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Le forme del suono
Personaggi
di Lorella Scacco
Meccanismi cognitivi, fisici, percettivi. Strumenti musicali che diventano emblematici monumenti, suoni che si fanno installazioni d'arte pubblica. A Roma, lo scorso mese, arte e musica si sono incrociate nei giardini e nelle sale del Goethe Institute, permettendoci di continuare il nostro approfondimento sui rapporti tra queste due forme di creatività...
Meccanismi cognitivi, fisici, percettivi. Strumenti musicali che diventano emblematici monumenti, suoni che si fanno installazioni d'arte pubblica. A Roma, lo scorso mese, arte e musica si sono incrociate nei giardini e nelle sale del Goethe Institute, permettendoci di continuare il nostro approfondimento sui rapporti tra queste due forme di creatività...
Ad inizio dello scorso mese il Goethe Institute capitolino ha ospitato Musica Scienza 2002, la cui edizione di quest’anno ha posto l’attenzione sulla percezione del suono e sulle modalità di ascolto.
Da diversi anni al CRM (Centro Ricerche Musicali) si studiano i meccanismi sia cognitivi che fisici che sono alla base dell’ascolto musicale, ma solo di recente si riflette anche sugli effetti psicoacustici e sulle sollecitazioni emozionali prodotte dalle forme di emissione del suono (spazializzazione) e dall’ambiente d’ascolto. Nel giardino dell’Istituto sono state così allestite delle installazioni d’arte, con Planofoni, Olofoni, Risonatori e Guide d’onda. Hanno suscitato grande interesse le forme di questi strumenti che di fatto sono a metà strada tra semplici fonti del suono e vere opere scultoree d’arte contemporanea. Musica a tre dimensioni, infatti, il titolo dell’evento. La manifestazione ha poi presentato in prima mondiale alcuni straordinari strumenti progettati e realizzati per soddisfare le esigenze espressive e tecniche della musica d’oggi, tra cui il Feed drum creato da Michelangelo Lupone per la sua opera Feedback. Si presenta come un grande tamburo, è composto di una membrana sulla quale è disegnata una mappa vibrazionale, un risonatore in acciaio e una cassa acustica. Questo strumento permette per la prima volta di selezionare e controllare, con apposite tecniche ancora in studio, le complesse dinamiche vibrazionali della membrana sia in modo monofonico che polifonico. Nel Feed drum le note emesse possono essere variate di intensità e mantenute anche indefinitamente dal musicista superando il limite della durata temporale degli strumenti a percussione. Altre particolarità sul Feed drum e sulle installazioni d’arte direttamente dalla voce di Michelangelo Lupone.
“Feed drum” è un nuovo strumento elettroacustico da te progettato. Come è nata l’ideazione di questo strumento? E quanto tempo ci è voluto per realizzarlo?
L’idea è nata dall’ascolto attento del suono della gran cassa sinfonica. Questo è uno strumento relegato da sempre a due sole condizioni musicali: il crescendo e il ripieno
orchestrale. Le sue grandi dimensioni permettono di ottenere un suono profondo ma non si può ottenerene alcuna forma di modulazione. La sua forza dinamica concentrata su un solo suono, è stato il limite di questo strumento e i compositori lo hanno usato solo per ottenere dei rinforzi sonori.
Però, come ogni elemento fisico messo in vibrazione, possiede anch’esso una immensa gamma di timbri e di altezze; li ho cercati, isolati ed ascoltati sperimentando molti modi di eccitazione. Il mondo sonoro che avevo supposto si è svelato progressivamente ricco di sfumature ascoltabili solo a pochi centimetri dalla superficie dello strumento e soprattutto di durata brevissima, meno di un secondo.
Ho cercato di catturare, prolungare e modulare nel tempo queste sfumature e per dare una intensità opportuna, ascoltabile musicalmente. La prima soluzione l’ho trovata alla fine di un’estate di lavoro (1999) con un complicato sistema elettronico (analogico e digitale) che ho realizzato dopo aver simulato al computer il comportamento vibrazionale della membrana. Avevo in mente una composizione basata su questo e in un mese ho scritto “Gran Cassa” un’opera incentrata sulla forza espressiva di questo strumento.
E’ stata una esperienza creativa completamente nuova: i modi di produzione del suono, i timbri, le possibilità ritmiche sono stati una costante scoperta. Sono così giunto alla realizzazione del Feed drum, uno strumento che fa convivere una grande membrana con l’acciaio, i suoni brevi ed impulsivi con quelli modulati e infiniti, il gesto dell’interprete con le risposte sempre predicibili dello strumento.
La sensibilità di questo strumento elettro-acustico alla velocità e alla direzione dei gesti esecutivi dà nuova importanza alla modalità sensoriale del tatto nell’ambito della musica elettronica, così come sta accadendo nelle arti elettroniche grazie all’interazione. Quali possono essere, secondo te, gli sviluppi di questa
direzione intrapresa dalla ricerca musicale?
Il Feed drum rispetto agli strumenti tradizionali presenta un approccio diverso. Lo strumento risponde in modo interattivo all’interprete, questo permette di considerare
il fenomeno musicale in divenire.
Gli sviluppi più stimolanti per la ricerca musicale sono proprio sull’interazione. L’opera musicale può così trovare connotazioni dinamiche nel tempo e nello spazio e modi di fruizione eterogenei; i mezzi stessi di diffusione (media, rete) non sono uno strumento passivo destinato ad una generica riproduzione, partecipano imponendo le loro specifiche ai modi di fruizione e diventano elemento coscientemente direzionato dal compositore.
Le installazioni sonore d’arte al Goethe Institute durante la manifestazione sono state per molti una novità, mentre in Germania si è già più vicini a questo tipo di eventi grazie alla Acustic Kunst e all’esperienza di Fluxus. Che tipo di riscontro hai avuto dal pubblico italiano riguardo le installazioni e le sculture sonore?
Il pubblico italiano mostra crescente interesse per le installazioni e le sculture sonore, e dai preliminari stupori e incertezze sui modi di fruizione, oggi sceglie liberamente e organizza i percorsi d’ascolto e l’esplorazione del suono e dello spazio dell’installazione.
Da quando presentai le prime “installazioni funzionali” (installazioni progettate per la spazializzazione del suono e la modifica delle risonanze acustiche degli ambienti), a “Corpi del suono 1989”, alla progressiva realizzazione delle “installazioni sonore d’arte” (installazioni che hanno valenza musicale-formale in sé), che presentai a “Musica Scienza”, e a “La terra fertile” nei primi anni ’90, il percorso della mia ricerca si è sviluppata in due ambiti: i modi di percezione del suono e i modi vibrazionali (acustici) della materia. Sono due ambiti che hanno dato vita ad opere profondamente diverse anche se (come abbiamo visto al Goethe) costruiscono oggi uno scenario acustico-visivo integrato e percorsi di fruizione coerenti.
Lavorare sulla percezione del suono (psicoacustica) ha significato per me soprattutto conoscere i modi con cui il nostro corpo conosce, riconosce, analizza il suono. La localizzazione, il movimento, gli effetti di mascheramento delle sorgenti sonore, l’intellegibilià e gli effetti che la distanza produce sul suono, hanno dato vita alle installazioni basate sulle “Guide d’onda”, gli “Schermi riflettenti”, i “Tubisonori” gli “Olofoni”. Si tratta di installazioni che propongono modi diversi di trasferimento della informazione sonora: il suono viene trattato e trasferito nello spazio con evidenti emergenze di alcuni parametri. Solo per citarne uno, gli Olofoni trasformano il suono da una forma di propagazione quasi sferica ad una quasi piana nello spazio, ciò permette di ascoltare a grande distanza anche suoni flebili e di trattare la spazio d’ascolto con gli stessi criteri con cui si disegna una installazione di luce.
In particolare, i Planofoni, possono assumere ogni tipo di forma e collocarsi indifferentemente. Queste peculiarità favoriscono una libertà creativa che porterà l’ideatore a realizzare non solo un elemento di diffusione sonora ma anche un “oggetto estetico”. Qual è la tua opinione circa questa esperienza che si situa tra la musica e le arti visive? E quali ne potrebbero essere gli sviluppi futuri?
Le opere basate sui Planofoni ci danno una informazione sonora e visiva integrata; l’opera la percepiamo allora come “spazio occupato nelle tre dimensioni” ma anche come “spazio acustico peculiare”. I materiali e le forme plastiche diventano al tempo stesso veicolo e prodotto sonoro. E’ come se il suono ci informasse degli aspetti plastici e viceversa. Si tratta di una esperienza sensoriale e cognitiva del tutto nuova che mi porta a creare opere musicali non più partendo da forme astratte e relazionate solo al tempo; la forma visibile dell’opera è la forma del suono, e il tempo concorre alla esplorazione visiva quanto a quella sonora, dando al fruitore la libertà di estendere, comprimere o congelare nel tempo le variabili percettive sollecitate dall’opera.
Le arti visive e la musica non sono mai state così vicine, così coincidenti.
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Lorella Scacco
[exibart]
Complimenti a Lorella S. per l’articolo. Le installazioni del suono mi hanno sempre affascinato. La percezione del suono diventa anche installazione. I giardini luoghi sacri ed esoterici. Belle anche le foto qui esposte.
Una forma di creativita’ ancora molto sperimentale per un futuro a noi ancora sconosciuto. Tasha