04 agosto 2017

SPECIALE VENEZIA

 
Tra immagini di migranti e divi, Tracey Moffat rende vera la finzione e finta la realtà
di Eleonora Frattarolo

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Entrata per la prima volta in Biennale nel 1959, l’Australia in questa 57. Edizione presenta di nuovo una sola artista, con un corpus di fotografie e video che dovrebbero rappresentare un Paese davvero complesso e affascinante su molteplici versanti. Lei è Tracey Moffat, che attualmente vive in Australia e a New York. Nata nel 1960 a Brisbane in un sobborgo operaio, già presente ad “Aperto” alla Biennale del 1997, nel 1990 girò Night Cries: A rural tragedy, cortometraggio selezionato per il concorso ufficiale al Festival del Cinema di Cannes. Dodici immagini compongono oggi la serie Traversata, una sorta di racconto ambientato all’incirca negli anni’40 del Novecento in cui la fotografia è usata come copione di un film o di una piéce teatrale, secondo una modalità ormai da tempo diffusa. 
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Tracey Moffatt, Padiglione Australia, 57.ma Biennale di Venezia
Il cast si compone di pochi personaggi: una giovane con il suo bambino, vestita per un viaggio clandestino; un poliziotto motociclista poco raccomandabile; un passatore elegante al limite del troppo che fuma come una ciminiera. Tra avamposti portuali improbabili e “come se”, tra finzioni seppiate al limite tra il tragico e la sua negazione, si snoda davanti ai nostri occhi una vicenda antica e molto contemporanea rappresentata con buoni propositi e buoni sentimenti che alla fine sortiscono esiti da fiction e messa in posa. Quella messa in posa che in artisti come Adrian Paci, tanto per indicare un nome, produce, su analoghe tematiche, ben altre riflessioni. Il meccanismo dell’alleggerimento delle vicende tragiche che coinvolgono i migranti, come sappiamo intrecciate ai flussi mafiosi e camorristi del nuovo schiavismo, ipocritamente smistato con la parola “accoglienza”, riappare enfatizzato nel video Veglia in cui immagini vere d’imbarcazioni che naufragano cariche di africani, si alternano a frames di film famosi, in cui divi e dive molto glamour strabuzzano gli occhi, urlano e si agitano per la sciagura – ci si fa capire – cui stanno assistendo. Così verità e finzione si mescolano per rendere vera la finzione e finta la realtà. Che avrebbe bisogno, forse, almeno in questo caso, di un immaginario che metta in onda urla di diverso senso e diversa sostanza.
 
Eleonora Frattarolo

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