Giovane e versatile, Vincent Pluss opera una continua commistione tra cinema e video. Invideo 2003 gli ha dedicato, l’8 novembre a Milano, una piccola rassegna che ha toccato tutti gli ambiti della sua produzione. Così, accanto ad un cortometraggio dall’impianto classico, sono stati presentati lavori più sperimentali, come le opere di videodanza e un lungometraggio basato sull’improvvisazione. Per “trovare un metodo di lavoro che possa inglobare anche gli imprevisti”.
Tu e altri cineasti svizzeri avete fondato il movimento Doegmeli, “gruppo di riflessione, di contatto e di pressione per l’avvenire del cinema svizzero”, prendendo come spunto Dogma 95. Come è nata questa esperienza?
C’è una nuova generazione di cineasti che è convinta che in Svizzera ci siano molte potenzialità, energia, volontà, che sanno di avere molto da dire. Ci siamo rifatti a Dogma perchè pensiamo sia un fenomeno che rispecchi le condizioni in cui ci
Nel tuo corto L’heure du loup, c’è una scena in cui il protagonista tiene fra le proprie braccia il padre morto, sul letto, durante la vestizione del cadavere. Un riferimento a “Sussurri e grida” di Ingmar Bergman, quando la serva tiene fra le braccia la padrona morta?
Non saprei… Ho scoperto a posteriori che L’heure du Loup è il titolo di un film di Bergman meno noto. sicuramente è un regista che ammiro molto e che ha avuto un’influenza su di me, anche se non ho pensato direttamente a lui per questo film. Il corto vuole rendere l’intensità dei rapporti senza molte parole, l’architettura di un “universo famigliare” fatto soprattutto di donne, in cui l’unico l’uomo valido è il protagonista, oltre al padre morto di cui dovrà prendere il posto, e al figlio bambino. Ho cercato di mostrare relazioni molto forti, che non si trasmettono con le parole e, sì, anche in Bergman si trovano spesso rapporti famigliari di questo tipo.
Ma, escludendo Bergman, quali sono i registi che ami di più?
Per esempio Fellini, Rossellini…
Nessun legame con Lars Von Trier?
Certo. Anche lui.
Parliamo dei tuoi lavori di videodanza: spesso in questi video ti soffermi soprattutto sui corpi dei ballerini, ti avvicini fino a sfiorarli. Cosa pensi del rapporto tra video e corpo?
La videodanza per me è il tentativo di trasmettere le qualità fisiche della danza attraverso le immagini, da parte di qualcuno che ha egli stesso delle emozioni, che può essere a tratti calmo e a tratti attraversare un’esperienza particolare. Il regista ha delle emozioni e trasmette le proprie esperienze fisiche attraverso la videocamera: chi filma la danza si pone questioni essenziali sul movimento, sull’immagine, sullo sguardo e sul corpo.
L’avvicinarsi implica poi che lo spettatore ha un punto di vista e un rapporto privilegiato con lo spettacolo, è obbligato a partecipare in un certo senso all’azione.
Hai un esempio a tal riguardo?
Quando ho filmato The Moebius strip non ho tentato di rendere il disegno geometrico della scena, perchè non era quello lo spettacolo, non era quello che volevo trasmettere, ma l’esperienza dei ballerini: volevo essere parte di un’esperienza comune con i ballerini. E quando i ballerini l’hanno visto, hanno detto “Ma è pazzesco, è proprio quello che proviamo quando danziamo!”. Il film offre dunque la possibilità di stabilire un rapporto tra spettatore e ballerini -un’esperienza fisica e personale- e ogni spettatore reagisce, risponde in maniera diversa. E’ questo che mi interessa molto, sia nei lavori di videodanza che nei lavori di fiction: di proporre allo spettatore un’esperienza personale, una storia, di farne parte, di trovare lui stesso una
Nel quadro del film On dirait le Sud, poi, il cameraman è esattamente come noi nel rapporto di scoperta dell’imprevisto, del non conosciuto. Io stesso quando vedo un film spero di essere coinvolto in una storia che mi sorprenda.
Dalla piccola rassegna che hai presentato a Milano emerge che usi tecniche diverse, dalla pellicola al video, dalla fotografia classica agli effetti dai colori acidi… Quali sono i tuoi progetti, su che linea intendi continuare?
Per ora penso di concentrarmi su un lungometraggio di fiction, più complicato. Continuerò certamente a fare dei lavori legati alla danza e alla musica, ma più per passione personale, per lavorare con altri artisti, dato che è molto più difficile finanziare quel tipo di film. La mia strada è il cinema classico, ma continuo ad integrare elementi di sperimentazione e di ricerca all’interno di questo cinema.
Si sta evolvendo il rapporto tra cinema tradizionale e di ricerca?
Mi auguro veramente che le forme di sperimentazione abbiano sempre più posto nel cinema: l’arte e danza contemporanea, la musica elettronica si prendono sempre più libertà e la gente ascolta, capisce. Anche il cinema “normale” sta per essere messo in discussione dai lavori di ricerca, dalle voci personali: il pubblico è curioso, va a vedere esperienze più sperimentali. Sì, penso che andiamo decisamente in quella direzione…
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monica ponzini
bio: Vincent Pluss (Ginevra, 1969) ha studiato cinema presso la New York University e la Film & Television School; ha in seguito lavorato come assistente del regista Richard Reiss e ha collaborato con Pascal Magnin, Luc Peter e Pico Berkowitch, Elliot Caplan. Alterna l’attività d’insegnamento all’Ecole de Beaux-Arts di Losanna a quella di regista, montatore e produttore di fiction e documentari per Intermezzo Films, casa di produzione da lui fondata a Ginevra.
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