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Roma Capitale…della FotoGrafia
roma
Un festival lungo un mese, fino al 21 giugno: oltre 50 mostre, più di 100 artisti. Si chiama semplicemente FotoGrafia ed è la prima manifestazione internazionale di Roma: Exibart ne parla con uno dei curatori, Cristiana Perrella…
FotoGrafia – primo festival internazionale di Roma prevede un programma di mostre, ma anche un calendario d’incontri, workshop, una rassegna cinematografica: un evento ‘grande’ per spazi, per numero degli artisti, perché coinvolge l’intera città. Puoi spiegarci come nasce questo progetto e quali sono gli intenti?
Il progetto nasce da un’idea di Marco Delogu, che del Festival è direttore artistico, sviluppata in collaborazione con Diego Mormorio, Alessandra Mauro, Stefania Miscetti e la sottoscritta. Promosso dal Comune di Roma e realizzato da Zone Attive il Festival si propone di portare all’attenzione di un pubblico molto vasto la varietà di linguaggi in cui si articola oggi l’uso del mezzo fotografico, un po’ sul modello del Mese della Fotografia a Parigi.
… e in futuro? FotoGrafia diventerà un appuntamento ‘fisso’?
Si, sarà un appuntamento annuale.
FotoGrafia si articola in tantissimi spazi alcuni istituzionali, altri inediti o poco frequentati, tocca zone centrali e periferiche, sembra stabilire un rapporto privilegiato tra opere esposte e la città. Si può tracciare un ‘ipotesi di percorso?
Saranno la Stazione Termini e i Mercati di Traiano i due poli del percorso principale che coinvolge le Terme di Diocleziano, Palazzo Massimo, Piazza dei Cinquecento, Via Nazionale, il Palazzo delle Esposizioni. Stazione e Mercati, luoghi simbolo dell’incontro, della comunicazione e dello scambio, che uniscono idealmente duemila anni di storia. Altre mostre saranno realizzate lungo l’asse della metropolitana, insieme a degli interventi urbani all’interno delle stazioni periferiche. Un modo per proporre direttamente il festival alle migliaia di persone che ogni giorno si spostano attraverso la città. Il Festival sarà l’occasione per valorizzare e scoprire un tessuto culturale radicato nella città composto da musei, gallerie e accademie tra i più prestigiosi presenti a Roma. Ognuna di queste ospiterà o realizzerà direttamente una mostra inserita nella programmazione del Festival, che in questo modo potrà giovare di un contributo culturale importante che andrà a sommarsi alle numerose produzioni già previste. In questo modo si avrà la possibilità muovendosi per la città di incontrare ovunque i segni del primo festival di fotografia di Roma.
L’organizzazione di molte grandi mostre ha risentito – in questo periodo – del rincaro dei costi di assicurazione, di trasporti, della difficoltà di ottenere prestiti. Anche per FotoGrafia avete dovuto fare i conti con questi problemi?
Senz’altro c’è stato un rincaro dei premi di assicurazione, ma per i prestiti non abbiamo avuto grossi problemi. Abbiamo avuto dalla Collezione Saatchi Case History di Boris Mikhailov, un’installazione di 207 fotografie, da poco esposta a Londra, che verrà presentata per la prima volta in Italia. La Fondation Cartier pour l’art contemporain presta invece The Ballad of Sexual Dependency di Nan Goldin, lo slide show –anche questo in prima italiana- che raccoglie circa 700 immagini e che racconca trent’anni di vita dell’artista e dei suoi amici. Ma sono tante le mostre che arrivano dalle più svariate parti del mondo, l’antologica di Manuel Alvarez Bravo, il maestro della fotografia messicana che quest’anno ha compiuto cent’anni, la personale di Esko Mannikko, finlandese, che ritrae gli immigrati che vivono nel suo paese e molte altre…
Il programma espositivo è eterogeneo: dal reportage dei fotografi di Magnum, alle Light boxes, tutte le declinazioni del medium fotografico, le contaminazioni tra linguaggi, gli attraversamenti… potresti descriverci brevemente qualche linea per comprendere ‘lo stato delle cose’?
Innanzi tutto, il Festival si concentra, volutamente in controtendendenza, su un uso della fotografia piuttosto ortodosso, privo di manipolazioni digitali, di set artificiali che simulano la realtà, di immagini “iper-tech”. L’insieme delle mostre offre una ricognizione molto articolata sulla “fotografia-fotografia”, passando dal reportage ( con le mostre di Paolo Pellegrin sui Balcani ai Mercati Traianei, di Ryszard Kapuscinski sull’Africa alla Casa delle Letterature o con il World Press Photo al Museo di Roma in Trastevere) alla fotografia storica ( con, ad esempio la mostra di Timothy O’Sullivan sul West del 1860 curata da Diego Mormorio alla Società Geografica), fino ai maestri come Manuel Alvarez Bravo, al Palazzo delle Esposizioni. Proprio partendo da Alvarez Bravo, c’è poi una grande attenzione per il Centro e Sud America, con la collettiva curata da Antonio Arevalo all’Istituto Latino americano e con la mostra di Graciela Iturbide al Museo Andersen. Un altro nucleo “compatto” è la sezione che curo con Stefania Miscetti intitolata LifeSize.
Potresti parlarci di Lifesize, la sezione di mostre che curi con Stefania Miscetti?
Lifesize vuole essere un ritratto della realtà a “grandezza naturale”, in cui la vita è mostrata in tutta la sua crudezza, senza orpelli, senza filtri. Dallo slide show di Nan Goldin The Ballad of Sexual Dependency, una sorta di album di famiglia che racconta la vita a tratti tragica dell’artista stessa e dei suoi amici (al Museo d’arte Contemporanea di Roma), al video di Richard Billingham Ray in Bed, in cui il padre dell’artista è ripreso con tenerezza ed insieme con crudeltà durante un momento di depressione e apatia nello squallore della sua stanza da letto (alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna), per continuare (sempre alla GNAM) con le foto più recenti di Esko Mannikko, Organized Freedom, dove persone immigrate in Finlandia sono ritratte all’interno delle loro spoglie abitazioni. Dagli interni finlandesi si passa poi alla vita di strada in Ucraina e ai nuovi poveri ripresi dall’implacabile obiettivo di Boris Mikhailov, che presenta (ancora al Museo d’arte Contemporanea di Roma) il ciclo Case History. Il progetto si chiude in giugno con la rassegna dei film di Larry Clark, che sarà presentata dall’autore stesso (il 13 giugno nella sala multimediale del Palazzo delle Esposizioni).
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World Press Photo 2002
Flash Art di aprile/maggio, con il dossier sulla giovane fotografia italiana
maria cristina bastante
[exibart]
E’ il secondo articolo che leggo su questa manifestazione, e in entrambi c’era lo stesso errore voluto, credo, dai curatori: l’opera di Nan Goldin (e proprio la stessa copia che sarà presentata a Roma) non è una prima italiana essendo già stata esposta al palazzo delle Papesse. Un’imprecisione che non apprezzo.
caro matteo, non si trattava affatto della stessa opera. CIAO
Volevo solamente segnalare (può essere utile ad altri utenti) che la mostra “The ballad of sexual dependency” di Nan Goldin, citata nell’articolo di Mariacristina Bastante, in realtà non c’è al Museo di Arte Contemporanea di Roma, nè, mi è stato detto all’ingresso, è previsto che ci sia nei giorni futuri. Insomma, ma dove è l’esposizione di fotografia di Nan Goldin?
Essendoci sceso da Milano quasi appositamente, mi chiedevo se potete darmi qualche delucidazione in proposito.
Grazie molto!
Aspetto fiducioso una Vostra risposta.
Cordialmente
Stefano Pansolli
scusa, ma non ti sei accorto che il pezzo è datato 2002? Siamo nel 2003…