Ha sede a Bologna, presso l’Istituto Parri, l’archivio filmico dell’Italia privata fondato dall’associazione culturale Home Movies. Dal 2001 raccoglie e restaura i film “amatoriali” girati in occasione di feste e rituali familiari, che testimoniano e documentano la storia sociale italiana dagli anni ‘20 agli anni ‘70.
Un archivio che si è composto nel tempo grazie a film girati in 8mm, Super 8 o 16 mm, a seconda dei periodi storici e comunque prima dell’avvento del video. Si tratta di documenti ritrovati in luoghi dimenticati, com’è accaduto con le bobine del Circo Togni, che giacevano in condizioni drammatiche in un carrozzone abbandonato della famiglia circense.
Home Movies e il laboratorio di restauro del Dams di Gorizia hanno riversato su supporto digitale questi straordinari materiali, che sono stati poi presentati a festival cinematografici e convegni internazionali come l’AMAI – Association Movies Images Archivist di New York.
Un riscatto rispetto all’oblio a cui erano destinati questi film, visto che, con l’affermarsi del video, il cinema del formato ridotto è stato del tutto abbandonato. Home Movies, oltre a fornire una copia gratis del film in dvd che è stato loro consegnato, li presenta in contesti eterogenei come il Festival Vj Culture 05 all’Institute of Contemporary Art di Londra, Netmage a Bologna, o durante la Giornata mondiale per il patrimonio audiovisivo Unesco.
Questi film “amatoriali” invitano a riflettere sul valore di ogni singolo fotogramma e sull’apparente naturalezza di alcuni sguardi in macchina, che indicano la vulnerabilità e l’apparente inadeguatezza di corpi non abituati a essere ripresi da una telecamera. A questo proposito, in
Storia del documentario italiano Marco Bertozzi scrive: “
Cosa significa cinema d’amatore? Qualcosa di inconsapevolmente dilettantesco? O un cinema vero appassionato, un cinema che appunto ‘ama’, che se ne infischia dei professionismi e dell’industria e reintroduce quella creatività ‘casalinghe’ sinora concesse quasi esclusivamente ad arti quali la poesia o la pittura? Ma non fa eco, in qualche modo, a tutto il cinema di Pasolini, di Grifi di Agosti? Agli splendidi documentari di De Seta girati con la moglie e un aiutante?”.
Un altro esempio da ricordare è
Jonas Mekas, che ha più volte dichiarato di non fare nient’altro che home movies, film di famiglia che registrano le situazioni a lui più vicine, come se si trattasse di una sorta di diario infinito. Oppure le pratiche di
Dziga Vertov con il kinoglaz, cinema che non coglie grandi eventi storici, quanto tracce e frammenti di gesti e situazioni quotidiane. Oppure basta pensare alla diffusione del
found footage in ambito artistico, avvenuta negli ultimi anni. Si pensi alla camera analitica utilizzata da
Yervant Gianikian e
Angela Ricci Lucchi, che recuperano archivi documentari, com’è accaduto con la collezione privata di
Luca Comerio (1876-1940), pioniere del cinema di documentazione, e in tante loro opere, da
Oh! Uomo a
Prigionieri della guerra, a
Inventario Balcanico.
Con il
found footage si possono realizzare film di compilazione, composti quindi da materiali assemblati, come accade in alcune opere di
Deimantas Narkevicius,
Hito Steyerl,
Gintaras Makarevicius e
Zbyněk Baladrán, oppure film dal carattere più personale, costruiti con materiale ritrovato che viene poi modificato e ri-fotografato fotogramma per fotogramma.
Si crea così una diversa, inesplorata storia del cinema, come ha indicato già nel lontano 1939
Joseph Cornell con il suo straordinario
Rose Hobart, che permette – come nelle
Histoire(s) di
Godard – di ri-scoprire e re-inventare il nostro sguardo.