Parliamo del suo rapporto con la musica. Nei suoi video utilizza un tecnica simile a quella usata dalla musica concreta: registra la realtà, manipolando poi i frammenti registrati, riorganizzandoli, operando con la postproduzione per ottenere un risultato che superi i limiti della narrazione puramente lineare. Ma ci sono delle differenze tra suono e immagine…
Ci sono effettivamente delle differenze: i procedimenti che ho appreso quando ho seguito lo stage di musica concreta mi hanno permesso di affrontare allo stesso modo il lavoro sull’immagine, cioè di partire dall’immagine reale e rielaborarla per de-documentarizzarla, per allontanarsi dall’approccio documentaristico, giornalistico, e per permettere a questa immagine di andare nella direzione della mia poetica. Una poetica della visione del mondo in cui l’immagine è snatuarata a livello di colore, ripresa a livello di sviluppo nel tempo. Lavoro molto con il ralenti, mi piace trattenere il tempo per permettere a una storia nuova di “raccontarsi” nel tempo della storia normale. Mentre si sviluppa nella sua velocità normale, la storia è già contenuta nel suo evolversi, il tempo dilatato fa diventare “fiction” la realtà. Poi il suono e l’immagine compongono l’opera finale: il video ha allo stesso tempo una colonna sonora e delle immagini, ed è proprio l’aspetto audiovisivo la finalità del mio lavoro. Sono il suono e l’immagine, entrambi rielaborati, che formano un elemento che chiamiamo opera di videoarte.
Il tempo è molto importante nei suoi video?
Certo, è importante, come per molti altri artisti. Nel mio caso ne ho scoperto l’importanza anche grazie a dei critici che hanno scritto sulle mie opere, specialmente Sandra Lischi nel suo libro Il respiro del tempo, dove affronta tutte le questioni della composizione, della scrittura e del lavoro sul tempo. Per me è essenziale il momento in bilico tra due stati: veglia-sonno, vita-morte. Il momento in cui l’immobile si mette in movimento…
Nei suoi video hanno un certo rilievo anche le persone (come in Karine, Juste le temp, Solo, 7 visions fugitives). Che cosa la seduce delle persone che riprende?
Ho seguito Karine da zero a sei anni e ho compreso come il tempo l’ha cambiata, mentre per le Visiones fugitives, filmate in Cina, il mio amico Michel Chion ha coniato l’espressione “anonimo singolare”: ogni persona per me rappresentava un’identità. Infine in In juste le temps riprendo due personaggi, un uomo e una donna, che possono incrociarsi per far vivere l’esperienza del passaggio.
I miei sono spesso incontri istantanei: un approccio in cui cerco la verità dell’altro e non la trovo mai, ma so di interporre nell’istante, nell’immagine, una realtà che funziona da specchio, dove ritroviamo noi stessi.
La tecnologia moderna offre la possibilità d’intervenire sull’immagine filmata, di manipolare le immagini anche in tempo reale e le pratiche dei live media sono particolarmente legate alla musica. Quali prospettive vede in questa direzione ?
Non lavoro con questo tipo di tecnologia… Sono della vecchia scuola! La manipolazione dell’immagine in tempo reale facilita la sperimentazione, ma non facilita la creazione. Uso da più di 30 anni macchine che diventano sempre più perfezionate: ho imparato a servirmi delle macchine, ma cerco di tradurre sempre le stesse sensazioni, lavoro sulle stesse emozioni da trasmettere. La macchina è semplicemente l’attrezzo che mi permette di raggiungere un risultato grazie al lavoro del tecnico. Io lavoro sempre con altre persone, come il cineasta lavora con un’equipe, ho bisogno di lavorare con qualcuno per avere una prospettiva, un dialogo, anche una critica sul lavoro di creazione. E c’è bisogno di tempo per considerare quello che è stato creato nel momento dell’esecuzione.
articoli correlati
Robert Cahen allo Zô di Catania
Cinema e arti elettroniche. Cinque giorni di convegno a Roma
Paradossi
Festival Nemo
bio Nato nel 1945 a Valence, in Francia, Robert Cahen si laurea al Conservatoire National Superieur Musique de Paris e studia con Pierre Schaeffer, fondatore della “musica concreta” (musica e suoni in generale registrati dal vivo, poi rielaborati, decontestualizzati e rimontati). Dal 1971 al 1974 è membro di un gruppo di ricerca presso l’ORTF (Office de Radiodiffusion Télévision Française) e dal 1973 al 1976 è direttore di video sperimentazione per l’ORTF/INA (Institut National Audiovisuel). Cahen ha sempre esplorato in maniera dialettica la fotografia, il cinema e la musica: i suoi video sono caratterizzati dalla manipolazione dell’immagine e del tempo filmico, dalla giustapposizione di elementi fissi e in movimento, dalla decontestulizzazione e dalla rottura della narratività, con una grande attenzione alla parte sonora.
Autore di numerosi video e installazioni, le sue opere sono state ospitate in tutto il mondo, dalla Biennale di Parigi al MOMA di New York, da Documenta 8 al Festival di Locarno.
La proiezione al Centre Culturel Français di Milano ha messo in luce un percorso sperimentale in cui l’artista ha sempre “indagato” i generi del video e le altre arti che ad esso potevano collegarsi.
intervista a cura di monica ponzini
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Si intitola “Lee and LEE” e avrà luogo a gennaio in New Bond Street, negli spazi londinesi della casa d’aste.…
Un'artista tanto delicata nei modi, quanto sicura del proprio modo d'intendere la pittura. Floss arriva a Genova in tutte le…
10 Corso Como continua il suo focus sui creativi dell'arte, del design e della moda con "Andrea Branzi. Civilizations without…
Tra progetti ad alta quota e una mostra diffusa di Maurizio Cattelan, il programma del 2025 della Gamec si estenderà…
Lo spazio extra del museo MAXXI di Roma ospita un progetto espositivo che celebra la storia della Nutella, icona del…