Categorie: Viaggi

Viaggi straordinari. Victoria Lomasko nelle Repubbliche post-sovietiche

di - 25 Agosto 2024

Non so quanto possa sembrare magica la parola “viaggio” in italiano, in russo è “путешествие,” che combina “cammino” e “seguire il cammino”; la parola è così priva di temporalità che, quando la pronunci, uno spazio inizia a srotolarsi come unapergamena. Scopro una differenza tra “travel” e “trip” (in russo come in inglese ci sono due parole diverse, ma mi sembra che in italiano ce ne sia solo una). A mio avviso, “trip” implica azioni diverse nel mondo fisico, non importa se per lavoro o per svago, mentre “travel” implica la trasformazione di una persona che ha intrapreso un viaggio.

Ad esempio, per il mio libro grafico The Last Soviet Artist, che è stato pubblicato recentemente in Italia, ho fatto sette viaggi e i titoli dei capitoli sono questi: Un viaggio a Bishkek, Un viaggio a Yerevan, Un viaggio a Tbilisi, Un viaggio in Daghestan, Un viaggio in Inguscezia, Un viaggio a Osh, Un viaggio a Minsk. L’obiettivo era raccogliere materiali; il mio lavoro verteva sulle intersezioni tra sociologia e giornalismo. Di questi viaggi ricordo diverse avventure: ad esempio, quando in Daghestansono stata quasi rapita per diventare una seconda moglie, oppure quando ho attraversato illegalmente il confine della Bielorussia durante la pandemia, nascondendomi in una grande borsa da viaggio.

credit Victoria Lomasko, The last Soviet Artist

Il singolo “trip”, considerato complessivamente insieme agli altri “trips”, ha formato un “travel” magico non solo attraverso il cosiddetto “spazio post-sovietico”, ma anche attraverso il tempo. Ha ispirato la mia trasformazione da giornalista graficaad artista e scrittrice.

Nonostante io sia nata e cresciuta nell’URSS, da bambina non ho mai viaggiato attraverso le repubbliche sovietiche. Invidiavo il ragazzo Dima, personaggio della rivista per bambini FunnyPictures, che salì su un aereo magico e visitò tutte le repubbliche in un giorno. Invece, i miei viaggi attraverso questi luoghi sono iniziati soltanto quando avevo più di trent’anni. Non volevo seguire il percorso degli artisti orientalisti russi, non volevo essere qualcuno che veniva da Mosca, il centro dell’ex impero sovietico, per raccogliere materiale “esotico”. Ho visitato solo i luoghi in cui ero invitata dalle comunità locali, per lo più gruppi femministi, per fare laboratori con scopi sociali, in cui i partecipanti condividevano le loro riflessioni e preoccupazioni. Molti sono diventati le mie guide, e io sono diventato la loro “matita” per documentare i problemi locali. A Yerevan, abbiamo vagato attraverso un quartiere storico che stava per essere demolito; a Tbilisi, abbiamo visitato un edificio occupato da persone senzatetto; in Daghestan, ci siamo imbarcati in una pericolosa spedizione verso alcuni villaggi in alta quota dove ancora oggi viene praticata la mutilazione genitale femminile.

credit Victoria Lomasko, The last Soviet Artist

Quando ero da sola, vagavo per la città, disegnando persone e paesaggi. Si può capire molto di un paese straniero semplicemente osservando con attenzione lo scorrere della vita quotidiana. Ad esempio, donne in hijab sedute sotto tendoni Coca-Cola, uomini con copricapi nazionali kalpak e ragazze in minigonna che camminano per le strade; le scritte sui cartelloni pubblicitari iniziano in kirghiso, continuano in russo e finiscono in inglese… Questa è l’Asia centrale, un luogo di commistione tra molte culture e influenze politiche. E questa è la Georgia, unpaese dove l’influenza della Chiesa ortodossa è incredibilmente presente. In tutte le città ho trovato reliquie dell’impero sovietico – un monumento comunista con il naso deteriorato, una stella a cinque punte decaduta o frammenti di mosaici pomposi.

credit Victoria Lomasko, The last Soviet Artist

Al contrario della monolitica rappresentazione proveniente dai libri sovietici, la conoscenza acquisita attraverso la moltitudine di storie che mi hanno raccontato le persone compone una sorta di tappeto colorato. Un vecchio daghestano si infuriava ricordando la deportazione di Stalin. Un altro anziano ha creato un museo di Josef Stalin nel suo giardino privato a Tbilisi. Una famiglia mi ha mostrato le torri medievali Ingusce. I tassisti e le guardie di sicurezza raccontavano di quando lavoravano come ingegneri nella loro “vita precedente e di come erano felici. Le persone ricordavano non solo il periodo di costruzione di uno stato utopico, ma anche il periodo della loro giovinezza. La matrice sovietica non è né una cosa buonauna cosa cattiva, è solo una parte delle nostre vite.

credit Victoria Lomasko, The last Soviet Artist

Se dovessi descrivere un viaggio in particolare, sceglierei un viaggio a Minsk. Come ho detto, ho attraversato il confine illegalmente nascosta in una grande borsa. Valeva la pena rischiare – sono andata per documentare la rivoluzione bielorussa del 2020. Come molte persone, credevo che se la maggioranza fosse scesa in strada, sarebbe stato possibile combattere il regime dittatoriale. Ricordo le donne con bandiere bianco-rosse, molte erano addirittura con i loro figli… la Piazza dei Cambiamenti, in cui il murale di protesta era distrutto digiorno dalla polizia, e di notte restaurato dai manifestanti. Le preghiere in chiesa per la libertà e la pace… conversazioni notturne in cucina sognando un futuro migliore. Ricordo anche come fuggivo dalla polizia per le strade di Minsk… quei grandi furgoni verdi della polizia spaventosi… una soffocante aula di tribunale dove i lavoratori che avevano promosso uno sciopero venivano condannati. Invece di assistere alla riuscita della rivoluzione, sono stata testimone della sua disfatta. Ad ogni modo, è stata un’esperienza inestimabile che ha arricchito la mia ricerca artistica. Ho capito quale sarebbe stato il tema principale del mio libro The Last Soviet Artist, il tragico divario che esiste tra le nuove e le vecchie generazioni.

credit Victoria Lomasko, The last Soviet Artist
credit Victoria Lomasko, The last Soviet Artist

“Alla fermata Frunzenskaja ci aspettano i cellulari con i cannoni ad acqua.” “Mamma, non pensavo che questo ponte fosse così lungo, non ce la faccio più.” Stavo tornando in Russia su un minibus che attraversava il confine attraverso una palude, nascondendosi dalle guardie di frontiera. Fuori dal finestrino c’era un soffocante cielo nero e acqua fangosa. Dentro il minibus le persone parlavano del fatto che Putin poteva inviare l’esercito russo in Bielorussia per spegnere la rivoluzione. Sono arrivata a Minsk come giornalista grafica, ma durante questo viaggio ho capito che i reportage non possono descrivere la Grande Storia che sta ricominciando nello spazio post-sovietico. Ciò di cui c’è bisogno qui non è giornalismo, ma arte. Ho finito gli ultimi capitoli del libro a Mosca. L’ho impaginato e l’ho inviato a diverse case editrici occidentali. Sono passate tre settimane e la guerra in Ucraina è scoppiata. È diventato chiaro che il viaggio di The Last Soviet Artist era finito. Pochi giorni dopo ho fatto la valigia e sono stata forzata a emigrare. Ma questo è un nuovo viaggio che non ha ancora una fine.

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