10 gennaio 2001

Biglietto di sola andata per la Stele di Axum?

 
Il Popolo dell'Arte di Exibart ha iniziato a fine giugno a concentrare la sua attenzione su questo tema, dopo una settimana è intervenuto il sottosegretario Sgarbi e poi è stata la volta di tutti i quotidiani nazionali. Parliamone ancora...

di

causa il grande fermento attorno alla questione e grazie ad un articolo che sul Corriere della sera del 10 luglio pone l’attenzione sul dibattito che si è creato proprio in calce a questo articolo, abbiamo ritenuto opportuno riportare la notizia in prima pagina
La Redazione





E’ stato un atto spavaldo e prepotente quello che, il 31 ottobre del 1937, ha portato alla sistemazione della Stele di Axum al principio della Passeggiata Archeologica, tra il Colosseo, le Terme di Caracalla ed il Circo Massimo, proprio di fronte all’attuale sede della Fao, allora – guarda caso – Ministero delle Colonie.
Il Duce volle festeggiare i quindici anni della Marcia su Roma prendendosi per se un obelisco che, seppur giacente in terra in un brullo altopiano etiopico, simboleggiava le divinità Copte locali. Il monumento doveva diventare emblema del neonato Impero Italiano “dalle Alpi all’Oceano Indiano…”.
La Stele da prelevare fu individuata nella città sacra di Axum dove l’antica civiltà etiope aveva eretto, attorno al III sec. D.C., una serie di strutture simili a chiaro riferimento funerario. L’obelisco condotto a Roma misurava 24 metri di altezza, pesava 160 tonnellate ed era costituito da una roccia silicata simile al granito, la sua pianta era rettangolare e presentava decorazioni di porte e finestre.
1937, La stele viene portata a Roma
In tempo di pace il restaurato imperatore abissino Heilè Selassiè, in visita in Italia, chiese la restituzione dei “Leoni di Giuda” (altra vestigia d’Etiopia condotta in Italia durante il Ventennio e restituita nel 1970) ma decise, anche per evitare un terribile e sicuramente dannoso trasloco, di lasciare l’obelisco in Italia in cambio della costruzione di un ospedale che in effetti venne realizzato tra gli anni ’50 e gli anni ’60.
Durante gli anni della Prima Repubblica la questione rimase a lungo sotto silenzio sia per i molti problemi etiopici in politica interna, sia per la proverbiale reticenza di alcuni amministratori democristiani. I governi Dini e Prodi, negli anni ’90, hanno riposto l’attenzione sulla Stele la cui storia ha avuto svolta nel ’97 quando l’allora Presidente Scalfaro, in visita ad Addis Abeba, firma un accordo di restituzione.
I lavori di restauro e i sopralluoghi per lo smontaggio hanno costretto il monumento sotto delle gabbie di ferro per molti mesi, anche durante l’anno Giubilare. Oggi lo spostamento è pronto e a brevissimo si procederà allo smontaggio la stele.
La polemica, sia che si guardi la questione dal punto di vista della politica che se lo si faccia da quello dell’arte e della cultura, ovviamente non manca. Molti pensano che una restituzione sia corretta e condanni ancora di più i trafugamenti della dittatura fascista cementando i buoni rapporti dell’Italia con l’Etiopia. C’è chi invece fa notare che l’obelisco verrà ricollocato ad Axum, su un altipiano dove infuria una terribile, infinita e crudele guerra civile a causa della quale altre steli del tutto simili a questa sono state distrutte. Non poteva mancare l’intervento del Prof. Sgarbi che qualche tempo fa ha sottolineato come, a proprio avviso, il monumento testimoniava nella capitale d’Italia e del Mondo la grande civiltà del glorioso Impero Abissino.

Alcuni cittadini di Roma sono preoccupati per la perdita di un monumento ormai integrato nel tessuto urbano e posizionato in un punto invidiabile. Lo slargo che domina la Via delle Terme di Caracalla, lo stradone che porta all’arco di Costantino ed al Colosseo di fronte alla maestosa ‘vallata’ del Circo Massimo sovrastata dal Palazzo di Domiziano perderanno una così grande elemento di interesse?
La questione è delicata e, crediamo, necessita un pronunciamento da parte degli attenti lettori di Exibart…

massimiliano tonelli

[exibart]

56 Commenti

  1. complimenti…. anche se troppo lungo x me …

    forse l’avrei colorito un po’, notizie storico-culturali ma stimolanti descritte con un po’ di ironia. ma probabilmente e’ + facile a dirsi che a farsi…

  2. Io lo trovo giustissimo. E magari sarebbe anche ora di ripagare i danni fatti dai nostri “valorosi” soldati fascisti in Jugoslavia e in Libia (per non parlare di Somalia ed Eritrea, appunto)

  3. L’obelisco
    di Axum presto
    in Etiopia

    Tre miliardi per il trasferimento della stele di Axum da Roma in Etiopia. È il sottosegretario agli Esteri, Rino Serri, rispondendo ad una interrogazione del presidente di An, Gianfranco Fini, a confermare l’impegno dell’Italia verso Addis Abeba, assunto con la firma del trattato di pace nel lontano 1947. Fini e il presidente della Regione Lazio, Francesco Storace chiedevano in una interrogazione di sospendere la restituzione dell’obelisco, anche in ragione del conflitto tra Etiopia ed Eritrea. Terminata la guerra, rileva Serri, «non sembrano più sussistere ostacoli per dare attuazione all’impegno italiano». Nei giorni scorsi una commissione di tecnici ha fissato le modalità di trasporto della stele alta 24 metri e del peso di 160 tonnellate, che si erge nel piazzale antistante la sede romana della Fao. La stele di Axum venne portata in Italia su ordine di Benito Mussolini nel 1937..

  4. ma i soldi spesi per il trasporto non potevano essere spesi in medicine alimenti e altro.
    che se ne faranno di un obelisco….

  5. Con calma…
    In teoria la restituzione della stele rappresenta un atto dovuto in riconoscimento dell’inopportuna sottrazione perpetrata ai danni della cultura abissina…..
    In pratica mi sembra un atto simbolico che si potrebbe tranquillamente evitare… oppure chiediamo indietro ai francesi la nostra gioconda !!!!!!

  6. Penso che restituire l’obelisco sia un errore.
    Specialmente in una nazione come l’Italia che è sempre stata saccheggiata, la restituzione è sbagliata per vari motivi, l’Italia ha costruito l’ospedale in Etiopia, sono stati distrutti dalla guerra molti altri monumenti come questo e non vorrei che facesse la stessa fine.

  7. Sì restituiscano pure l’obelisco, ma intercedano presso il Prado di Madrid per far tornare a Palermo la Madonna dello Spasimo di Raffaello, così da collocarla nel nuovo museo,(anche se è di arte contemporanea penso non sia così grave), o da ricollocarla nella sede cui era destinata. Accidentacci ai viceré e ai politici “generosi” e “politically correct” di ogni tempo: invece di recuperare i patrimoni se ne vogliono liberare!

  8. Vi immaginerete quanto puo’ farmi piacere che dopo sei mesi dalla pubblicazione dell’articolo ancora abbiate voglia di parlarne.
    La restituzione della stele di Axum è equivalente alla sua definitiva perdita.
    Si tratta di un provvedimento di un presidente impiccione. Ora abbiamo Ciampi, probabilmente il presidente migliore che si poteva sperare; il capo dello stato non lascierà passare facilmente tale assurdità.

  9. Amici miei, scusate ma, e anche se non scusate fa esattamente lo stesso, vorrei dire la mia su questa cosa della Stele Abissina (?).
    Io sono del parere che se tutto il Creato artistico dovesse mai decidere di avere lo stesso coraggio che hanno avuto i nostri noiosi e istituzionali polverosi, poveretti, che dominano la scena culturale, nostro malgrado, di decidere di retituire l’obelisco in questione, farebbe lo stesso che stanno essi stanno facendo.
    Questo non li elegge a maggiori giudici di come dovrebbero essere le cose, ma coincide con ciò che io auspicherei che Essi fossero.
    Mi spiego;
    Per una volta l’imbecillità coincide con la ragion estetica. E guardate che non è così male.
    Ovviamente la grande difficoltà sta nel cogliere quanto di stupido o di razionale vi è.
    Ci sono stati degli accordi. Prendiamoli come tali. Sarà che noi Italiani, in fatto di Arte, siamo insegnanti per molti. Anche contro corrente, la vera vena controcorrente, quella che non si giudica dalle pazzìe post-biennale (d’obbligho) è nostra, ancora adesso.
    Gli artisti italiani, per quanto pessimi, sono meglio della schifezza che troviamo altrove.
    E quelli buoni sono degni della nostra storia.
    Tutti, anche quelli che critico.
    La Biennale è l’antropomorfizzazione di una schizofrenìa che si completa in sé stessa.
    Io credo che la Stele dovrebbe tornare da dove è venuta.
    Se Loro la richiedono, perché non dimostrare come noi amiamo l’arte? E la cultura?
    D’altra parte, se noi chiedessimo al Louvre di restituirci la Gioconda, o ad altri musei altre nostre meravigliose cose?
    Qualcuno che inizia ci vuole. E noi, cari amici, abbiamo da guadagnarci più di tutti.
    Ok, restituiamoci a vicenda le opere.
    Noi abbiamo dimostrato di saperlo fare.
    Gli altri saranno altrettanto …?
    Ne dubito.
    Ma io la penso così.
    Non siamo quello che siamo perché gli altri ce lo chiedono.
    La Stele torni a casa propria, come ogni altra cosa.
    Ciao, Biz.

  10. Ho seguito con interesse domande e risposte. Il manifesto di domani pubblicherà un ulteriore prosieguo della vicenda. Intanto però, nonostante le promesse, l’obelisco è ancora a Roma

  11. Pippo è evidentemente uno dei giornalisti del Manifesto che, in nome di una ideologia morta e seppellita, sono capaci anche di disperdere il nostro patrimonio storico artistico.
    E poi quanto qualcuno dice che la Gioconda dovrebbe stare a Firenze gli danno del fascista? Vero?

  12. Sgarbi conferma il suo NO al ritorno dell’Obelisco di Axum, da sessant’anni a Roma, in Etiopia (“corre il rischio di frantumarsi nelle operazioni di trasloco, preferisco un tesoro intatto a Roma piuttosto che un monumento danneggiato in Etiopia”)

  13. Sgarbi ha sempre detto tutto e il contrario di tutto.
    E l’ha detto più volte.
    Ergo, non mi curo di lui ma guardo e passo.
    Confermo che la Stele, se la richiedono con fervore, è giusto che venga restituita.
    E se restituendola metteremo la stessa cura che abbiamo utilizzato per rubarla, sono certo che arriverà intatta.
    La civiltà che un paese dimostra nel restituire un’opera richiesta, è pari alla civiltà che dovrebbe avere un Paese nel porre una domanda saggia, altrimenti avremmo un fastidioso protrarsi del baratto.
    Non è un brulicare di tesori che mi auspico, ma sarebbe giusto che ogni paese riavesse indietro due o tre opere definite fondamentali per la propria cultura.
    L’Italia ne avrebbe comunque da guadagnare.
    I Bar e le Università, nonchè la televisione, così largamente frequentata da Vittorio Sgarbi, urlano beceramente vendetta per la nostra Gioconda o per i tesori italiani confinati nelle cantine del museo moscovita…..
    Ed ora… tutti colti da uno spasmo di imperialismo?
    Sono certo che il Popolo etiope meriti ben più rispetto per questa richiesta.
    E’ la loro Stele, e se vi affatichereste a ricercare e comprendere che cosa essa rappresenta per loro potreste anche considerare che ciò che per molti è un arredo urbano, per gli etiopi è ben miglior cosa.
    Inorridisco al pensiero del crocifisso di Giotto in un incrocio di Las Vegas.
    Mi ripeto,
    Non è un brulicare di tesori che mi auspico, ma sarebbe giusto che ogni paese riavesse indietro due o tre opere definite fondamentali per la propria cultura.
    L’Italia ne avrebbe comunque da guadagnare.
    La mia NON è una proposta, me ne guardo bene.
    Ma non vuole essere nemmeno un rifiuto.
    Ciao, Biz……

  14. L’OBELISCO DI AXUM DEVE RESTARE A ROMA: LA RESTITUZIONE ALL’ETIOPIA DEVE ESSERE COMPIUTA ATTRAVERSO UNA CERIMONIA DI FRONTE ALLA FAO A CUI MOLTISSIMI ABISSINI DEVONO LA SOPRAVVIVENZA. DOVREBBERO DONARLA SIMBOLICAMENTE ALLE NAZIONI UNITE, COSI SAREBBERO CONTENTI I SIGNORI DELLA SINISTRA BUONISTA CHE NON HA MAI FATTO NULLA PER LOTTARE CONTRO IL SACCHEGGIO DEI BENI CULTURALI ITALIANI DA PARTE DEI PAESI STRANIERI “AMICI”. QUESTO E’ IL VERO IMPERIALISMO DA COMBATTERE!

  15. La storia non si può cambiare. Le opere d’arte nei secoli hanno viggiato da una nazione all’altra ed anche da un continente all’altro. Questo per i motivi più disparati dal commercio alla predazione (non dimentichiamo il recentissimo caso dell’oro di Troia considerato preda di guerra dai russi). In fondo è vero che esse sono l’opera di una cultura locale, ma in quanto lavoro di un uomo possiedeono in se stesse un universalità che qualsiasi indivuduo ha le capacità di ammirare a qualsiasi latitudine. Se ragionassimo con il metro della restituzione dovremmo anche porci il problema degli obelischi egizi che adornano la Capitale. Detto questo sono contrario alla restituzione in fondo quando io vedrò (non l’ho mai visto di persona) questo obelisco penserò alla potenza dei faraoni neri capaci di erigere tale opera. Con tale atto renderò omaggio alla loro storia e cultura molto meglio che un viaggio in qualche Hotel a 5 stelle sul Mar Rosso. In fondo portare un’opera d’arte nel proprio paese significa prendere in considerazione la grandezza della cultura che l’ha prodotta

  16. sono assolutamente d’accordo con l’on.Sgarbi,
    l’obelisco non va restituito all’Etiopia,
    e deve rimanere a Roma dove è parte integrante
    dell’arredo urbano.
    Con i soldi risparmiati facciamo qualchecosa
    di concreto per aiutare quelle popolazioni,
    se dovessimo farsi restituire tutte le opere
    d’arte trafugate nel passato cosa succederebbe?

  17. Non bisogna parlare solo di costi: vi sono altri valori più importanti da rispettare. La stele è una preda di guerra e, come tale, va restituita. E la sua restituzione, che sarebbe un atto di civiltà, non ha niente a che vedere con eventuali “aiuti”. L’Africa è stata depredata nel corso del colonialismo e le spetta ogni tipo di risarcimento.

  18. Mi rincresce ammetterlo ma l’on. Sgarbi ha proprio ragione….Cos’è tutto questo buonismo nella terra di Machiavelli? La stele non sa da rende…Poi la storia dell’ospedale costruito in cambio della restituzione dovrebbe aver messo la parola fine alla discussione.
    Complimenti per il paginone del Corriere della Sera su Exibart. Ve lo meritavate proprio.

  19. Mi dispiace per l’ex on. Sgarbi, ma la restituzione o meno dell’obelisco NON è nella disponibilità del governo. Si tratta infatti di un preciso obbligo contenuto nel trattato di pace del 1947. Certo è possibile aggirarlo, così come è stato aggirato il divieto di armare navi portaerei, ma non bisogna dimenticare che la restituzione dell’obelisco è stata più volte insistentemente richiesta non solo dai movimenti d’opinione etiopici, ma anche da numerosi intellettuali italiani all’estero, come documenta questo breve passo di un’intervista rilasciata dal prof. Richard Pankhurst all’Addis Tribune il 27 novembre 1998. In essa, oltre alla questione dell’obelisco, si pone la questione degli archivi storici sequestrati: l’intera memoria storica di un popolo che probabilmente oggi marcisce dimenticata in qualche scantinato romano.
    Ecco l’estratto dall’intervista:

    “The movement for the return of the obelisk, the restitution of which we now ardently await, was spear-headed by a number of Italian intellectuals: Alberto and Bruni Imperiali, Dr Vincenzo Francaviglio, Professor Angelo Del Boca and others. Most young Italians with whom I am professionally in contact, or with whom I am in E-mail correspondence, earnestly wish for the obelisk’s return to Ethiopia. Demands for the restitution have also been made by a number of Italo-Americans, among them Professor Pascal Imperato, Nic DeMarco, and, of Italian origin, despite his name, the anthropologist Professor Frederick Gamst.

    We believe that the return of the obelisk, following close on the Scalfaro visit, will be welcomed in Italy as well as in Ethiopia, and will seal Ethio-Italian friendship for centuries to come.

    I should, however, note that the question of the return of loot from Italy is not yet fully resolved. It is no secret that all the Ethiopian archives taken to Italy during the occupation have not yet been returned.

    The last surviving pre-war Ethiopian aeroplane, one of only thirteen, which was named after Emperor Haile Sellasie’s daughter, Princess Tsehai, is currently in the Italian Aviation Museum outside Rome, and should be repatriated to Ethiopia, with the obelisk”.

  20. Per fortuna che quegli archivi si trovino e siano stati in qualche magazzino Roma , altrimenti a quest’ora non sarebbe restato niente. Che tutto resti a Roma proprio perchè si abbiano a conservare le vestigia di un così grande popolo.
    In certe faccende la demagogia e il buonismo sono deleteri.

  21. Ciao cari amici, secondo me questo episodio dell’obelisco di Axum apre un dibatitto che non deve riguardare solo Italia ed Etiopia, ma tutto il mondo intero. Non è giusto che marmi di Fidia si trovino in Inghilterra o quadri del Leonardo o del Caravaggio in Francia. Tuttavia non sempre questi cimeli occupano delle bacheche in un museo, facilmente ricolmabili, ma com dice il prof. Sgarbi alcuni formano parte integrante dell’urbanistica di una città (vi immaginate place du la concorde senza l’obelisco prelevato da Luxor?). Oltretutto non capisco cosa cerchi di fare il governo abissino, considerato che noi abbiamo già ripagato il torto fatto con la costruzione di un ospedale come previsto.

  22. Sono d’accordo con Euro. E.. che é? Già che ci siamo perché non restituiamo alla Chiesa tutte le opere d’arte confiscate all’epoca della soppressione degli enti conventuali? Tanto per cominciare dovremo disfare Brera. E di tutte le opere finite all’estero causa le smanie nazionaliste di Napoleone come la mettiamo?
    E i cavalli di S. Marco? Tornano a Instabul?
    Non si può cancellare la storia. Si deve invece fare i conti con essa: e per me ci sono modi migliori di questo per farlo.

  23. Considerare la questione sotto l’aspetto politico di destra e/o sinistra, è semplicemente ributtante.
    Coloro che lo fanno difettano in autonomia intellettuale.
    Quanto al resto, ho già detto nel mio primo intervento, l’ho ripetuto nel secondo, e ho anche ri-incollato il periodo a fine messaggio, affinchè fosse chiaro che non auspico un brulicare di opere restituende.
    Qui si tratta dell’Obelisco di Axum, non di altro.
    E prendere spunto da questo per speculare sulla restituzione di tutte le altre opere è davvero strumentale.
    Ripeto, qui si parla solo dell’Obelisco di Axum.
    La fame nel mondo, le guerre d’Etiopia, la sinistra e la Melandri non c’entrano un tubo.
    Ma è ovvio che chi non conosce l’argomento parla di quello che sa, ovvero del nulla.
    Ciao, Biz.

  24. Gli Etiopi riabbiano pure il loro inutile “Totem”, e noi si onori la parola data. Lì al Circo Massimo si ponga una copia identica, che ricordi gli enormi sacrifici di noi italiani nel Corno d’Africa.

  25. Vorrei ancora ribadire che la restituzione dell’obelisco non è solo un “onorare la parola data”. Non è insomma soltanto una “questione d’onore”, ma un obbligo che discende dalle condizioni posteci dalle forze alleate nel trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, e poi recepito dal Decreto Legislativo 1430 del 28 novembre 1947.
    Per tenerci l’obelisco, in poche parole, dovremmo chiedere il permesso a USA, Russia, Gran Bretagna e Francia, e poi – se e quando fosse concesso – abrogare le disposizioni di legge vigenti. Non si tratta, come si vede, di diversità di opinioni (tutte rispettabili), ma di leggi esistenti (tutte da rispettare).

  26. restituire la stele o obelisco all’etiopia è un atto storicamente dovuto e moralmente giusto. questo sicuramente alimenterà l’odiosa propaganda attuata dal governo etiope ma non è un nostro problema; facciamo che non diventi un elemento di propaganda del nostro nuovo governo e del suo odioso sottosegretario.

  27. La prima volta che ho sentito parlare dell’obelisco di Axum è stato dal marito di mia zia,addetto militare prima e dopo la guerra ad ADDIS Abeba.Conosceva personalmente il Negus e mi racconto’ in poche parole la storia nota dell’ospedale …piu’recentemente mi trovavo ad Adis Abeba ed avendo notato che sui Taxi vi era la scritta in iglese :ridateci l’obelisco di Axum’, chiesi lumi alla gente,la qule in generale si mostro’ non interessata al problema;alcuni mi riferirono che erano stati archeologhi inglesi a montare la querelle in quanto gelosi di altri archeologhi italiani di stanza ad Axum.Qulche giorno dopo dovendomi incontrare con l’ambasciatore italiano ed una persomìnalita’del ministero della giustizia per motivi attinenti al notariato,al termine della discussione posi,per curiosità al mio interlocutore etiope la domanta circa l’obelisco.Il mio interlocutore dichiaro’ che essendo incricato alla giustizia aveva sentito di persona il Negus interloquire con i plenipotenzizri italiani e convenire sulla oportunità di costruire l’opedale al posto della restituzione dell’obelisco.Mi disse anche che pero’ di detto colloquio non vi era traccia scritta…non essendo presente alcun notaio a verbalizzare….Aggiungo che la fattibilita’ del trasporto via terra da GIbuti ad Axum per me’ .che conosco le strade degli altipiani e’ attualmente impossibile.Comunque gli amici della dogana del porto di Gibuti stanno gia’contando i diritti che saranno loro dovuti per lo sbarco ed il transito sul loro territorio.Proposta:con molto meno soldi potreemmo restaurare gli obelischi che gia’si trovano ad Axum e lasciar in pace quello che si trova a ROma.Per piu’approfondite nitizie potete telefonarmi al n.0309***31 [per il numero completo contattare la redazione: press@exibart.com]. P.Barziza notaio

  28. Era un argomento di nicchia. Finché ne parlavano gli specialisti c’era un minimo di rigore, ma non si muoveva nulla. Da quando della questione di Axum (obelisco o stele) si sono impossessati i grandi mezzi di informazione, il dibattito lievita a scapito della precisione. Sui problemi dell’Africa, si sa, un po’ di approssimazione è di rigore. Ma a ben vedere Axum non riguarda l’Africa o non solo l’Africa, riguarda il fascismo, lo spregio razzista, la violazione dei diritti. O l’osservanza degli accordi. La restituzione dell’obelisco di Axum comunque è imposta all’Italia dal Trattato di Pace del 1947 e non da un’intesa bilaterale. E questo solo rivela che non c’è proprio una perfetta equipollenza con i marmi greci del British Museum o i trofei in Germania dei grandi scavi ottocenteschi. Per informazione dei più, se l’obelisco è stato sistemato là dove si trova, non fu per abbellire la sede della Fao, che all’epoca naturalmente non esisteva, bensì per segnare – a gloria imperitura dell’Italia conquistatrice e del suo Duce – le imprese dell’imperialismo di Roma, perché quell’edificio fu concepito per ospitare il Ministero italiano delle Colonie.

    Le occasioni per una soluzione all’italiana o all’africana sono state molte. L’Italia le ha mancate tutte. Fin dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Addis Abeba dopo la guerra e l’occupazione l’Italia patteggiò sull’entità dei danni da liquidare all’Etiopia. I libri dell’imperatore non furono più trovati. Le medaglie e le corone furono scovate, quando non andarono perdute, nelle case dei Parioli. L’obelisco rimase a Roma. Negli anni ’50, con grande scorno del nostro governo, Haile Selassiee escluse l’Italia dal suo viaggio circolare per le capitali europee. Per rendere possibile la visita nel 1970 fu necessario nominare in fretta e furia una commissione che doveva studiare la soluzione tecnica del trasporto. Più di venticinque anni dopo tutto era fermo alla casella zero. Si mosse il probo Scalfaro. Si può far mancare il presidente alla parola data? Nel febbraio-marzo del 1996, quando l’Etiopia celebrò il centenario della battaglia di Adua, vittoria e sconfitta, il nostro ministero degli Esteri non rispose neppure all’invito del governo etiopico. Alla fine un esponente del mondo politico italiano si recò in Etiopia e partecipò alle cerimonie di Adua. La premessa fu un solenne impegno sull’obelisco.
    Sarebbe grave se a tanta distanza di tempo da quel 1937 quando la Gondrand si curò del trasporto in Italia dell’enorme monolito, spezzato in più tronconi, che arrivò troppo tardi tuttavia per il 9 maggio, primo anniversario della proclamazione dell’Impero, l’Italia fosse ancora a quegli stessi livelli di tracotanza. I conti con le violenze del colonialismo, soprattutto di quello fascista, l’Italia, la nostra politica e la nostra scuola, non li ha mai fatti fino in fondo. Nei giorni scorsi si è letto un articolo di Galli della Loggia a proposito della punizione dei criminali di guerra italiani sul fronte europeo. Quanti sanno che l’Etiopia chiese senza esito l’incriminazione, tra gli altri, di Badoglio e Graziani per i crimini in Etiopia? E’ una sfasatura culturale e psicologica che contraddistingue i nostri rapporti con l’Africa: si tratti di immigrati o di obelischi.

  29. A fronte di una richiesta pluridecennale delle autorità etiopi e ad un impegno preso dal Presidente Scalfaro, credo che non sia lecito addurre scuse di varia natura come fa Sgarbi o Storace. Inoltre la stele è posta in un luogo dove il traffico danneggia la pietra. Infine ritengo che non sia giusto impossessarsi della storia altrui.Anche gli inglesi dovrebbero restituire alla Grecia i pezzi asportati al Partenone. Benchè ogni impero del passato abbia fatto spesso incetta di opere d’arte nei paesi occupati, ritengo che poiché oggi siamo ad un livello superiore dobbiamo avere il rispetto degli altri,l’arte va vista dov’è stata creata.

  30. Ho letto la pagina culturale del Corriere, del 10 corrente, in merito al dibattito sulla permanenza o meno, a Roma, del singolare monumento funerario conosciuto come Stele di Aksum. Ne ho ricavato un’impressione desolante. Non soltanto per la disinformazione palese sulla vicenda in sé, quanto per la tenacia con cui viene riproposta – a distanza di quasi 13 lustri – una sottile campagna diffamatoria nei confronti dell’Italia e del Governo che all’epoca la rappresentava.
    Storicizzare la Storia è – per taluni – un’impresa invero disperata. La tendenza a leggere gli accadimenti sempre e comunque attraverso la lente deformante dell’ideologia è un’abitudine dura a morire e finisce col produrre luoghi comuni in quantità industriale.
    Chi ha curato il riquadro interno del servizio, dal titolo: Il tragitto dall’Africa a Roma nel 1937, avrebbe dovuto documentarsi meglio. La stele non è stata ritrovata nel 1935 – come riportato – a opera dei militari italiani. La sua presenza era ben nota. Giaceva al suolo, spezzata in tre parti, da tempo immemorabile. Forse abbattuta dai guerrieri di “Gragn il mancino” ai tempi della invasione islamica del XVI secolo o, probabilmente, ancor prima, vittima di un evento naturale, forse un terremoto. Lo documenta, tra gli altri, Teodoro Bent, archeologo inglese che visita Aksum nel 1893, nel suo lavoro The sacred city of Ethiopians, e soprattutto Enno Littmann, filologo tedesco, nella sua vasta opera Deutsche Aksum-Expedition pubblicata a Berlino nel 1913, che è il resoconto esaustivo della famosa spedizione tedesca del 1906, tenutasi su invito di Menelik II, il grande imperatore sciano, con la quale tutte le stele presenti ad Aksum furono accuratamente descritte, misurate, e scientificamente studiate.
    E’ falso che Mussolini abbia dato ordine di sezionarla in sei parti. I tronconi della stele furono recuperati sotto la direzione dell’archeologo Ugo Monneret de Villard, autore tra l’altro di un pregevole studio sulla topografia di Aksum, e trasportati a Massaia, su mezzi speciali ruotati, a cura della Società di spedizioni F.lli Gondrand, alla quale va il merito di quella eccezionale impresa. Si trattava, infatti, di far muovere i mezzi lungo la camionabile Massaua–Asmara, che era stata certo bitumata e rifatta, ma che doveva pur sempre rendere i tremilatrecento metri di dislivello esistenti tra il margine del tavolato etiopico e il mare. Fu necessario in alcuni punti eliminare muretti a secco, abbattere parzialmente costruzioni, modificare curve aumentandone il raggio in modo da consentire il movimento dei convogli.
    L’articolo di Carlo Bertelli se, da un lato, ha il pregio di affrontare il problema sotto l’aspetto della valenza artistica dell’opera, dando anche un giudizio positivo del suo impatto ambientale nell’universalistica Roma, stranamente dimentica che ad Aksum giace, tuttora spezzata al suolo, la stele gigante, la più alta di tutte con i suoi 33 metri, ancora più alta dell’obelisco egizio di piazza del Laterano. Perché non aiutare l’Etiopia a rimettere in piedi e a restaurare quella? Bertelli stranamente tace e preferisce dilungarsi nella descrizione di una vasta lastra di granito che formava il tetto di una camera funeraria reale.
    Ed è a questo punto che anche l’autore dell’articolo indulge alla moda della “vulgata”: “…è difficile dire che questo «meteorite» africano – scrive – abbia legato con la cultura italiana se non a ricordo di una guerra d’aggressione”. Ebbene, si tratta della solita prassi consolidata di chi vuole attualizzare, per scopi meramente ideologici del momento, fatti che ormai appartengono alla Storia. Quando si giudica un accadimento bisogna sempre collocarlo nel contesto in cui si è verificato, tenendo conto delle condizioni interne e internazionali che lo hanno prodotto. E’ un vecchio trucco demagogico isolarlo per brandirlo come un’arma, oggi, in funzione politically correct.
    Il colonialismo ha avuto, indiscutibilmente, una sua funzione storica. Fa parte della storia dell’umanità. Così come appartengono alla storia dell’umanità tutti i movimenti migratori che, a partire dai primi spostamenti dei cacciatori arcaici del paleolitico, hanno portato nel corso dei secoli e dei millenni alla costruzione dei regni e degli imperi. Criticare il colonialismo è ridicola impresa. Era una necessità storica, dettata dall’innata aspirazione umana a conoscere nuovi territori, dall’esigenza di ampliare i commerci, dalla necessità di individuare nuove fonti di approvvigionamento per l’industria nascente. In altri termini era assolutamente necessario al progresso.
    Il colonialismo italiano non deroga da questa logica, con una differenza però, che lo nobilita un poco. Era, almeno nelle intenzioni, un colonialismo di popolamento e non di “rapina” come sogliono dire, oggi, i benpensanti. L’ideale italiano consisteva nel far migrare milioni di diseredati in quegli spazi immensi ove, con laboriosità e ingegno, avrebbero creato benessere per sé e per gli indigeni.
    L’Eritrea era, nel Corno d’Africa, un esempio mirabile di questo progetto. Nel 1940, alle soglie della guerra, Asmara era una delle più belle cittadine africane. Aveva tutto: dalle scuole all’ippodromo, dallo stadio per le partite di calcio alle chiese: cattolica e cristiano-copta, dagli ospedali alle industrie manifatturiere, dagli alberghi ai cinema e ai ristoranti, dalle fontane con cascatelle d’acqua alle scalinate a gradini di pietra. Una teleferica ciclopica, forse la più imponente del mondo, con tralicci di sostegno alti più di cento metri, issava i materiali sull’altopiano lungo un percorso di settanta chilometri, dal porto di Massaua sino ad Asmara. Dalle gallerie della ferrovia che dal bassopiano portava alla città sbucavano le vaporiere, mentre veloci littorine a nafta disegnavano la loro sagoma filante sui viadotti panoramici. Asmara era una delle pochissime città africane a possedere, in quel tempo, le fognature. Anche in Etiopia avremmo saputo costruire tante “Asmara”, ma non ci hanno lasciato il tempo per farlo.
    Ciò che Bertelli non dice è che la supposta “avventura coloniale” aveva l’appoggio della stragrande maggioranza del popolo italiano. Mai si era avuto in Italia un consenso ad un’impresa così vasto. Mai si era avuta una partecipazione così intensa e commovente da parte di tutti gli strati sociali. Penso all’iniziativa dell’oro alla Patria, al tempo delle sanzioni economiche.
    E poi, caro Bertelli, perché parlare di avventura? Mussolini non era certo uno sciocco e meditava lungamente le sue mosse. Si decise per la guerra d’Etiopia quando ebbe la certezza assoluta dell’appoggio della Francia di Laval e quando, a Stresa, nel 1935, in occasione della conferenza sulla sicurezza europea, intuì che la Gran Bretagna avrebbe lasciato fare. Del resto, esisteva il piano Hoare-Laval che il Duce era disposto ad accettare nel dicembre del 1935 e che avrebbe arrestato il conflitto: Ma il piano fu respinto dal Governo inglese e dal Negus.
    Perché, avventura, se la campagna fu condotta con un largo dispiegamento di mezzi che poneva al riparo da ogni sorpresa? La rapida e completa vittoria fu facilitata certo dall’errore di valutazione del Negus che ritenendo possibile una nuova Adua decise di affrontare gl’italiani in campo aperto, anziché ricorrere a una più favorevole azione di guerriglia. Ma, una nuova Adua non era possibile. L’Italia di Mussolini non era certo l’Italia di Crispi. Era compatta dietro al suo Duce.
    Amici dell’Etiopia, non perdete il vostro tempo a fantasticare di un possibile ritorno della stele nella vostra affascinante terra. Cessate di stampare francobolli e cartoline commemorative. Pensate piuttosto a proteggere la rete stradale che vi abbiamo lasciato in eredità. Pensate a quei 5 mila chilometri di magnifico lavoro. Alla manutenzione del ponte in ferro sul Tacazzè della strada Asmara-Gondar, dei sinuosi tornanti di Passo Toselli, e di quelli che da Dessiè portano al bivio di Combolcià. Fate in modo che non crolli l’ardita spaccatura aperta sull’impervia parete dell’Uolchefit, lungo la strada per Gondar, che tante vittime del lavoro ha provocato. Curate la galleria del Termaber, lunga 586 metri, che da Debra Sina apre la strada verso Addis Abeba. Occupatevi della salvaguardia di tante e tante altre opere. Dovete rassegnarvi. La stele rimarrà in Italia. Ha un’importante funzione da svolgere.
    La razza italiana è a rischio di estinzione. Noi italiani siamo il popolo con il tasso di natalità più basso del mondo. Immersi da tempo in una cinica logica edonistica siamo divenuti egoisti. Siamo incapaci di progettare il futuro, perché questo richiede entusiasmo e una fede in qualcosa che non c’è. Cinquant’anni di esercizio dei diritti, senza mai una riflessione seria sui doveri, all’interno di uno Stato che – come un notaio – si è limitato a registrare la decomposizione del tessuto sociale e ad assistere a questa lunga agonia senza sentire il bisogno di intervenire, ci hanno fatto perdere la gioia di vivere.
    Tra alcuni decennî saremo così pochi che il “tipo italiano” dovrà essere tutelato, pena la scomparsa, da qualche associazione filantropica, cosi come oggi si protegge il panda cinese o il lupo maremmano. Siamo il popolo europeo più “europeista” di tutti. Siamo smaniosi di liberarci della nostra identità, dei nostri caratteri distintivi, delle nostre radici. Accettiamo acriticamente tutto ciò che promana dall’estero ritenendolo sempre migliore. Sottovalutiamo e disprezziamo le nostre capacità. Siamo pronti all’eutanasia di noi stessi.
    Per questo, amici abissini, dovete lasciarci la stele. Perché in quella popolazione – frutto del fondersi delle innumerevoli razze – che tra qualche decennio colmerà le vie e le piazze di quello che fu il Bel Paese, osservando la stele aksumita di Porta Capena, possa farsi largo la curiosità di conoscere cosa essa sia e cosa essa rappresenti.
    Così si saprà che agli italiani, antico popolo di aborigeni, accadde, un tempo, di rivivere il mito di Roma. Di ritrovare l’orgoglio, dopo secoli di servaggio. Di potersi proclamare, senza arrossire, italiani, in tutto il mondo. Di sentirsi concordi, figli della stessa madre, accomunati da uno stesso destino. Anche solo per un attimo. Di sentirsi un popolo vivo. Un popolo virile. Un popolo di uomini.

  31. Il vero problema è quello che affligge anche le opere d’arte italiane:lo “sradicamento” delle opere dal loro contesto.
    Questa è la cosa che bisogna combattere,per non incappare un’altra volta in episodi sgardevoli.
    Bisogna quindi arrestare,da subito,questo fenomeno al di la di questo o quell’episodio.Lo si deve fare per il bene dell’umanità,dei cittadini che siano italiani,etiopi o altro.E’ quindi un problema di prevenzione contro gli inconvenienti che accadono sul modello di quello che sta succedendo in questi giorni.
    E se,come ha fatto giustamente notare il dottor Sgarbi,si dovessero verificare incidenti irreversibili si perderebbe anche l’opera che si voleva far ritornare a posto per motivi al centro dei quali non vi era,erronemeante,l’attenzione all’integrità e alla salvaguardia dell’opera stessa.

  32. Sono d’accordo con JANEZ…questo è uno scoop. Sono di sinistra ma ho l’impressione che sulla vicenda di AXUM ci sia stata assai poca chiarezza….

  33. Ma vi rendete conto???? Hanno montato tutto!!! Non esiste nessuna ‘querelle axum’. E’ tutta una invenzione di una certa sinistra (quella becera che edita il manifesto o repubblica ad esempio) ed una polemica montata da qualche archeologuzzo inglese invidioso.
    IL NEGUS NON VOLEVA NESSUN OBELISCO, VOLEVA UN OSPEDALE E NOI GLIEL’ABBIAMO DATO!!!
    Ringrazio il notaio barzizza per la fondamentale rivelazione!! non ho parole per la felicità…

  34. Un pezzo di Etiopia nel cuore di Roma
    Vertice fra Esteri e Beni culturali: «Obelisco di Axum intrasportabile, meglio la extraterritoralità»
    di SALVATORE SPOTO

    «Meglio rendere extraterritoriale, etiope, un angolo di Roma pur di non restituire danneggiato l’obelisco di Axum». il sottosegretario ai Beni Culturali, Vittorio Sgarbi ed il suo collega agli Esteri, Alfredo Mantica, non hanno dubbi: rispetto dell’accordo per la restituzione ma anche tutela del monumento, gravemente a rischio a causa del trasporto.
    Nell’incontro di ieri, al ministero dei Beni culturali, tra i due rappresentanti di governo, è stato deciso di chiedere la proroga della conferenza dei servizi che si occupa della restituzione di questo monumento per consentire al sottosegretario Sgarbi di insediare una commissione di studio, per la prima volta aperta anche a rappresentanti etiopi, alla quale saranno chiamati a partecipare esperti internazionali ed istituti specializzati nella tutela di monumenti, a cominciare dall’Unesco.
    «Il problema non è politico – ha spiegato Sgarbi- Il governo italiano non vuole mancare agli impegni presi con quello etiope, ma ci sono problemi di trasporto che potrebbero danneggiare la stele e questo non è ammissibile da parte nostra. Quindi, meglio l’obelisco qui integro che là morto». E poi aggiunge: «nessun problema a concedere l’extraterritorialità alla parte di piazza dove si trova. L’importante è, lo ripeto, mantenerlo integro».
    Lo studio di fattibilità curato dalla Iccrom, per conto del precedente governo, aveva concluso per la trasportabilità della stele, purchè rimossa integra, senza escludere possibili danni a causa della fragilità del manufatto.
    Gli italiani, infatti, al tempo della guerra d’Africa, lo trovarono rotto in più parti nella “città santa” di Axum dove ci sono oltre un centinaio di queste steli. L’obelisco fu completamente restaurato e rimesso in piedi. I tedeschi lo presero a cannonate nelle drammatiche giornate dell’8 settembre 1943, costringendo i nostri esperti ad un nuovo restauro. La relazione dell’Iccrom prevedeva il trasporto del monumento, intero, fino a Napoli dove sarebbe stato imbarcato su una nave per il trasporto fino ad Axum. «E’ impossibile trasportarlo via mare – ha ribadito Sgarbi – perchè l’Etiopia non da all’Eritrea l’accesso al mare. Ed anche per via aerea sarebbe un trasporto molto complesso».
    Il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, ha spiegato: «E’ possibile la restituzione virtuale, proclamando l’extraterritorialità dell’area in cui sorge l’obelisco, che diventerebbe così territorio etiope o della Fao; la ricostruzione del parco archeologico di Axum a spese dello stato italiano». Il ministero degli Esteri, ha ricordato Mantica, ha già accantonato per Axum, come prezzo base, tre miliardi e 700 milioni.

  35. L’idea di trasformare lo spazio in cui si trova la stele di Axum in una parte di territorio etiope è semplicemente geniale.
    Bravo Sgarbi!
    Si eviterebbe così il rischio di una distruzione del monumento.

  36. Ho sempre pensato che gli imbecilli possono fare carriera.
    E diventare idioti.
    Anche in Italia, di certo, non mancano gli esempi.
    Ciao, Biz.

  37. OBELISCO DI AXUM, IL CASO ARRIVA ALL’UNESCO.
    La rappresentante italiana: meglio onorare gli impegni con l’Etiopia.

    «La restituzione dell’obelisco di Axum all’Etiopia è un problema politico: e il mio parere è che abbia ragione tutto sommato il ministro per i Beni e le attività culturali, Giuliano Urbani. Cioè che esiste una lunga serie di impegni ufficiali per la riconsegna sottoscritti dall’Italia, da cinquant’anni a oggi, e che questi impegni vadano rispettati». Tullia Carettoni, ex senatore della Sinistra indipendente ed ex vicepresidente dell’assemblea di palazzo Madama, dal 1986 presiede la Commissione nazionale italiana dell’Unesco, sezione dell’agenzia operativa dell’Onu per la cultura e l’educazione. E proprio l’Unesco è stata coinvolta pochi giorni fa nella disputa sulla sorte dell’obelisco di Axum: il governo etiopico l’8 gennaio scorso ha chiesto l’aiuto dell’organismo internazionale per riottenere la stele dal governo italiano.
    La vicenda è nota. L’obelisco fu trasportato da Axum a Roma per ordine di Benito Mussolini nel 1937. Già nel 1947 il trattato di pace italo-etiopico prevedeva la sua restituzione al governo di Addis Abeba. Ma dopo più di mezzo secolo e mille rinvii l’obelisco è ancora lì. E in tempi recentissimi si è riaperta una dura polemica tra i favorevoli alla restituzione (intellettuali e molti esponenti dell’Ulivo) e i contrari, capeggiati dal sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi che si batte nel nome dell’integrità del monumento: «Un atto contrario alle leggi di tutela».
    Nel luglio scorso l’allora ministro della Cultura dell’Etiopia, Woldemichael Chemo, ha dichiarato senza mezzi termini al Corriere della Sera riferendosi all’occupazione italiana del suo Paese tra il 1936 e il 1941: «Se l’obelisco di Axum non tornasse nella nostra terra sarebbe una vergogna per il saccheggiatore e un insulto per il saccheggiato. Quella presenza ricorderebbe ancora i misfatti compiuti qui dal regime fascista di Benito Mussolini. Incentiverebbe l’animosità tra i popoli. Minerebbe la nozione di perdono e il desiderio di dimenticare».
    La posizione adottata da Sgarbi è ben diversa da quella del ministro titolare Giuliano Urbani che, in un’intervista a Il giornale del 29 dicembre, ha annunciato: «Il governo italiano ha deciso di restituirlo ai proprietari per i quali ha un valore religioso. Con una precisazione: i rischi di sgretolamento della stele vanno assunti dall’Etiopia. Ma lì tornerà. Questa è la differenza tra il ministro e lo storico dell’arte». Frase verosimilmente collegata alla lettera aperta inviata a Berlusconi verso metà dicembre dal premier etiopico Meles Zenawi in cui si sollecitava con fermezza l’applicazione delle intese. Sgarbi ha risposto ad Urbani durante il suo viaggio verso Kabul ipotizzando a caldo le sue dimissioni nel caso di una restituzione. Due giorni fa ha chiarito: «Se il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, che in questo caso coincidono, decidono di restituire la stele lo facciano. Ma contro la mia volontà».
    Ed eccoci all’Unesco. Approfittando della visita in Etiopia del direttore generale dell’Unesco, Koichiro Matsuura, il governo etiopico l’8 gennaio scorso ha probabilmente cercato una ribalta internazionale chiedendo formalmente un aiuto per sciogliere il nodo. L’attuale ministro della Cultura, Teshoma Toga, ha annunciato: «La pazienza del popolo etiopico, dopo un’attesa di 55 anni, è ormai al limite. L’Italia deve rispettare senza ulteriori ritardi i suoi impegni. L’Etiopia non ritiene accettabile nulla di meno della restituzione dell’obelisco». Durante il suo viaggio Koichiro Matsuura ha visitato anche Axum dicendo: «Mi è parsa definitivamente non in zona di guerra». Altra frase in qualche modo collegata ancora a Sgarbi che in quelle ore sosteneva a Roma: «Gli etiopi non danno alcuna garanzia per poter custodire la stele in un’area in cui fino a qualche mese fa c’era la guerra».
    Adesso pure Tullia Carettoni (che per diciassette anni ha presieduto anche l’Istituto Italo-Africano e che quindi conosce da lungo tempo la complessa vicenda politico-culturale) sollecita il governo a rendere l’obelisco all’Etiopia: «Per quel Paese c’è da cancellare un ricordo legato alla stagione coloniale. Per loro quella stele è un simbolo e come tutti i simboli si carica di significati che vanno ben al di là del semplice valore storico-culturale». E come andrà a finire la richiesta di aiuto presentata dall’Etiopia a Matsuura? «L’Unesco? Credo che sarà molto difficile per il nostro organismo rispondere in un modo o nell’altro: il mondo è pieno di casi simili e non è compito dell’Unesco mettersi ad arbitrare tra i Paesi. Si potrebbero riaprire complessi capitoli come quello che oppone la Grecia alla Gran Bretagna sui fregi del Partenone».
    E l’opposizione di Sgarbi? Tullia Carettoni non la condanna, anzi la apprezza molto dal punto di vista scientifico: «Bisogna capire che il sottosegretario viene dall’amministrazione delle Belle arti. Perciò credo che le sue preoccupazioni nascano dalla sua professionalità, dalla sua ansia di assicurare la tutela e la salvaguardia del bene culturale di cui stiamo parlando. Però penso che gli accordi internazionali sottoscritti debbano avere un seguito. E da mezzo secolo, lo ripeto, tutti i nostri governi hanno assicurato il rimpatrio della stele in Etiopia. Tanto vale onorare gli impegni, visto che c’è in gioco un così alto peso simbolico».

  38. Mio padre, allora in Etiopia contribuì a quel trasloco. Ho avuto il piacere e la soddisfazione di indicare quell’obelisco ai miei figli, con orgoglio devo dire.
    Ma credo che tanto non possa essere un pretesto per conservare una memoria trafugata ad altri popoli.
    Mi pongo solo una domanda: ad Axum sarà veramente al sicuro? Non era stata trovata la stele abbandonata e riversa al suolo?

  39. Arrivo in ritardo, ma tutta la querelle attinente lo stele di Axum mi ha fatto sentire umiliato ancora un altra volta. C’è gente che parla di guerra finita, di fascismo finito e quante altre amenità possibili e immaginabili. La memoria storica per un popolo non va persa. Invece ci siamo scordati delle milioni di baionette fasciste e puntualmente alla caduta del Dux, gli italiani si ritrovarono monarchici e subito dopo furono repubblicani, scordando tutto. Ebbene, si ribadisce a coloro che hanno la memoria corta, l’Italia è stata fascista e lo è tuttora con la sua destra. Solamente che ora si chiama AN e sembra abbia fatto il bagno a Fiuggi, ma non si è scrostata della sua spocchia. Quando era MSI, era una fiera e rivale componente politica da condividere o meno ma era una sintesi politica. Oggi purtroppo è una massa acritica al seguito della più grande contradizione politica, affaristica al potere nel paese. E’ vergognoso che ci siano affermazioni tipo: “Criticare il colonialismo è ridicola impresa. Era una necessità storica, dettata dall’innata aspirazione umana a conoscere nuovi territori, dall’esigenza di ampliare i commerci, dalla necessità di individuare nuove fonti di approvvigionamento per l’industria nascente. In altri termini era assolutamente necessario al progresso.
    Il colonialismo italiano non deroga da questa logica, con una differenza però, che lo nobilita un poco. Era, almeno nelle intenzioni, un colonialismo di popolamento e non di “rapina” come sogliono dire, oggi, i benpensanti. L’ideale italiano consisteva nel far migrare milioni di diseredati in quegli spazi immensi ove, con laboriosità e ingegno, avrebbero creato benessere per sé e per gli indigeni.” E’ insultante pensare di entrare a casa d’altri sentirsi padroni e pretendere anche di stare zitti. Chi vuol intendere intenda e finitela con una querelle che non ha senso, si restituisca la stele.

  40. Sono fatta di pietra e non posso difendermi
    da chi mi vuole fare a pezzi e portarmi via
    dalla mia casa sul Circo Massimo, per rimandarmi nel luogo dove sono stata trovata massacrata e dove una mano misericordiosa
    mi ha raccolto e rimesso in piedi portandomi
    nella mia adorata Roma.Ho pregato il cielo
    di essere colpita da un fulmine,purche’non
    mi sradicassero dal mio suolo,ma se il cielo mi ha ascoltato,l’uomo e’rimasto sordo alle
    mie suppliche.Eppure ancora non voglio rassegnarmi al mio triste destino.Finche’avro’
    voce gridero’la mia disperazione.Se mi senti,
    se hai un po’ di cuore,aiutami a restare dove
    sono.(“Perche’ me levi da la terra mia?
    Ciavressi gnente er barbero coraggio de famme
    massacra’…” da Trilussa.)

  41. Che buffonata…Allora richiediamo alla Francia La Gioconda e tutte le nostre opere che riempiono i musei di mezzo mondo! Siamo un popolo che rinnega la sua storia, a differenza degli atri, che non hanno comunque nulla di buono da ricordare.

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