Categorie: Viaggi

Viaggi straordinari. Zoè Gruni a New York

di - 14 Agosto 2024

Zoè Gruni si definisce nomade, in viaggio fra continenti e culture, tra passato e presente: una viaggiatrice alla ricerca di comprendere la natura delle inquietudini esistenziali dell’essere umano. Zoè scandisce il suo linguaggio visivo attingendo alle radici dell’immaginario collettivo, concentrando la sua ricerca sulla possibilità di trovare forme visive che diano una risonanza ai sentimenti, ai ricordi e alle più intime paure individuali cristallizzate negli stereotipi di leggende e miti popolari”. Così scriveva Franziska Nori (oggi curatrice presso il Frankfurter Kunstverein, Germania) dieci anni fà, al momento del mio trasferimento in Brasile. Dopo molti viaggi fra Europa Asia e America Centrale, attraverso i quali ho incorporato una gamma di materiali e tecniche nella mia pratica artistica, mi ero trasferita in California dove ho vissuto fra il 2010 e il 2012.

Zoè Gruni

In quegli anni le mie performance migravano e si mimetizzavano in qualsiasi luogo, così come il processo creativo mescolava personaggi immaginati con quelli già esistenti nella tradizione mitica universale. “Copricorpo” che nascono e transitano in diverse culture e sono soggetti a metamorfosi ad ogni invenzione. Arrivata in Brasile non immaginavo che mi sarei trattenuta in Sud America per circa una decade e là sarei diventata madre. In questo periodo il mio viaggio si è fatto più analitico, ho avuto modo di inserirmi gradualmente in contesti sociali come le comunità LGBTQIA+ e le favelas. Ho accumulato un archivio di materiale denso di simboli e significati. Ho scoperto cose che non conoscevo: la saggezza dei popoli indigeni, il bagaglio della cultura africana portato dagli schiavi, il sincretismo religioso, il concetto di antropofagia, la lotta delle minoranze come la resistenza nelle comunità e le organizzazioni autonome.

Antony Riddle
Antony Riddle
Antony Riddle

Attraverso il mio progetto “Segunda pele”, portato avanti per due anni e concretizzatosi poi in un cortometraggio e un libro, ho vissuto un’esperienza collettiva che ha cambiato profondamente la mia ricerca. Determinante la riflessionesul concetto di “decolonizzazione del pensiero”attraverso lo studio del concetto di “Lugar de fala” (Da che luogo parli?) dell’attivista e filosofa brasiliana Djamila Ribeiro. Da allora mi interrogo costantemente sulla mia provenienza e quanto le basi della mia educazione influenzano il mio fare artistico. Dopo anni di incredibili avventure e stanca della sensazione di pericolo costante, ho deciso di tornare in Italia per far studiare mio figlio. Ritrovando le mie radici ho poi ripreso a viaggiare, questa volta in accordo con i ritmi del piccolo che a poco a poco sta crescendo e diventando un compagno di viaggio. Dopo vari spostamenti fra Europa, Caraibi e Nord Africa ho sentito la necessità di tornare negli Stati Uniti per conoscere New York. Il mio lavoro artistico era già stato là più volte ma io non ancora. Oltre alla curiosità di conoscere questa incredibile città composta da tante anime al suo interno, avevo fissato un incontro con un giovane fashion designer. In seguito alla pubblicazione di una mia opera su una pagina di arte su Istagram, che ha stuzzicato particolare interesse nel mondo della musica dark e del design, Antony Riddle mi ha contattata. Parlando ci siamo da subito identificati l’una nell’altro e abbiamo continuato a parlare in chat per mesi.

Antony Riddle

Il nostro lavoro, se pur appartenente a mondi diversi, ha chiaramente dei punti di contatto. Ho sentito l’urgenza di incontrarlo di persona per captare la sua energia; dovevo assolutamente capire il suo pensiero! Nelle immagini sfocate realizzate con una piccola camera analogica, Antony cattura attimi singolari in cui i suoi outfit, pensati come estensioni del corpo in continua trasformazione, dialogano con il corpo di giovani della periferia newyorkese e con l’ambiente urbano circostante. L’imperfezione diventa un valore aggiunto, un’atmosfera. Si percepisce una sensazione di disagio specchio di questa “società liquida” come la definirebbe Zygmunt Bauman, che ci travolge con la sua estrema rapidità. Immagini “cool” legate alla società contemporanea sono veicolate dalla realtà virtuale e la comunicazione si articola attraverso i social network. Mi domando quanto, in questo flusso continuo, le immagini non si stiano svuotando di significato piuttosto che aggregarne. Nelle immagini di Antony appaiono spesso armi e incontri di box mentre nei suoi logo-tipo ricorrono immagini relative al suicidio. Ero interessata a capire i motivi e l’urgenza per un giovane stilista americano di sollevare questi temi. Ci siamo dati appuntamento in Midtown all’incrocio fra la 138 W e la 29thSt. Non avevo mai visto il suo volto quindi scrutavo i passanti facendo supposizioni. Una figura alta e magra con capelli lunghi fino al ginocchio, mi viene incontro sorridente. Sono rimasta colpita dai suoi movimenti lenti e lo sguardo timido ma arguto. Dalla borsa a tracolla uscivano curiosi lembi: una sorta di braccio rosa fluorescente, un ammasso di pelo verde chiaro e un giubbotto antiproiettile bianco.

Antony Riddle

Abbiamo camminato per ore attraversando diversi quartieri della città, alla ricerca di set adatti per realizzare qualche scatto fotografico. Nel frattempo parlavamo della società contemporanea e di quanto l’arte ci aiuta a esorcizzare il disagio e la paura. Mi ha raccontato che molti suoi coetanei possiedono armi e se ne vantano senza rendersi conto del potenziale pericolo; di quanto la depressione incide in questa fascia etaria e spesso sfocia in suicidio. E mentre tutto questo accade parlare di certi temi rimane un tabù. Forse gli artisti possono far luce su certe tematiche per sensibilizzare gli altri? Ho deciso così di indossare le sue creazioni: uno scambio diretto, una connessione, forse il punto di partenza per una nuova collaborazione.

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