Destinazione Giappone, tra Madame Bonjour, Anime girl, il kodokushi e l’arte del silenzio.
Non ero mai stato in Giappone fino al 2018, quando ho ricevuto un invito da Tokyo Arts and Space per una residenza artistica di tre mesi. Provenendo da lunghi periodi in Medio Oriente per la realizzazione di progetti d’arte sulla società islamica e il mondo dei rifugiati, la cultura giapponese rappresentava per me un mondo totalmente nuovo. Era una sfida affascinante, un puzzle da svelare. Ogni giorno il Giappone si è insinuato dentro di me, trasformandomi in modo sottile ma profondo. Ho investigato la società giapponese attraverso video e fotografia, esplorando storie personali, memorie e, soprattutto, ciò che avviene ai margini della società. Ho iniziato questo percorso dalle parole chiave che da un lato descrivono la psicologia giapponese e dall’altro delineano gli aspetti di una società chiusa, solidale e fortemente strutturata, ma anche estremamente individualista, con una radicata etica del lavoro e il mito del successo personale.
La cultura giapponese è stata profondamente influenzata dal suo essere storicamente una società chiusa all’esterno – un arcipelago nell’oceano – esposta a catastrofi naturali come tifoni e terremoti. Questo isolamento ha reso cruciale per la società stessa il rimanere saldamente unita, poiché essere esclusi poteva significare la morte sociale e fisica. Una parola chiave che ha caratterizzato il mio progetto è chinmoku, il silenzio. Per i giapponesi il chinmoku non è solo l’assenza di dialogo, ma un linguaggio non verbale ancora più ricco di significati impliciti e profondi. È un concetto che contribuisce a spiegare fenomeni di marginalità posti sotto silenzio quali l’hikikomori, ovvero l’isolamento volontario e prolungato soprattutto di giovani che si ritirano dalla vita sociale, il kodokushi, ovvero la morte solitaria degli anziani, la negazione del fenomeno migratorio e così via. La mia ricerca si è concentrata su questi fenomeni non da un punto di vista sociologico, ma attraverso le storie dei protagonisti: dalla drag queen all’hikikomori, dal migrante – ho organizzato una cena con la comunità siriana di Tokyo – al povero che vive per strada in povertà. Altre due parole chiave hanno influenzato profondamente la mia ricerca: tatemae e honne. Il tatemae rappresenta il comportamento educato e le convenzioni sociali da osservare in pubblico, una facciata di conformità; l’honne, invece, si riferisce ai veri sentimenti e desideri che non devono essere espressi pubblicamente per mantenere l’armonia sociale.
Il mio obiettivo era svelare la marginalità dall’interno, illuminando ciò che si nasconde dietro la facciata del tatemae attraverso le voci e le esperienze di chi vive ai margini della società. Una delle comunità su cui mi sono concentrato è stata quella LGBTQIA+ dove ho incontrato Madame Bonjour che di giorno dirige un’ONG che si occupa dei diritti della comunità e della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, mentre di sera si trasforma nella drag queen più celebre di Tokyo. Ho sempre amato la scena cult del film Tacchi a spillo di Pedro Almodóvar in cui Miguel Bosè, vestito da drag queen, balla sulle note di Un Año de Amor, versione spagnola della canzone Un anno d’amore resa famosa da Mina. Ho proposto a Madame Bonjour di rivisitare e reinterpretare quella scena iconica e con mia grande sorpresa, ha accettato immediatamente rivelandomi di conoscere perfettamente tutte le parole della canzone di Mina.
Ho anche esplorato il fenomeno del kodokushi, un triste riflesso della marginalizzazione degli anziani. Soprattutto nelle metropoli gli anziani giapponesi spesso muoiono soli e vengono scoperti solo dopo molti giorni, quando la loro scomparsa diventa evidente agli occhi della comunità. Le famiglie, quindi, incaricano società specializzate di ripulire i loro appartamenti. Per approfondire questa realtà ho avuto l’opportunità di lavorare formalmente per una settimana con una di queste società. Le mie giornate di lavoro erano dalle 6 alle 18. Ogni giorno ero sul camion che visitava gli appartamenti per ripulirli. Ho documentato ciò che rimane dopo una morte solitaria ed esplorato le dimore talvolta abbandonate, raccogliendo le storie degli anziani vicini di casa dei defunti, cercando di dare voce a queste vite spesso ignorate. Ho seguito con attenzione anche la vitalità di altri aspetti della società giapponese fotografando una scuola di flamenco, come pure il fenomeno delle Anime Girl, le ragazze vestite come eroine di anime o manga che trascorrono la maggior parte della loro giornata nel quartiere di Akihabara. Questo materiale fotografico e filmico è ad oggi rimasto non editato, perché al mio ritorno in Europa ho ottenuto l’Italian Council e sono partito per il Libano per la realizzazione del mio film The Little Lantern. Oggi penso di avere la maturità ed il distacco necessari per porre mano ad un editing complesso, ma per me importante sulla società giapponese.
Testo di Mario Rizzi
A cura di Manuela De Leonardis
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