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LA FONDAZIONE SI FA LE FOTO
Progetti e iniziative
Da un “rapporto solidale di colleganza” tra le due massime cariche di Gam di Torino e Castello di Rivoli è nata la mostra Per una collezione di fotografia alla Manica Lunga. Che ha messo in luce il progetto della Fondazione CRT di incrementare gli acquisti fotografici dell’istituzione torinese. Ce ne parla il suo direttore, Pier Giovanni Castagnoli...
Rivoli e la Gam negli ultimi sei, sette anni hanno lavorato senza antagonismi nel riconoscimento reciproco della diversità dei ruoli, della loro differente storia collezionistica. E quando ha preso corpo il progetto della costituzione di un Fondo per l’Arte Contemporanea che potesse arricchire le collezioni di entrambi, l’occasione dell’acquisto di duecento fotografie di otto autori italiani per la Galleria d’Arte Moderna, offerta dalla Fondazione CRT, è stata un ulteriore veicolo per stringere sempre più questo rapporto.
Si riferisce alla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT che opera dalla fine del 2000 con la consulenza di un comitato scientifico composto dai direttori di Gam e Castello di Rivoli, nonché da Rudi Fuchs, David Ross e Nicholas Serota?
Esattamente. Grazie al progetto di acquisizioni della Fondazione CRT oggi noi ci troviamo ad avere alcuni spezzoni delle collezioni, costituitesi in questi anni, che sono comuni, in quanto frutto di una scelta condivisa. Inoltre sono opere che, laddove ve ne sia la necessità, possono essere utilizzate sia in una sede che in un’altra, per un’esposizione all’interno delle collezioni stesse.
Com’è nata l’idea di dedicare un fondo CRT specifico per la fotografia?
La fotografia non era stata contemplata inizialmente come obiettivo dalla commissione di esperti che ha elaborato questo progetto. È stata una mia proposta formulata a un certo punto, affinché una parte di quella quota destinata agli acquisti della Gam fosse devoluta all’acquisizione di opere fotografiche per poter arricchire, integrare in alcune lacune molto vistose, dare un ulteriore segno della continuità del sostegno a favore della costruzione di una collezione di fotografia italiana del secondo dopoguerra, su cui mi ero impegnato personalmente.
In quali termini si è svolto questo suo impegno?
Avevo stabilito un programma molto corposo di mostre dedicate alla fotografia, come quello che si è attuato nei dieci anni della mia direzione. Inoltre, ho voluto che il Museo destinasse una parte dei suoi fondi per le acquisizioni generali all’acquisto dei materiali fotografici delle mostre realizzate da noi, in molti casi nella loro integralità. Questo ha portato alla costruzione di un plafond molto robusto. Ciascuna esposizione monografica fatta dal museo ha depositato un patrimonio molto ricco, in alcuni casi c’è la mostra nella sua interezza: cento-centoventi pezzi, in altri casi sono quaranta-cinquanta, a seconda delle condizioni poste dalla trattativa con l’autore o con chi aveva mandato di poter vendere (l’erede, ad esempio). Chiaramente, quando parliamo di una collezione della fotografia italiana del secondo dopoguerra dobbiamo immaginare uno sforzo che non può finire, che deve continuare, che deve essere prospettico.
Si prevede di dedicare una struttura mirata alla gestione della collezione fotografica?
Personalmente la escluderei. Basterebbe che ci fosse all’interno del Museo un dipartimento per la fotografia, con un conservatore esperto in quel campo, coadiuvato da alcune consulenze, nel lavoro da realizzare nel tempo, negli obiettivi da delineare e nei programmi da definire, da parte di un gruppo di tre esperti (un italiano e due stranieri). Non bisogna mai dimenticare questo punto: la fotografia richiede una competenza specifica, anche quella più contemporanea, nonostante sia così prossima, quasi sovrapponibile in molte esperienze con il lavoro autoriale di artisti che hanno un’altra formazione, senza essere strettamente fotografi. La fotografia in quanto tale, senza altre aggettivazioni che la definiscano, richiede una conoscenza e un’esperienza molto definite e quindi una professionalità specialistica.
Quali sono stati gli investimenti della Fondazione CRT per questo fondo fotografico?
Queste ultime acquisizioni sono state fatte con una dotazione complessiva di cinquecentomila euro. Ma solo quelle acquistate coi mezzi della CRT, poi in passato ci sono state delle altre acquisizioni fatte coi mezzi della Gam.
Da chi sono state comprate quelle della CRT?
Da varie fonti: da mercanti, dalle fiere, dagli autori, dagli eredi, da vari soggetti.
Perché non è stato inserito anche il fotografo torinese Mussat Sartor nella mostra in questione?
Quelle fotografie non fanno parte del fondo della CRT ma erano già state acquisite dalla Gam. La mostra a Rivoli riguarda solo le acquisizioni che si sono fatte col fondo CRT in quel particolare frangente.
Questa attenzione per la fotografia sembra rivolta a compensare una recente perdita di Torino. Che fine ha fatto il fondo della Fondazione Italiana per la Fotografia? Lo gestite voi?
Quando io sono arrivato a Torino esisteva in questa città una Fondazione che lavorava per la fotografia ma viveva già alcuni momenti di difficoltà. Purtroppo la sua vita si è interrotta [commissariata nel giugno del 2006, N.d.R.] e il lavoro che la Galleria ha fatto è stato quello di surrogare questa mancanza di un riferimento istituzionale specifico per il settore. Il patrimonio della Fondazione Italiana per la Fotografia non lo gestiamo noi perché è parte di una procedura fallimentare, di cui bisognerà attendere la conclusione per stabilire chi ne sarà il proprietario. Io sarei comunque dell’idea di non moltiplicare i centri, per averne uno forte e solido.
articoli correlati
La recensione della mostra Per una collezione di fotografia
a cura di claudia giraud
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 51. Te l’eri perso? Abbonati!
[exibart]
Un rapporto solidale di colleganza? Con la gestione Castagnoli la GAM è stata lo scendiletto di Rivoli. Si può fare sistema senza antagonismi mantenendo le proprie diversità. Ma ora Castagnoli dopo dieci anni se ne va con buona pace di quelli che lo avevano salutato come salvatore della patria senza avere dato dato nulla alla scena torinese e senza aver lasciato traccia alcuna, con l’unica eccezione della videoteca.