-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Fino al 9.IV.2001 Le stanze di Ettore Venezia, Palazzo S. Barnaba
venezia
Ci sono ancora pochi giorni per visitare, presso la sede di Palazzo San Barnaba, la mostra dei giovani artisti risultati vincitori alla 84.ma collettiva organizzata dalla Fondazione Bevilacqua la Masa e chiusasi nel gennaio scorso...
di redazione
La mostra è stata curata dal giovanissimo critico Alberto Zanchetta che ha saputo allestire ottimamente i non facili spazi del palazzo veneziano, organizzando un percorso che ha entusiasmato e divertito il numeroso pubblico presente all’inaugurazione.
Cinque sono le “stanze di Ettore”che accolgono le opere di Michele Bazzana, Maria Cecchella e Gianfranco Grosso, artisti diversi che dialogano felicemente sapendo insinuare, nel visitatore, sentimenti contrastanti: curiosità, ironia, inquietudine, spiazzamento e malinconia.
Le stanze interagiscono fra loro visivamente e musicalmente: due enormi mani bianche si protendono verso il soffitto quasi a sfondarlo, trascinando uno strascico di tulle che si adagia dolcemente sul pavimento, oltre la soglia della stanza che l’accoglie, occupando il saloncino d’ingresso. L’opera di Maria Cecchella funziona come un filo d’Arianna risultando visibile dalla soglia di tutte le stanze della mostra. Ma c’è anche l’interazione provocata dalle opere straordinariamente ironiche di Michele Bazzana: da un lato esse coinvolgono direttamente lo spettatore sollecitandone la curiosità e risvegliando in esso un senso di intima ricerca e scoperta che già gli appartenne da fanciullo, all’epoca in cui sperimentava le cose ignote del mondo; dall’altro i suoni che le sue installazioni emettono creano un rumore di fondo alla mostra che funge da comune denominatore sonoro.
Ed ecco dunque che già all’ingresso Michele Bazzana simula gli effetti di una scossa tellurica facendo tremare le gocce di cristallo del lampadario (“La confessione delle falene”); il visitatore è immediatamente indotto a cercare l’origine di quel fenomeno, trovandola solo nell’osservazione dettagliata del lampadario e confrontando lo stato di quest’ultimo con quella del suo pendant, perfettamente immobile, poco più distante.
Sempre di Michele è un groviglio inerte di ferro e plastica che si anima se lo spettatore risolve l’enigma della didascalia, provando a digitare, dal proprio cellulare, la sequenza di numeri indicata; solo allora si innesca il meccanismo che provoca l’accensione di una calda luce giallognola che illumina ad intermittenza, dal suo interno, quello strano cespuglio color della ruggine. Provare per credere, anzi telefonate voi stessi allo 0415208879: probabilmente in quel momento sorprenderete qualche visitatore che sta chiedendosi cosa diavolo significhi quella piccola installazione dal titolo “Battutolo di Venezia”.
L’ultima opera di Michele è il filare di lanugine plastica colorata (come quelli che si trovano all’ingresso di vecchi bar od osterie) che pende dal soffitto collegando due delle stanze della mostra. Il passaggio obbligato dell’osservatore provoca lo scostamento dei fili e, grazie ad un meccanismo sonoro, un’improvvisa emissione di impertinenti e forti cinguettii, quassi fosse stato violato maldestramente un nido di canarini particolarmente permalosi.
Di Maria Cecchella segnaliamo la stanza allestita senza titolo, straordinariamente inquietante: entrando, lo spettatore diviene inaspettatamente attore, trovandosi proiettato al centro di un micro palco circondato da una folla di piccole seggiole costruite col fil di ferro e coperte da cuscini rossi. Immediato è il disagio che si prova in quello spazio metafisico che pare annunciare l’ingresso di un pubblico di omuncoli: la tensione della presenza/assenza delle piccole sedie vuote crea un senso di attesa surreale assolutamente inedito.
All’appello manca Gianfranco Grosso, che lavora con lo scanner e la stampa al laser su acetato vecchie foto di volti in b/n ai quali sovrappone segni, parole e frasi. La sedimentazione e la sovrapposizione ad un’immagine primaria simula il classico procedimento mnemonico di associazione per immagini. Un lavoro sui concetti di tempo e di memoria quello di Gianfranco, che monta i propri acetati su spesse strutture in plexiglass o, come nel caso di una delle opere esposte alla mostra (“In-cassa”), all’interno di casse-sarcofagi bianchi. La malinconica atmosfera suggerita dai volti è resa quanto mai intensa e coinvolgente dalla scansione sequenziale dei piani sottolineata dall’alternanza di linee bianche e nere che danno profondità e spessore alle immagini. Ma le opere di Gianfranco sono prima di tutto belle e invitano inesorabilmente l’osservatore ad accarezzarne le superfici, quasi ad instaurare un rapporto empatico con i fascinosi volti ritratti. La mano riesce a sentire ogni ruga, ogni solco, ogni traccia dell’intervento dell’artista: un’inedita possibilità di interpretazione, del tutto cieca ma egualmente suggestiva ed evocativa.
Non ci resta che segnalare l’unica nota dolente dell’esposizione, cioè il criptico testo critico di Alberto Zanchetta. Francamente spiace che il giovane curatore non sia riuscito a mettere per iscritto la stessa capacità comunicativa e le stesse suggestioni manifestate dal suo allestimento. Zanchetta scrive più con il cuore che con la testa; avrà tempo forse di rendersi conto presto di come il mondo dell’arte abbia bisogno di critici che sappiano soprattutto spiegare l’arte sapendo suggestionare con una prosa comprensibile a tutti. L’abuso di citazioni colte, il diffuso ricorso ad una terminologia che va dalla forma arcaica al tecnicismo esasperato ed il periodare sofferente non servono ad avvicinare il pubblico dall’arte contemporanea, e tradiscono un atteggiamento di superiorità che non pare proprio appartenere ad Alberto. Senza rancore.
Alf
“Le stanze di Ettore”, a cura di Alberto Zanchetta.
Dal 24.III.2001 al 09.IV.2001.
Mostra dei vincitori all’84.ma collettiva della Fondazione Bevilacqua la Masa.
Venezia, Palazzo S. Barnaba, Dorsoduro 2826.
Orari: 15.00-18.30 (chiuso il martedì).
Informazioni: tel. 041/5207797 e 041/5208879; fax 041/5208955; e-mail info@bevilacqualamasa.it; web www.bevilacqualamasa.it
[exibart]
ho avuto modo di leggere il testo del curatore e concordo pienamente con il giornalista. Se si vuole RESPINGERE il pubblico dall’arte contemporanea si continui pure a prodursi in certi testi.
di solito non mi perdo mai un appuntamento di giovane arte a venezia ma la mostra è stata segnalata troppo tardi. Mi sa che non faccio in tempo…Grazie lo stesso
Mi scuso con Emilio. Hai ragione. La mostra dura pochissimo (15 gg. appena) ed il mio articolo è arrivato un po’ tardi. Desolato, cercherò di far meglio, ve lo meritate.
ho notato che in molti articoli ci sono dei link ad un archivio fotografico della mostra. Ora, perchè non farlo anche per quegli artisti che forse non godono di particolare fama come nel caso di questi giovani? Mettere solamente due foto mi pare riduttivo, anche perchè se si parla di Magritte, tutti bene o male hanno una propria idea di che genere tratta, mentre se si tende a promuovere l’arte contemporanea dei giovani, forse risulta più difficile. grazie per l’attenzione.
Dunque, almeno un’altra opera (non in mostra)degli artisti coinvolti la puoi vedere sul sito della Bevilacqua fornito in calce all’articolo (clicca sulla 84.ma collettiva). Inoltre ti segnalo che anche Simone Lucietti (vedi l’articolo della sua mostra alla galleria romana 2RC) è uno dei giovani borsisti della fondazione veneziana. Non è nostra intenzione trascurare i giovani, tutt’altro (basta vedere gli articoli che compiaono su Exibart, i 2 in causa sono in prima pagina). Comunque le opere mancanti non erano documentabili con successo: di Bazzana un congegno nascosto in un lampadario, un groviglio color ruggine, una serie di steli di lanugine plastica; di Maria Cecchella una installazione troppo grande per essere ripresa in una stanza così piccola la cui coda, per altro, si sviluppava per la maggior parte in una stanza adiacente, nascondendosi dietro un muro. Comunque vedrai che non mancherà occasione di rivederli con nuove opere.
como te parece esta obra?
chao baby