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SPECIALE VENEZIA |

di - 9 Giugno 2017
Ferruccio Orioli, veneziano della Laguna, nato e cresciuto a Piazzetta dei Leoncini, architetto. A Roma, si è occupato di pianificazione urbanistica e progettazione di opere pubbliche, a Napoli è stato consulente del Commissario Straordinario di Governo per la ricostruzione post terremoto. Torna a Venezia non molto spesso, questa volta in occasione della 57. Biennale d’Arte. Che ha raccontato con parole e disegni tracciati su un taccuino nero, senza considerarne le conseguenze.
Decido di procedere privo di qualsiasi ordine, indirizzo e senza intravvedere alcun sentiero. C’è un ingresso: una striscia rossa messa di traverso a sfumature secolari di verde. Poi il formicaio rivive, come ogni due anni.
La densità delle persone ai Giardini non è diversa da quella che si incontra nel resto della città, ammesso che Venezia possa essere considerata ancora una città. In piccolo si riproduce quello che succede nell’intera Venezia. È immediata la formazione di code per entrare nei padiglioni dai quali ci si aspetta di più: Germania, che poi risulterà il padiglione vincente, USA, GBrexit, Francia, Giappone, il padiglione centrale sul quale esercitare le proprie facoltà critiche per interpretare il lavoro della curatrice. Fuga immediata all’Arsenale.
Lo sviluppo longitudinale dell’esposizione non consente soste. Si passa senza soluzione di continuità da un’immagine a un’altra e non è facile soffermarsi andando e andando. Per un non addetto ai lavori valgono le associazioni libere di freudiana memoria ma anche l’attenzione vagante. Sollecitati da qualche frammento di immagine rimasto sulla retina si può anche tornare indietro. Allora si può incontrare una corrispondenza, una scintilla che aggiunge qualcosa al proprio sentire. È la felicità, la sensazione di non essere venuti fin qua inutilmente. Da antico veneziano trovo ancora qualcosa da rubare.
Più che valutare l’aderenza delle infinite risposte ai temi dell’anno vale la pena, forse, cogliere occasioni: l’imbarazzo di far spuntare la propria testa da sotto, al centro del padiglione del Giappone; chiedersi cosa sarà il padiglione di Germania quando si ritireranno i giovani performers e i due dobermann; stramaledire il buio del padiglione italiano ma poi pensare che è una condizione che viviamo quotidianamente. Ci sono pure delle scarpe utilizzate come vasi per delle piante. Grandi opere di falegnameria, Francia, Venezuela. Di carpenteria, Portogallo, Brasile. Anche del settore tessile e del settore navale.
Altri piccoli gioielli sparsi per Venezia dove si sono moltiplicati in modo esponenziale, da alcuni anni a questa parte, i luoghi pubblici e privati destinati a esposizioni.
Non so calcolare se il numero dei turisti sia superiore o inferiore al numero dei prodotti dell’arte che invadono letteralmente le insulae veneziane. Per ultime sono apparse due grandi mani bianche che, spuntando dall’acqua del Canal Grande intasato di alghe, sorreggono lo spigolo di un palazzo; ma l’azione è forse estendibile a tutte le case di questa ex città…forse anche agli abitanti di quelle case. Insomma se ne sentiva proprio bisogno.
Sul mio taccuino ritrovo cose che vanno dal 2-3000 a.c. fino a domani o dopodomani. Tra queste non ho tralasciato la grande bugia. All’Hirst world mancano alberghi, ristoranti con piatti takeaway dedicati e mercanzia a buon prezzo per il turismo di massa.
Ho continuato fino alla fine a procedere a caso mescolando e sovrapponendo tutto quello che ho incontrato senza pormi minimamente il problema delle conseguenze del mio operato.
Ferruccio Orioli

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