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exibinterviste la giovane arte Gino Sabatini Odoardi
parola d'artista
Il bicchiere è il suo linguaggio, e sempre della stessa tipologia: un comunissimo bicchiere da cantina. Forse un’ossesione. Dopo i contenuti di sacro e di postumo, arriva anche quello di luogo comune. Un'arte poetica, raffinata e colta, sul filo della sperimentazione continua: tra pittura, video, installazione e non solo...
Ritieni che il tuo luogo di provenienza abbia influito in qualche modo sul tuo lavoro? Che lo abbia condizionato e lo condizioni?
No! A patto che si tratti il no come se fosse qualcosa.
Lavori solitamente sullo slittamento tra Significante e Significato creando volutamente ambiguità concettuale: cosa ti affascina di questa scelta stridente? Pensi che sia la formula più efficace per stimolare la coscienza critica dello spettatore?
Il mio lavoro oscilla sull’orlo di più condizioni perché è il mondo stesso che ci dondola sopra. Non c’è la messa in opera di una formula. Non esiste una strategia che serve a regolare stimolazioni prestabilite. Quando mi relaziono con il mondo, il primo spettatore sono io.
Tu stesso curi la fotografia dei tuoi lavori: una sorta di arte nell’arte. La consideri parte integrante del tuo lavoro e della sua processualità?
Sì, è proprio così. Curo in maniera ossessiva ogni piccolo dettaglio del mio lavoro. Foto comprese. Tra le pagine dei significanti possibili non tra/lascio nulla al caso. La foto è una fase successiva al disegno preparatorio da cui non posso prescindere. La definirei una sorta di trasfigurazione della figurazione.
C’è un’opera o una serie di opere che ritieni ti rappresenti in maniera particolare?
Quella che devo ancora pensare.
A parte il bicchiere come evidente trait d’union, ci sono dei temi che ricorrono spesso nella tua produzione: il concetto di sacro, di postumo, di luogo comune. Pensi che si possa parlare di parole chiave o ritieni piuttosto che i tuoi lavori siano svincolati da una precisa linea guida?
Esiste una linea guida perché esiste un’idea guida. Questo è l’unico filo rosso che accomuna tutto il mio lavoro.
Sostieni che i tuoi maestri siano stati Kounellis e Mauri: cosa ti hanno insegnato?
Mi hanno insegnato a stare davanti ad un quadro mentre gli si guarda la nuca.
Come dice Mauri metti l’intero mondo in un bicchiere. La fascinazione che nutri verso questo oggetto prescinde dal suo contenuto o è quello che la legittima? Fino a che punto il primo non è strumentale al secondo?
Penso che la scelta di un supporto legittimi sempre se stesso a prescindere dall’intervento. Poi non credo che possa esistere un’idea di contenuto senza un concetto chiaro che la possa contenere. Nel mio caso ho sempre inteso il bicchiere come una sorta di pagina trasparente dove vomitare il mondo senza mai trascurarne la funzione.
La tua scelta ricade sempre sullo stesso bicchiere da cantina. Perché questa tipologia e non altre?
Ci sono delle ragioni che riflettono un sociale più vicino al mio modo di sentire la vita.
I tuoi ultimi lavori presentano un passaggio dalla sfida delle leggi gravitazionali e dell’ovvietà ad una forte connotazione sociale: si può parlare di una ulteriore fase di sviluppo della tua ricerca?
Non lo so se si può parlare di un’ulteriore fase di sviluppo della mia ricerca. Di certo so che sono me stesso sia quando guardo le stelle e sia quando parlo di politica.
Il risultato dei tuoi lavori è seriale, razionale, ordinato, calcolato. Si vede la differenza tra il rigore geometrico del lavoro compiuto e la progettualità istintiva della fase preparatoria. Una sorta di passaggio dal caos all’ordine. Le caratteristiche sopra elencate sono obiettivi cui tendi, e perché?
Ho sempre inteso la fase progettuale come una sorta di iper-riflessione della confusione. Caricare l’intuizione primaria di dubbi, incertezze ed instabilità è sempre stato per me un punto di partenza a cui non posso prescindere. E’ un processo così falsamente comprensibile che difficilmente riesco a gestire se non con la formula severa del rigore seriale.
Ritieni che oggi ci sia bisogno di silenzio e ritieni il silenzio una presa di coscienza. Le tue opere – soprattutto le ultime – rimandano frequentemente alle parole. Pensi di aver trovato una mediazione o un compromesso per parlare in maniera silenziosa?
La vita stessa è un sistema complesso di compromessi. Mc Luan ha dovuto scrivere un libro per dire che i libri non servono a nulla. Ma non è questo problema, il vero problema è cosa dire e perché bisogna per forza dire. Si dicono continuamente parole a vanvera senza senso. E’ qualora il senso esistesse, questo è sempre gestito da mercanti di teschi patrocinati da media/mediocri senza scrupoli. Sono pochissimi quelli che parlano, molti dicono solo parole. Si vive nel limbo dei media (neanche Orson Welles e Sidney Lumet con i loro rispettivi “Poteri” cinematografici sono riusciti nell’impresa); quale falsa presunzione potrei avere io di riuscirvi? Anch’io parlo, parlo, parlo con te, adesso, mentre desidererei che questa emissione d’aria orale collassasse in una scatola di marmo. Malgrado ciò ho bisogno di gettarmi in qualsiasi acqua putrida per non bagnarmi.
bio
Gino Sabatini Odoardi nasce a Pescara il 14 luglio 1968. Dopo il Liceo Artistico di Pescara, dove ha come insegnante Ettore Spalletti, frequenta l’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, dove conosce Kounellis, Mauri e Carmelo Bene, maestri determinanti per la sua formazione. Nel 1999 riceve il premio “Le Prix des Jeunes Créateurs” all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi e, sempre nello stesso anno, il primo premio “David Molinari” dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, nella sezione “Forma e Colore”. Attualmente vive a lavora tra Pescara e Roma. Tra le principali esposizioni: 2003 Unimovie, VII Ediz. Internazionale University Film Festival, Museo Laboratorio (ex Manifattura Tabacchi), Città Sant’Angelo (Pe); 2002 A boccaperta, a cura di MF. Zeuli, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Università La Sapienza, Roma; 2001 Senza Titolo, a cura di S. Vedovotto, Spazio-Abitazione di Ludovico Pratesi, Roma – Adriatico: Le due sponde, a cura di A. Vettese, 52° Premio Michetti, Museo Michetti, Francavilla al Mare (Ch); 1999 XXVII Biennale d’Arte di Alatri, a cura di L. Fiorletta e L. Rea, Chiostro di S. Francesco, Alatri (Fr); 1998 Gino Sabatini Odoardi, a cura di E. Sconci, ex Convento Oratorio delle Grazie, Alanno (Pe) – Arti visive, a cura di S. Risaliti, Basilica di S. Maria Maggiore di Collemaggio, L’Aquila. Per la collana Artisticamente è stato pubblicato il volume Gino Sabatini Odoardi Controindicazioni, a cura di S. Lux e D. Scudero, vol. n. 14, Ed. Lithos, 2003.
matilde martinetti
[exibart]
Quanta pretenziosità.
Decisamente interessante!
Non abbiamo capito la seconda risposta.
Contestando l’eccessivo uso e abuso delle parole ricorri al silenzio come momento di riflessione e strumento di comunicazione. Condivido questa tua posizione ma penso che bisognerebbe trovare un giusto compromesso tra i due.
QUANTA PERVASIVITA’!
Spero approfondirai il “discorso” sul sociale.
Finalmente un “artista” in mezzo a tanta mediocrità gratuita!
Uno dei pochi artisti veramente interessanti, nel panorama della mediocrità convulsa.
Questo Sabatini sinceramente a me sembra patetico…il lavoro è orrendo e poi è “già visto”…che intervista da “grande artista”…quante arie! Ma chi è? Il bicchiere è la sua ossessione…sarà mica un alcolizzato?
Grazie Exibart,
facci conoscere più spesso artisti come Gino!
Artista decisamente intrigante…il lavoro ha spessore e fascino.
Caro Gino,
conoscevo il lavoro…ma non sapevo di chi fosse. Finalmente ti ho trovato. Felice di essermi imbattuto nel tuo mondo.
.Per caso ho letto prima l’intervista e poi i commenti. Ma perchè solo quest’artista ha tutti questi complimenti? A me non sembra un gran che…poi ci sono tante altre interviste di artisti più interessanti e innovativi (e tra l’altro molto ma molto più conosciuti) che non hanno nemmeno un commentino. nemmeno un pensierino. Io credo che sia lui a promuoversi da solo. Non c’è altra soluzione!!! Dai Gino smettila di autopromuoverti e parla come mangi!!!
Aspetto un approfondimento sul Silenzio.