08 settembre 2024

Sardegna, sogno lucido di una notte di fine estate

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L'artista Marco Bongiorni reinterpreta i luoghi della Sardegna attraverso un racconto biografico e una serie di disegni e collage realizzati ispirandosi ai posti attraversati

Marco Bongiorni, Sogno lucido in un giardino di mezz’estate

Siamo a fine agosto e in Lombardia fa ancora caldo. Io sono seduto in giardino, all’ombra, in provincia di Milano, i ragazzi giocano con l’acqua sul cemento ed è come un sogno lucido.
Lo so già che caldo caccia quel cemento anche se non ci appoggio i piedi; lo so quanto è fresca quell’acqua. Dicono che per favorire il sogno lucido si debba percorrere all’indietro i fatti della giornata appena passata e ci provo. Lo faccio con questa strana estate vissuta tra alghe, traghetti, bombe d’acqua e bombe di morte.

Marco Bongiorni, Sogno lucido in un giardino di mezz’estate

Parto dalla notte appena trascorsa. La doccia fresca, l’arrivo a casa alle 11, nel buio. La Serravalle libera, curva, sempre nel buio. Il porto di Genova, largo più che grande, una quinta schiacciata sui carruggi e i monti. Il viaggio in traghetto, il bagno intasato e la cabina sporca, il ponte di ferro smaltato blu e bianco, con la ruggine che cerca di mangiarsi tutto. Io che penso da dove arriva tutto quel metallo. Dai cantieri certo, e prima dalle fornaci, ma prima ancora? Dalle miniere? Prima sta con la pietra, nella pancia della terra e poi galleggia in mare accompagnando l’over-tourism a rovinare il mondo? Alchimia industriale.

Marco Bongiorni, Sogno lucido in un giardino di mezz’estate

E ancora, sulla nave i cani, addormentati coi padroni tra moquette stampata e pareo stampati. I cani che devono comunque pisciare, nonostante manchino le aiuole e allora i padroni li passeggiano sul ponte di ferro smaltato blu e bianco che non può assorbire la piscia e asciugano con salviette e fazzoletti. Prima di loro c’erano i portuali sardi a Golfo Aranci, nel loro piccolo molo, nei loro gilet fluorescenti, i tatuaggi e gli occhiali da sole sempre calcati. Loro si muovono silenziosi; i marinai napoletani della Moby
invece urlano e gesticolano sempre. Sembrano sull’orlo di un litigio, di una rissa, coi turisti o tra loro. Osservarli lascia il dubbio di quanto potrebbe essere stata dura la vita dei marinai nella storia: fenici, punici, spagnoli, genovesi, veneziani, tutti chiusi a faticare e litigare. Poi arriva la Terra. L’isola. La Sardegna dice Mario Soldati con i suoi spazi immensi e deserti, con i suoi altipiani rocciosi e tutti insieme sollevati in massa sul mare.
Anche questa strada la faccio a ritroso, dal Nord verso il Sud. Dall’alba verso la Notte.
Il buio e le curve della Sardegna fanno vergognare la Serravalle, con le sue luci di paese e i guardrail spartitraffico. Attraversare la Sardegna è attraversare la notte.

Marco Bongiorni, Sogno lucido in un giardino di mezz’estate
Marco Bongiorni, Sogno lucido in un giardino di mezz’estate

Gli occhi cercano appigli luminosi, ma trovano solo nero, blu, bruno, indaco, grigio marcio.
Non la vedo quest’isola, meglio, la immagino. Lei si nasconde, aspetta l’alba per farsi vedere dai turisti. Le rocce morbide, i fichi d’india ritorti, prima sciolti e poi induriti al sole, i complessi residenziali, le verande, i grill per ferragosto, le auto impolverate di
chi è già abbronzato e quelle pulite di chi è ancora bianco da lavoro. Così penso a gli altri mari, li vedo sui reel, sulle pagine dei quotidiani che sfoglio, sempre a ritroso. Le gare in barca a Capri, le tempeste alle Baleari, la mucillagine viene prima dei femminicidi.
Poi ad un tratto, tutto questo bollore estivo si quieta. Il sogno cambia ed è mattina, arrivo a San Sperate, venticinque chilometri a nord di Cagliari, il tempo ricomincia a scorrere in avanti. Entro in un giardino che sta li da prima di me, recintato, ma con l’aria di non avere nessuna preoccupazione di essere invaso. Ci sono alberi da frutto, ulivi e alcune palme esplose come bombe. E ci sono le pietre; rette e ferme nel terreno come se avessero messo le radici, infatti sono nel giardino di Pinuccio Sciola. Giardino Sonoro l’ha chiamato, perché è dove ha piantato le pietre e gli ha dato la voce, le ha liberate dalla loro fissità e dall’apparente mutismo dove il pensiero cristiano sembrava averle recluse.

Marco Bongiorni, Sogno lucido in un giardino di mezz’estate

Pinuccio aveva la testa dura, più delle pietre che lavorava, lo dice suo fratello, maglietta arancio bordata blue e giallo, stinta dal sole, cappello scuro, di tela. Sta seduto sotto un grande albero di 78 anni, una quercia forse. L’ha piantata lui dice quando di anni ne
aveva 13. L’ho spostata qui perché là dove stava avrebbe dovuto passare un canale.
Ora anche lui è parte del Giardino, piace ai visitatori sentite una presenza umana in tutte quelle storie di sassi. Ma il lavoro di Sciola è impressionante, molto più di quanto mi aspettassi. Ero arrivato quasi prevenuto e invece quei massi sono capaci di sbriciolare ogni tentativo retorico di rimanere indifferente. Quanto pesano? Quanti quintali? Quante tonnellate tutte insieme? più o meno del metallo del traghetto? Quanto sudore a movimentarle a quante braccia a rigirarle per capire dove incidere. Quanta polvere
generavano le lame diamantate e dove finiva tutta quell’aria di roccia? Nei Polmoni dell’artista che diventava di roccia anche lui, fino a tornare alla terra. E poi da dove vengono?

Marco Bongiorni, Sogno lucido in un giardino di mezz’estate

Queste pietre, e si può solo chiamale così, sono nate nella pancia dell’isola, alcune sono basalto altre calcare, ma tutte sono di molto più vecchie di Michelangelo e di Fidia. Pinuccio Sciola le prende dure e resistenti, rigide, le taglia, le seziona, le incide e le rende elastiche, mobili, fragili. E poi le fa suonare, le accarezza e loro cantano per noi come fringuelli ammaestrati. Impressiona vedere quei menhir cosi antichi e sordi, brillare sotto il sole che brucia, esplodere ombre che si allungano, suonare come arpe e xilofoni sotto le mani delle guide che le trattano come sorelle. Alcune sculture sono alte come sentinelle giganti, altre spuntano cosi poco dal terreno che sembrano mine e allora penso alla guerra dei Balcani, ai disegni che sto facendo su Srebrenica; ma si capisce che il lavoro di Sciola non è solo scultura, poesia. É qualcosa di più atavico, come l’insistenza di lavorare la terra e però anche contemporaneo, pubblico, impegnato, alla luce de nostri anni globali, in cui le pietre si estraggono anche dai mari e dai pianeti.

Marco Bongiorni, Sogno lucido in un giardino di mezz’estate

É un grande giardino quello di Sciola, come Bomarzo , un museo archeologico, ma anche laboratorio a cielo aperto, studio d’artista, auditorium. Mistero di pietra come le vie cave e i nuraghi. Mi rimangono queste rocce in testa mentre guido, come le avessi immaginate prima ancora di averle viste, magari, nel buio della notte sarda. Ma nel sogno lucido c’è spazio per il sogno nel sogno e da li mi sposto sulla costa, a Nora. Trovo amici, nuoto ancora, mangio spaghetti e vongole, bevo vermentino, parlo di Gaza, Ucraina, ancora
bombe. Putin ha davvero usato la Termbarica? Poi arriva il tramonto e cammino nell’Area Archeologica di Nora, tra le pietre di fronte al mare aperto che è l’uguale e contrario della notte sarda, brucia gli occhi di luce e non si lascia vedere. Quelle pietre le hanno posate i Fenici per i loro commerci, poi hanno protetto i Cartaginesi e sono state
ripensate dai Romani. Anche quelle vengono dalla terra e anche loro sono recintate alla buona come il giardino di Sciola. Certo, qualcuno ci ha piazzato in mezzo un enorme installazione di Philip K. Smith III, tutta specchi e misure americane, un palco per un festival letterario e una pedana per i modelli di Dolce e Gabbana, ma comunque
le pietre brune sono ancora li, ferme, dove i marinai Fenici, stanchi e litigati, le avevano messe, poco prima di chiudere gli occhi sul buio di quest’isola di roccia e sognarla.

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