Nell’era postmoderna l’anima è
diventata un oggetto scabroso. Un tempo esaltata come un corpo sottile che
insuffla la vita in una materia corruttibile come la carne, l’anima è oggi
finita sul banco degli imputati, rea di aver occupato, lungo il corso dei
secoli cristiani d’Occidente, l’intera scena dell’umano dramma esistenziale,
relegando la carne a una parte da “caratterista”, spesso grottesca e di secondo
piano. Una parte che ha dato sale alla
pièce per secoli. Anche per questo il
corpo è balzato in primo piano, da quando la fine delle ideologie ha decretato
anche l’indebolimento delle dualità amalgamando spesso gli opposti.
Questa edizione appena conclusa di
Arte Fiera sarà ricordata per aver accolto su un’unica scena l’anima di
Arvo
Pärt, il Mozart
del Nord che scrive la propria musica sotto indicazioni degli angeli (così
almeno sostiene), e il corpo di
Bill Viola, assorto a una dimensione spirituale grazie alle
tecnologie
dell’intangibile di cui l’artista newyorchese rappresenta ormai la classicità.
Il
Diario
dell’anima di
questi due autori di primo piano della spiritualità postmoderna è un incontro
tra note e visioni capaci di colpire i sensi con una forza nuova e antica.
Lontani dai rumori del pop o dalle violenze dell’espressionismo, i due esaltano
una pratica sempre più in disuso, che rischia l’oblio. La contemplazione.
Lo spettacolo si apre su un muro
di fiamme che crepita con il clamore di un sistema audio 4.1, un suono in 3d
che si diffonde da uno schermo alto una decina di metri sopra l’altare della
chiesa sconsacrata di Santa Lucia, nel centro di Bologna. Una figura cammina
incontro allo spettatore, poi cade in uno specchio d’acqua che lentamente si
fonde con le fiamme fino a diventare un’astrazione limpida quanto “impossibile”
che stupisce i sensi, confonde la mente, porta allo smarrimento ogni punto
d’appoggio. Miracolo percettivo di transustanziazione della materia. L’opera
video è
Fire Woman e, insieme a quella che chiuderà la serata
Tristan’s Ascension, fanno parte di
The Tristan
Project, creato
per l’opera di Richard Wagner
Tristan Und Isolde, messa in scena da
Peter
Sellars nell’aprile 2005 a l’Opera di Parigi. Potere massimo del teatro d’opera
odierno, quello di convocare l’arte contemporanea nel tempio della musica del
passato.
Tra i due video, la musica del
compositore estone e residente a Berlino propone un
ensemble variabile che sfoga la propria
inquietudine nella ricerca timbrica, nell’assemblaggio di strumenti diversi e
anche lontani: il punto più alto è
Spiegel im spiegel per pianoforte e flauto basso. La
grazia triadica delle battute e ribattute del pianoforte si sostiene sulle note
morbide, cotonate del flauto.
Nella sua semplicità, che ricorda vagamente le
migliori partiture dell’
Eric Satie pianista, questo brano espone in modo chiaro l’originale
stile compositivo che ha reso celebre Pärt. Il suo “
Tintinnabuli” è un principio architettonico di
costruzione della musica interamente poggiato su triadi e scale tonali. E
siccome Pärt sostiene che “
la musica è come il latte materno”, essa deve essere più pura
possibile, mondata da ogni attaccamento alla vita mondana. Una musica che pare
fatta di cristalli, intagliati con abnegazione da esecutori che devono
interpretare “sentendo” ciò che suonano.
“
È sufficiente suonare bene una
sola nota”,
sostiene Pärt, appoggiando un’estetica minimalista secondo cui vale la regola
del “
less is more”.
L’architettura di
Mies van der Rohe sembra concretizzarsi dentro queste strutture di suoni in
cui la voce umana ottiene un posto di primo piano, come dimostrano
Zwein
Wiegenlieder e
soprattutto
L’a
bbè
Agathon con la
sua parabola evangelica.
Chiude la serata un’ascensione che
avviene attraverso l’acqua di una cascata che sale al cielo portandosi via il
corpo di un Tristan deposto. Le ultime gocce tintinnano e sono i puntini di
sospensione di un incontro tra “eletti”, di cui Arte Fiera ha regalato un primo
esempio, in attesa della prossima edizione.
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