Proseguendo scelte espositive ormai consolidate, rivolte principalmente alla scena artistica inglese ed americana, Il Capricorno ha inaugurato l’estate veneziana (e biennalesca) con una mostra interessante, dai toni intimistici. In controtendenza sia rispetto al clamore della Biennale, sia rispetto alle principali linee di pensiero dell’art system internazionale, almeno rimettendosi al punto di vista delle due curatrici spagnole. Espone l’inglese Grayson Perry (Chelmsford, 1960), raffinato ceramista, cavallo di razza della Victoria Miro Gallery di Londra e vincitore del Turner Prize 2003. L’ambìto premio ha rappresentato non solo la consacrazione personale di Perry, ma anche la dimostrazione che non necessariamente l’arte debba ricercare l’espressione in forme di comunicazione innovative, futuribili. Attratto dalla ceramica fin da bambino, l’artista ne studia la lavorazione a Londra, nei primi anni ’80, frequentando il gruppo dei Neo-Naturisti.
Perry recupera intatto il fascino di un sentire lontano, interpretando materiali e tecniche già conosciute nel tardo Neolitico, quando compare la prima, rudimentale, produzione di ceramica e strutturando continui rimandi con quella produzione vascolare nata inizialmente come attività spendibile nella pura
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gaetano salerno
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