Alla Fabbrica del Vapore si è salutato l’anno con qualche giorno di anticipo. Il Comune di Milano, in collaborazione con l’Associazione Artematic, ha organizzato CityDanceFloor, una serata all’insegna del mixing media: dj e vj set, visual, cortometraggi e installazioni hanno “invaso” il piazzale esterno e la struttura interna della Fabbrica, in un flusso di musica e immagini i cui protagonisti, accanto a dj e vj già affermati, sono stati artisti esordienti provenienti dall’Archivio Giovani del Comune .
All’esterno, una cupola trasparente del diametro di 6 metri ha visto alternarsi durante la serata diversi dj noti soprattutto per il sound sperimentale e innovativo dei loro set: Joey Skye, dj londinese che si alterna nei club europei e americani, gli Agatha crew, resident dj del Brancaleone di Roma, i Weekendance e Alessio Bertallot. Nella struttura interna invece, il mix era curato dai Korinami crew, dj selezionati, come gli artisti, dall’Archivio Giovani.
La suddivisione interno/esterno investiva anche la parte video: nel piazzale, sui due schermi ai lati della cupola, venivano proiettate, oltre a visual e corti, immagini create per la serata dai Visual Factory, gruppo di vj specializzati in eventi e installazioni legati al mondo del video, e da Zeta_LAB,
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"Nous étions devant l'image, nous sommes dans le visuel. La forme-flux n'est plus une forme à contempler mais un parasite en fond: le bruit des yeux. Tout le paradoxe de notre âge réside en ceci: qu'il donne la suprématie à l'ouïe, et fait du regard une modalité de l'écoute. Le visuel est devenu une ambiance quasi sonore" (R. Debray, Vie et mort de l'image. Une histoire de l'image en Occident).
Alcune riflessioni a proposito di CityDanceFloor, l'ennesima rivisitazione secondo la formula di Visual E di opere di artisti milanesi esordienti, provenienti dall'Archivio Giovani del Comune di Milano. Il procedimento prevede la selezione di alcuni lavori (dipinti, fotografie ma anche video, fumetti e poesie), la loro elaborazione visiva grazie agli applicativi informatici e la loro videoproiezione mixata con la musica di dj tendenza.
Con la sua convinzione che il computer introduca una nuova 'plasticità' nelle immagini e nei testi che, riversati su supporto informatico, cessano di essere opere realizzate per diventare oggetti virtuali, suscettibili di infinite variazioni, CityDanceFloor esemplifica in modo particolarmente pregnante l'idea di Debray secondo la quale nell'epoca del visivo lo sguardo è ridotto a una modalità d'ascolto.
Se ogni opera d'arte è infatti espressione di un punto di vista sul mondo, dell'incontro di due alterità (lo sguardo soggettivo e il mondo su cui qusto sguardo è rivolto), la riduzione dell'oggetto artistico a incorporeo flusso visivo annulla ogni apertura dell'opera d'arte sul mondo per porre l'immagine come centro autoreferenziale della rappresentazione stessa. Non c'è più una ri-presentazione di una realtà altra e preesitente che fa resistenza alla rappresentazione, ponendosi contemporaneamente come inesauribile sorgente di senso, ma presentazione di un'immagine, svincolata da ogni rapporto con il reale, che dà se stessa come reale.
In altre parole, il flusso di immagini che contraddistingue le installazioni di CityDanceFloor non è fatto per essere osservato. Il principio che sta alla sua base infatti non è l'espressione di un punto di vista, di uno sguardo unico sul mondo ma la ripetizione, il loop tautologico e stucchevole di un'immagine che non ha niente da proporre se non se stessa, mentre a chi si propone di guardarla viene a noia dopo pochi minuti.
Quella di CityDanceFloor è una tecnica parrasita che vampirizza l'opera di partenza per privarla del suo senso originario, del suo sguardo, per trasformarla in un'immagine che si esaurisce nell'esibizione di se stessa: l'opera di partenza viene ridotta a rumore di fondo, indistinto ed indifferenziato.
Non più un soggetto dietro lo sguardo ma una visione senza sguardo.