La prima volta che sono stato ad Agrigento volevo vedere il Tempio di Giunone dallo stesso punto di vista di Caspar David Friedrich, il pittore del romanticismo tedesco. Il suo dipinto Junotempel in Agrigent ha una datazione incerta, “dopo il 1826” c’è scritto nella lunga didascalia al Museum für Kunst und Geschichte di Dortmund, dove è gelosamente custodito.
Il dipinto rappresenta senz’altro un’anomalia per l’artista la cui opera è dedicata interamente ai paesaggi dei luoghi della sua vita, il nord della Germania: il Meclenburgo-Pomerania e la Sassonia. In effetti Friedrich in Sicilia, cosi come in Italia, non ci andò mai, si pensa infatti abbia dipinto il tempio a partire da una riproduzione dell’epoca. Intanto in Francia, proprio nel 1826, Joseph Nicéphore Niépce inventava un’arte in grado di riprodurre fedelmente la realtà: la fotografia. A volte le coincidenze possono essere stimolanti. Il Tempio di Giunone si trova nel punto più alto della Valle dei Templi, oggi meglio nota come Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle de Templi. Certo, Agrigento oggi non è più quella dei tempi di Goethe e di Friedrich e di certo nemmeno quella degli anni ’50 del ‘900 di Nicolas De Staël, che alla Sicilia e ad Agrigento ha dedicato un corpus consistente della sua opera, rivisto e celebrato proprio di recente al MAM di Parigi.
Per De Staël Agrigento era ancora una piccola macchia in un paesaggio quasi incontaminato, una piccola forza centrifuga dalla quale diradano una serie di linee, collocata sopra un’altura dalla quale in pochi chilometri si scende verso il mare. I colori e le luci quelli radicali del sud, che ti fanno sentire un’immediata nostalgia del Mediterraneo, soprattutto se, come me, hai avuto il destino di restarne lontano troppo tempo. È proprio qui, tra la città e il mare, che si trova oggi il Parco Archeologico e Paesaggistico, forse uno dei luoghi più stratificati e ricchi di storia d’Europa. Nel Museo Archeologico Regionale Pietro Griffo, che è parte del Parco, troviamo infatti reperti che risalgono anche ad epoche ben precedenti la fondazione di Akragas, l’antica città fondata dai Greci nel VI secolo a.C. primissimo nucleo dell’oggi moderna e ingombrante Agrigento.
Dopo il primo viaggio è stato difficile non pensare di ritornare prestissimo per esplorare ulteriormente questo luogo, come le stagioni cambiano la sua luce e le sue possibilità di viverlo e rappresentarlo attraverso la fotografia. Un crocevia e confine culturale per definizione, affacciato sul mare libico, un mare purtroppo oggi non più famoso come allora per i suoi fiorenti commerci ma per chi perde la vita per attraversarlo in cerca di un futuro migliore di fronte ad un’Europa cieca e indifferente. È proprio negli anni della costruzione del Museo Archeologico ad opera dell’architetto Franco Minissi, gli anni ’60, che il sito cambia radicalmente per assumere le sembianze in cui lo vediamo oggi. La città si espande enormemente, brutalmente, in tutta l’evidenza della sua posizione. Nel frattempo le rovine dei templi attraverso la nuova illuminazione notturna regalano nuove esperienze e visioni.
Oggi è possibile visitare la Valle anche dopo il tramonto, camminare al buio quasi senza meta cercando di non inciampare tra un capitello di 2500 anni fa e un gatto randagio, assorbendo le sensazioni e i profumi più intensi del Mediterraneo. A volte sperando anche di non incontrare una colonna di turisti venuti dall’altro capo del pianeta, magari di passaggio solo per poche ore nell’isola. Fermarci da soli in questo luogo e guardare il miracolo della durata del suo paesaggio circostante ci riconcilia con il nostro essere al mondo e con la nostra transitorietà.
Claudio Gobbi – La visione trasparente. Museo Archeologico Regionale Pietro Griffo, Agrigento. A cura di Giusi Diana. Fino all’11 ottobre. Si ringraziano Il Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi di Agrigento, Ruber.contemporanea, Palermo e il programma Strategia Fotografia 2023 della DGCC del Ministero della Cultura.
Testo di Claudio Gobbi
A cura di Camilla Boemio
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