Nel tracciare una delle filosofie più immaginifiche della storia, incentrata sulla nozione di immaginazione materiale, Gaston Bachelard delineava una folle teoria antiumanista delle immagini. Il filosofo francese liquidava la concezione banale della facoltà di immaginare intesa come capacità di creare dal nulla, per rilevare invece un incessante e più inquietante passaggio tra realtà e immaginario. “L’immaginazione è la facoltà di deformare le immagini fornite dalla percezione, la facoltà di liberarci dalle immagini prime, la facoltà di mutare le immagini”. E la nozione di mutazione è il filo conduttore dell’edizione 2002 di Invideo che con una cinquantina di opere selezionate delinea un panorama della produzione videoartistica contemporanea. La mutazione perenne connota l’essenza dell’immagine elettronica e stabilisce un rapporto diverso, di reciproca implicazione piuttosto che di esclusione, tra realtà e virtualità, tra realismo e astrazione, tra corpo e tecnologia. E’ in particolare la videodanza a lavorare sul rapporto tra la realtà del corpo e le infinite potenzialità di metamorfosi fornite dalla tecnologia. Ampio spazio quindi nella XII edizione del festival milanese alla danza elettronica, con la coreografia acquatica di Undercorrent di Cathy Greenhalgh e Rosemary Butcher, le metamorfosi del corpo in Scrub Solo 3: soliloquy di Antonin De Bemels, le ricerche visive sul poema di Ovidio di Margit Frank, o la rilettura digitale della breakdance nel videoclip Napoli Anthem diretto da _assemble per la drum’n’bass dei Nevrotype. Due nuove opere, Artimisia e Reflections anche per Susanna Carlisle, videoartista di Philadelphia che aveva presentato l’anno scorso una reinterpretazione elettronica della danza butoh, con una progressiva disintegrazione del corpo della danzatrice, processato con l’ausilio di Image/ine, software scritto da Tom Demeyer, collaboratore anche di Steina Vasulka. Tra videodanza e videoarte si stabilisce un corto-circuito per cui contemporaneamente la videodanza è un genere della videoarte e la sua essenza più poetica. Allo stesso modo il video musicale è il luogo di una costante dialettica tra sperimentazione e creazione di cliché visivi, tanto da essere definito “la prima televisione postmoderna” ed avere un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei codici stilistici delle immagini in movimento. Inaugurata l’anno scorso con la serata dedicata a Chris Cunnigam, l’esplorazione nello spazio ad alta densità visiva del videoclip prosegue anche quest’anno con una selezione dei video di Anton Corbijn. Il grande fotografo olandese, con il suo particolare stile di visione, i raffinati bianco/nero e un uso speciale del fuori-fuoco, ha rivoluzionato i cliché dei videoclip degli anni 80, proponendo un approccio più scuro e cinematografico e creando un indelebile immaginario post-punk. In particolare sono i suoi video per i Depeche Mode, per i quali ha curato anche le copertine dei cd e il visual design dei tour mondiali, a farlo conoscere al grande pubblico. Personal Jesus, Enjoy the silence (con David Gaham vestito da re), I feel you sono alcuni dei grandi successi dei DM a cui ha contribuito una immagine dark costruita da Corbijn. Ma Corbjin ha collaborato anche con altri artisti di fama mondiale, dagli U2 (è sua la copertina di The Joshua tree), ai Nirvana per i quali ha diretto Heart Shaped Box (MTV Video Award nel 1994), ai Joy Division di Atmosphere, ai Mercuri Rev di Goddes on a highway e Opus 40.
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Mostra Internazionale di video d’arte e cinema oltre
Milano, Spazio Oberdan
Viale Vittorio Veneto 2, Milano (M1 Porta Venezia)
6/10 novembre 2002
ingresso libero
orari (sala proiezione e schermo al plasma)
mercoledì 6: ore 21.00 – 23.30
da giovedì 7 a domenica 10: 15.30-19.30 / 21.00-23.30
info:
web site: www.mostrainvideo.com
email: info@mostrainvideo.com [exibart]