Un viaggio splendido in nave che compio ormai da quasi cinque anni in un breve periodo di agosto quando lascio Capri, la mia isola amata sin dall’infanzia, per dirigermi in un’altra isola sita al centro del Mediterraneo. Si tratta di un luogo singolare perché è un vulcano attivo che sorge direttamente dal mare senza alcuna mediazione geografica: è un cono che accoglie una moltitudine di persone, una moltitudine di case e una moltitudine di fenomeni. Ci sono ombra, sole, fuoco, esplosioni, abbandoni, densità , ma, soprattutto, case. Dopo una notte trascorsa sul ponte della bella nave Laurana, intitolata al famoso architetto, mi trovo in una meravigliosa aurora rosa che si riflette nel mare blu pennellato dal rosso di una “sciara”, una lingua prodotta dal cono pronta a tuffarsi in acqua tra mille vapori. Stromboli è la ruggente patria delle moltitudini e sono rimasto stupito quando ho cercato su Google la parola “moltitudine”, poiché credevo che fosse legata al senso di una cosa animata dalla sua stessa ridondanza. Non è esattamente così.
Mi piace pensare alla moltitudine come se fosse una qualsiasi totalitĂ in quanto oggetto di considerazione o partecipazione anche affettiva.
Ci restituisce intuitivamente l’idea della folla e della molteplicità . Ci invita, emotivamente, a pensare senza un apparente focus, oppure, ci costringe ad usare delle lenti multifocali. Nella composizione architettonica, la scelta della forma non ci lascia sempre considerare una moltitudine in senso intuitivo, come, ad esempio, fare coabitare cose diverse tra loro in un solo progetto, edificio, città , isola, paesaggio o addirittura pianeta.
Piuttosto, tendiamo a ridurre la moltitudine alla singolarità della nostra idea progettuale. E questo è il punto. Quante moltitudini di cose ci sono in una casa strombolana? Sì, proprio una casa di Stromboli, perché è il luogo che ho visto dove l’alternanza tra silenzio e moltitudine agisce con più forza proprio nella mia voglia di progetto e di disegno di architettura. Quante moltitudini di azioni favoriamo con un progetto? Soprattutto siamo capaci, con il nostro agire, di rendere piacevole uno spazio abitato dalla complessità di partecipazione chiassosa o silente? Credo che domande del genere, nelle loro traduzioni multiple, se le siano poste Le Corbusier e gli Archigram. Noi che, attoniti, abbiamo persino provato piacere davanti alla angoscia della città generica dovremmo seguitare a farcele trovando un’ombra figurativa e sorridente anche quando giochiamo con l’astrazione. Una cosa simile mi è successa, appunto la scorsa estate, entrando in una casa abbandonata nell’Isola di Stromboli dopo un violento nubifragio.
Sembrava piena di oggetti, di tracce, di fratture che il tempo aveva lasciato.
Mi chiedeva di sottrarla a quel senso di sospensione metafisica che l’abbandono di una pergola sul mare suggerisce. Ho pensato alla bellezza del tema e, sorridendo, ho cominciato a disegnare. Più del piccolo testo, vi lascio una moltitudine di disegni che ad esso si riferiscono e lo completano con tanti silenzi rotti dai colori e dalle tracce dei singolari collage.
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