Categorie: Viaggi

Viaggi straordinari. Roberto di Alicudi nelle isole Eolie

di - 18 Agosto 2024

Sto andando a Capri, è una mattina di luglio, ho diciotto anni. Accanto a me sta seduto un signore alto, dinoccolato, col nasone. Le nostre ginocchia si urtano ogni tanto. «E lei perché va a Capri?». Io non capisco subito che quel “lei”, in realtà, sarei io. «Vado a fare i bagni da Luigi ai Faraglioni, poi torno». Il signore indossa una cravatta strana, sembra futurista, luccica nel sole. «Lei è napoletano, fa male a venire a Capri, perché poi non potrà tornare più indietro». “L’isola del sonno”, sta scritto sulla tomba di quel signore dinoccolato: ogni tanto vado a dirgli che aveva ragione. Prima di salutarci, lui si snoda la cravatta e me la regala, «tieni così ti ricordi di questo viaggio senza ritorno». Oggi è l’unica cravatta che possiedo.

ph. Marguerite de Tavernost
ph. Marguerite de Tavernost

Arrivo ad Alicudi l’undici settembre duemilauno. Ogni viaggio che intraprendo mi porta verso un’isola diversa. Alicudi è diventata casa, laboratorio, tragedia d’amore, inno alla solitudine. Guardo gli asini trasportare i miei colori, i libri, l’acqua minerale. I vetri, invece no. Quelli li devo portare io per cinquecento gradini. Me li passo da una mano all’ altra, mi taglio, li amo maledicendoli. Decido che devo cominciare a rubarli dalle case abbandonate. Vetri che hanno guardato il mare per tutta la loro vita, deformati dal sole, trappole di sguardi verso l’orizzonte. La notte vado a staccarne uno dalla casa di Maria. Lei sta in Australia, forse è morta, da lei vivono solo topi e fantasmi. La sera dell’undici settembre succede quello che sappiamo. Sto in una camera da pranzo, ci sono banconote appese ad un filo che va da una parete all’ altra, una bambola vestita da principessa, un frullatore, due servizi di piatti con i fiori. Sono i regali per Moira che si sposa. Non lo so perché i genitori l’abbiano chiamata così, credo sia un omaggio al mondo circense. Guardiamo gli aerei che si schiantano sulle torri gemelle mentre mangiamo i totani fritti. Capisco finalmente che la realtà non esiste.

ph. Marguerite de Tavernost
ph. Marguerite de Tavernost

Il viaggio alle isole Eolie è lento, io prendo la nave notturna da Napoli. Guardo la città allontanarsi mentre i gabbiani ci inseguono. Devo rispettare alcuni rituali: mangiare la pasta al forno, mangiare la cotoletta con cinque bustine monodose di succo di limone, mangiare le patatine fritte fredde, bere una bottiglina di vino rosso freddo. Non ci sono possibilità di cambiamento. Nella mia cabina c’è sempre caos, poggio i vetri antichi e le cornici sul letto. Una volta, inavvertitamente, calpestai un quadro che avevo dipinto. Si frantumò in mille pezzi taglienti. Erano belli lo stesso. Mi ricordavano i vetri colorati che si trovavano in acqua a Filicudi, dopo che un’onda anomala aveva investito i locali e le case del porto ed aveva distrutto e spazzato via la collezione di pitture su vetro del poeta Bonica. Per anni, immergendosi nelle acque dell’isola, intorno al molo, si vedevano vetri colorati luccicare sott’acqua. Una piccola scheggia con l’immagine di una Madonna, un frantume di occhio, un fiore. Trappole di luce per granchi.

La tomba di Anna Rossi

Stasera sono a Stromboli. Ci vengo ogni tanto per guardare gli scoppi del vulcano, sentire la Sua voce. Prima andavo a Ginostra, poi ho capito che lì sarei impazzito davvero. A Ginostra trascorrevo il tempo al cimitero, incantato davanti alla tomba di Lo Schiavo Giovanni, un bel signore con un paio di occhiali dadaisti. Le tombe delle isole raccontano storie affascinanti. Anche ad Alicudi frequento il cimitero. Ho adottato alcuni “fulminati”, povere persone che hanno avuto la disavventura di essere colpiti da un fulmine. Una di loro si chiama Anna Rossi ed aveva 42 anni quando restò fulminata. L’ho dipinta mentre corre fra i fichi d’india inseguita da un lampo di luce. Mi piace questa idea di tragedia dietro l’angolo, trovo che insegni molte cose, banali forse, ma ogni volta che sento parlare di responsabilità, carriera, ordine globale, mi ricordo di Maria che scappa inseguita da un fulmine. La mia prossima mostra sarà su di loro, i fulminati, e quindi su di me.

Roberto di Alicudi, La fulminata

Ho diretto la prua della mia nave verso Linosa. È che sto diventando vecchio e ho bisogno di camminare in piano, non potrò salire i cinquecento gradini di Alicudi per sempre. Sono arrivato sull’isola con tre vetri antichi, ho portato i colori, l’olio di lino e l’essenza di petrolio. L’isola è nera, gialla, punteggiata di gigli bianchi profumati. La notte ascolto il canto delle berte, gli uccelli notturni che popolano il versante più selvaggio dell’isola, come il pianto di mille neonati, come il suono di mille allarmi di case derubate. «Questo è il vero canto delle sirene, quello che Ulisse ascoltò durante il viaggio di ritorno verso Itaca». Nascono così i miei quadri sulle sirene, da veri e propri avvistamenti, epifanie del mostruoso. Sono sirene, mica attricette sexy. Hanno tre seni, mangiano e affogano marinai innamorati.

ph. Marguerite de Tavernost

Capri, le isole Eolie, Linosa, un mare popolato di presenze, di miti, sirene, mostri marini. Nei giorni d’inverno mi basta guardare il mare per vedere code e seni, ascoltare grida e risate di donne fra le onde. Ogni anno che passa determina un cambiamento nello zaino con cui viaggio. Sempre meno vestiti, sempre più prodotti che mi sembrano irrinunciabili, salvavita. Lo spray di acqua termale, il dentifricio salino, i campanelli da suonare ogni volta che ho pensieri tristi. Devo dipingere un santo che mi protegga, che mi voglia bene. Avrà orecchie d’asino e l’aureola. È che, come dice Luisa, dopo avere vissuto il pomeriggio blu di Capri, l’alba di vetro antico di Alicudi, il suono del respiro infuocato di Stromboli, non si può più tornare indietro. Io, almeno, non posso.

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