5200995
Orari: dalle 10:00 alle 18:00 chiuso il martedì