19 aprile 2024

Biennale di Venezia 2024: cinque padiglioni da non perdere ai Giardini. Più uno

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Le atmosfere glamour della Francia, l'autocritica kitsch della Svizzera, il brivido silenzioso davanti a Israele: i Padiglioni ai Giardini da vedere e da sentire, alla 60ma Biennale d’Arte di Venezia

Pavilion of France. Julien Creuzet in Biennale Arte 2024, Venice, Italy on April 14, 2024 @Jacopo La Forgia

Nel cielo di Venezia le nuvole scorrono rapidamente, così come le gradazioni di luce e d’ombra che si incastonano nella Laguna. Piove, non piove, piove, una sinfonia di previsioni meteo, alcuni ombrelli variopinti spuntano nelle lunghe file per entrare nei Padiglioni ai Giardini. E così come in alto, si danza anche in basso: la dimensione sonora è la più esplorata in questa 60ma edizione della Biennale d’Arte. In molti progetti assume una rilevanza strutturale al pari di quella tradizionalmente presa in carico dal visivo.

Il suono, che sia melodioso o disarmonico, rumore, onomatopea ma anche canzone da jukebox o traccia da rave party, è un elemento ricorrente e in continua trasformazione. Sarà per coprire qualcosa, un sottofondo di silenzio che si preferisce non ascoltare, oppure per riunire una comunità babelica attraverso un linguaggio condivisibile, immediatamente codificabile attraverso un’esperienza corporea epidermica ma anche viscerale, di un ritmo scandito ed esprimibile anche attraverso un movimento pur minimo, appena accennato con le dita di una mano. E l’una ipotesi non esclude per forza l’altra.

Ecco cinque padiglioni ai Giardini da vedere – e da sentire – alla Biennale d’Arte 2024. Più uno.

 

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Padiglione Egitto, Wael Shawky

Il padiglione dell’Egitto alla 60ma Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia è affidato all’artista Wael Shawky. Come spesso accade nelle sue opere filmiche, gli episodi storici, allegorici e mitologici sono il pretesto per mettere in scena una lucida analisi sul presente, sui conflitti in atto che hanno origini antichissime. Con Drama 1882, si è cimentato come regista, compositore e coreografo di un musical, mostrando una propria versione delle vicende della rivoluzione nazionalista degli Orābī contro l’influenza impero inglese, avvenuta nel 1882. Cullati da canti arabi, pur sempre sottotitolati in inglese, ci si aggira nel padiglione scoprendo uno a uno gli altri indizi, sculture, installazioni che, con misura, accompagnano il visitatore in un Arabian Drama. Per gli ammiratori di Shawky, da non perdere è anche il video Hymns of The New Temples, in esposizione a Palazzo Grimani.

Wael Shawky Drama, 1882, 2024. Credit: Wael Shawky. Courtesy of Sfeir-Semler Gallery, Lisson Gallery, Lia Rumma, and Barakat Contemporary

Padiglione Francia, Julien Creuzet

Il Padiglione Francia di Julien Creuzet sembra una festa glam e non a caso Chanel Culture Fund è lo sponsor principale del progetto, curato da Céline Kopp e Cindy Sissokho. Ci si aggira tra 80 sculture di sei tipi diversi, esili presenze fantasmatiche e residuali di tessuti sfilacciati, resine e altri materiali non esplicitati per non intaccarne il mistero, quasi tutte in sospensione dal soffitto come se stessero spiccando un salto durante una danza dai colori accesissimi. Sulle pareti, sei videoproiezioni di creature provenienti da una biologia onirica più che mitologica. Nell’atmosfera, una serie di composizioni sonore ad alto impatto ritmico, appositamente pensate per l’installazione. «Ciò che voglio offrire ai visitatori di questo Padiglione è una zona di confluenza complessa e sensoriale, un’esperienza profondamente vissuta. Per me questo è lo scopo di questo spazio. È un crocevia, un luogo dove tutto può essere incontrato, soprattutto se stessi», dice l’artista classe 1986 e di origini franco-caraibiche. Già il titolo del progetto, che come sempre nei lavori di Creuzet ha la forma di una poesia, ci introduce a una molteplicità di sensazioni non sempre esprimibili: Attila cataracte ta source aux pieds des pitons verts finira dans la grande mer gouffre bleu nous nous noyâmes dans les larmes marées de la lune.

Pavilion of France. Julien Creuzet in Biennale Arte 2024, Venice, Italy on April 14, 2024 @Jacopo La Forgia

Padiglione Gran Bretagna, John Akomfrah

Listening All Night To The Rain è il titolo del progetto presentato da John Akomfrah per il Padiglione della Gran Bretagna, curato da Tarini Malik. Poetiche e suggestive, densissime di contenuti da approfondire e di citazioni, dallo scrittore Édouard Glissant alla biologa Rachel Carson, fino all’attivista bell hooks, impeccabili nell’allestimento (solidissimo il gruppo degli sponsor, da Burberry a Frieze fino a Christie’s), le opere video si susseguono tra le sale in uno schema rigidamente ripartito in Canti ma che pure riesce a scorrere con fluidità anche al di là dell’impostazione narrativa. Regista e sceneggiatore, tra i fondatori dello storico Black Audio Film Collective, Akomfrah monta con grande sapienza una sorta di film a più tracce, ambientazioni e soggetti, atmosferico, esploso tra le installazioni, dilatato dallo stato liquido a quello solido, passando per quello gassoso. Il suono dell’acqua è infatti sempre presente e indica una via di conoscenza acustemologica, scorre sulle immagini segnanti del XX Secolo, diventa una nebulosa, si cristallizza, si rivela come l’elemento portante del colonialismo climatico, tema centrale di questo lavoro.

© Listening All Night To The Rain, Canto V by John Akomfrah. Image by Jack Hems

Padiglione Polonia, Open Group

Curato da Marta Czyż, il Padiglione della Polonia presenta una indagine sulla memoria e l’elaborazione del trauma del conflitto, attraverso le installazioni audiovisive del collettivo ucraino Open Group, composto da Yuriy Biley, Pavlo Kovach e Anton Varga. Nei primi piani stretti sui volti, i personaggi-attori-testimoni della guerra, invitano il pubblico a interagire in differita con la formula di un mesto, grottesco karaoke. A venire ripetute non sono, infatti, le parole di un motivo popolare ma i suoni delle sirene, dei missili, le esplosioni delle armi, ricordi di guerra evocati e moltiplicati nello spazio della sala buia del padiglione. A innescarsi, senza addivenire a una soluzione, è un disarmante scambio tra rifugiati e visitatori basato sul suono.

Padiglione Svizzera, Guerreiro do Divino Amor

Il titolo Superior Civilizations è tutto un programma. Guerreiro do Divino Amor, artista svizzero-brasiliano invitato per il Padiglione della Svizzera di quest’edizione, affonda il dito nel profonda piaga che affligge l’Europa nel suo incompiuto processo di elaborazione del passato coloniale. L’artista suggerisce che l’autocritica può essere kitsch, graffiante, antiretorica e anche poco politically correct, purché questa scomodità sia presentata come “qualcosa di completamente diverso”. Nel progetto ventennale condotto dall’artista nato nel 1983, i giochi di colori, materiali e tecnologie sono mixati in maniera sperimentale con il canto, la performance, il travestimento, la scenografia.  Qui la classicità muta di segno, preannunciando i veri contenuti: potere e supremazia occidentali sono mostrati in versione surreale e allucinata. Il video Il Miracolo di Helvetia afferma che no, la Svizzera non è un paradiso terrestre, mentre l’installazione audiovisiva al di là del tunnel, Roma Talismano, grazie alla partecipazione della cantante brasiliana Ventura Profana, ridiscute la profonda certezza occidentale delle nobili e vittoriose radici dell’Impero romano.

Installation view of Super Superior Civilizations by Guerreiro do Divino Amor at the Pavilion of Switzerland at the Biennale Arte 2024. Photo by Samuele Cherubini

Padiglione Israele

Dopo gli slogan gridati durante la manifestazione di mercoledì dagli attivisti di ANGA – Art Not Genocide Alliance – il gruppo internazionale di artisti, scrittori e operatori culturali che, in precedenza, avevano chiesto l’esclusione di Israele dalla Biennale di quest’anno – si passa davanti al Padiglione oppure si sosta prevalentemente in silenzio o almeno senza parlare a voce troppo alta. Nondimeno ci si sofferma. Si scattano fotografie alle parole nere ben visibili sul manifesto bianco affisso sull’ampia e luminosa vetrata d’ingresso, il Padiglione Israele della 60ma Biennale d’Arte di Venezia rimarrà chiuso, anzi, «L’artista e i curatori (Ruth Patir, Mira Lapidot e Tamar Margalit, ndr) apriranno la mostra quando sarà raggiunto l’accordo per il cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi». Militari e polizia sempre presenti sul posto, mimetiche e giubbotti antiproiettile. Tutto rimanda a decisioni prese in altri luoghi, accadimenti strazianti, tensioni drammatiche e sotterranee che arrivano a essere percepite in una prossimità rischiosa. Difficile non provare un brivido, l’immagine nella quale si è immersi è potente anche se non si tratta di un’opera d’arte.

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