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29
ottobre 2009
UN CENTENARIO PRECOCE
Politica e opinioni
di giovanni lista
Sono sufficienti cent’anni per acquisire la giusta distanza da un evento storico e poterlo leggere senza patemi d’animo? La ricorrenza futurista dimostra che non sempre è così. E nel 2009 aleggia ancora lo spettro del fascismo e del suo legame con Marinetti & Co. Con l’intervento di Giovanni Lista prosegue la serie di approfondimenti di “Exibart” sull’avanguardia italiana che ha sconvolto l’Europa e non solo...
Sono sufficienti cent’anni per acquisire la giusta distanza da un evento storico e poterlo leggere senza patemi d’animo? La ricorrenza futurista dimostra che non sempre è così. E nel 2009 aleggia ancora lo spettro del fascismo e del suo legame con Marinetti & Co. Con l’intervento di Giovanni Lista prosegue la serie di approfondimenti di “Exibart” sull’avanguardia italiana che ha sconvolto l’Europa e non solo...
Il primo centenario di un evento storico è una sorta di
prova del nove che equivale al passaggio dall’adolescenza all’età matura nella
vicenda biografica di un individuo. Quando un uomo diventa adulto assume
sicurezza di sé e maggiore serenità nei confronti del proprio destino, proprio
perché sopisce allora gli ardori puberali, l’emotività eccessiva e le carenze
psicologiche che accompagnavano la prima fase della sua vita.
Lo stesso avviene o dovrebbe avvenire per l’esercizio
storiografico. Come disciplina, la storia lavora sul passato, ma lo storico sa
che c’è un settore particolare, come lo studio del passato prossimo, che lo
induce a riflettere su un’epoca corrispondente a quella dei propri genitori o
dei propri nonni, ancora nutrita di passioni accese, motivazioni affettive e
risentimenti che impediscono talvolta un giudizio sereno, inquinando la
necessaria distanza critica, che è invece uno dei caratteri fondamentali della
deontologia dello storico. Insomma, i cadaveri sono ancora caldi e, quando è
così, risulta difficile rimanere indifferenti.
La ricorrenza del primo centenario di un evento storico è,
in questo senso, un momento magico, perché per la prima volta ci si pone al di
là della biografia, si lavora su dati ormai certi, così come certa è la morte
dei protagonisti dell’evento di cui ci si sta occupando.
Il primo centenario del Futurismo, significativamente
segnato dalla morte di Luce Marinetti, figlia del fondatore del movimento,
avrebbe dovuto essere questo: un’oasi di serenità finalmente raggiunta, un
raffreddarsi delle passioni e delle polemiche, un esame finalmente sereno del
ruolo svolto dalla nostra avanguardia in seno alla cultura italiana. Solo
rispetto al raggiungimento di questi obiettivi, il centenario ancora in corso
potrebbe dirsi riuscito.
Tocca invece constatare che si è ancora molto lontani da
una simile meta. Anzi, è come se questo centenario fosse stato troppo precoce,
come se cento anni non bastassero per collocare infine il Futurismo nelle
vetrine della storia.
Il lavoro storiografico sul Futurismo è cominciato
praticamente subito dopo il secondo dopoguerra. Dagli anni ‘50 in poi, non si è
mai cessato di pubblicare libri e organizzare mostre sui futuristi, sulle idee
futuriste, sulle opere del Futurismo. Ma sempre con una vena polemica, con un
voluto atteggiamento di pro e di contro. Bisogna dire che il Futurismo,
avanguardia militante, sociologicamente motivata e attivista sul piano
politico, non poteva lasciare indifferenti.
Il progetto futurista era stato quello di dare all’Italia
una identità culturale e artistica moderna, di introdurla così nel concerto
delle nazioni europee a pari grado con gli altri Paesi, cioè non in quanto “museo
a cielo aperto”
(Quatremère de Quincy), come era stato stabilito subito dopo la Rivoluzione
francese. Quando la Francia rubò all’Italia la leadership della cultura
europea, assumendosi il ruolo di portavoce della modernità, il nostro Paese si
trovò ormai relegato ad essere la “terra dei morti” (Lamartine), cioè dei musei, dei
monumenti e dell’archeologia.
Fondando polemicamente il Futurismo, Marinetti voleva che
l’Italia diventasse una nazione uguale alle altre, capace di dare il suo
contribuito al presente e alla storia collettiva della cultura europea e
internazionale. Il Futurismo è stato essenzialmente questo ed è soprattutto su
questo che andava giudicato all’ora del suo primo centenario.
Invece di collocare definitivamente il Futurismo nella
storia, a una sana equidistanza dalle passioni e dalle partigianerie politiche,
si è ancora fermi allo spirito polemico di chi nega il suo valore a causa delle
idee che l’hanno portato a naufragare nel ventennio fascista, oppure di chi lo
rivendica con orgoglio considerandolo come la punta di diamante di una cultura
di destra che non esita dichiararsi erede del fascismo. In definitiva, questa
continua, contraddittoria e semplicistica insistenza sul legame tra fascismo e
Futurismo nuoce all’immagine della nostra avanguardia, negandogli un giusto
riconoscimento nel panorama internazionale.
Non è un caso se sono stati soprattutto i comuni e le
regioni d’Italia dove le destre sono al potere ad interessarsi al centenario
con manifestazioni e iniziative di ogni tipo. Strumentalizzando il Futurismo ai
fini dell’attualità politica, parecchie di queste celebrazioni non sono
riuscite a valorizzarlo in quanto tale, cioè come parte fondamentale del
patrimonio culturale del nostro Paese. E si tratta di un errore, anche perché i
caratteri essenziali del Futurismo non possono essere identificati nell’evoluzione
contingente che ha finito per chiuderlo nel gioco politico dell’Italia ormai
alla deriva del primo dopoguerra.
Per raggiungere una visione oggettiva dei fatti storici,
ma anche per superare i meri eventi di cronaca e per non essere più imbrigliati
in pregiudizi grossolani e stereotipi banali, c’è ancora molto su cui lavorare.
In quanto avanguardia che ha dato molto in termini di costruzione dell’identità
culturale italiana post-risorgimentale, il Futurismo meriterebbe un
affrancamento dalla schiavitù ideologica cui è sottoposto da decenni.
Il suo primo centenario rischia di essere, da questo punto
di vista, un’occasione clamorosamente perduta.
prova del nove che equivale al passaggio dall’adolescenza all’età matura nella
vicenda biografica di un individuo. Quando un uomo diventa adulto assume
sicurezza di sé e maggiore serenità nei confronti del proprio destino, proprio
perché sopisce allora gli ardori puberali, l’emotività eccessiva e le carenze
psicologiche che accompagnavano la prima fase della sua vita.
Lo stesso avviene o dovrebbe avvenire per l’esercizio
storiografico. Come disciplina, la storia lavora sul passato, ma lo storico sa
che c’è un settore particolare, come lo studio del passato prossimo, che lo
induce a riflettere su un’epoca corrispondente a quella dei propri genitori o
dei propri nonni, ancora nutrita di passioni accese, motivazioni affettive e
risentimenti che impediscono talvolta un giudizio sereno, inquinando la
necessaria distanza critica, che è invece uno dei caratteri fondamentali della
deontologia dello storico. Insomma, i cadaveri sono ancora caldi e, quando è
così, risulta difficile rimanere indifferenti.
La ricorrenza del primo centenario di un evento storico è,
in questo senso, un momento magico, perché per la prima volta ci si pone al di
là della biografia, si lavora su dati ormai certi, così come certa è la morte
dei protagonisti dell’evento di cui ci si sta occupando.
Il primo centenario del Futurismo, significativamente
segnato dalla morte di Luce Marinetti, figlia del fondatore del movimento,
avrebbe dovuto essere questo: un’oasi di serenità finalmente raggiunta, un
raffreddarsi delle passioni e delle polemiche, un esame finalmente sereno del
ruolo svolto dalla nostra avanguardia in seno alla cultura italiana. Solo
rispetto al raggiungimento di questi obiettivi, il centenario ancora in corso
potrebbe dirsi riuscito.
Tocca invece constatare che si è ancora molto lontani da
una simile meta. Anzi, è come se questo centenario fosse stato troppo precoce,
come se cento anni non bastassero per collocare infine il Futurismo nelle
vetrine della storia.
Il lavoro storiografico sul Futurismo è cominciato
praticamente subito dopo il secondo dopoguerra. Dagli anni ‘50 in poi, non si è
mai cessato di pubblicare libri e organizzare mostre sui futuristi, sulle idee
futuriste, sulle opere del Futurismo. Ma sempre con una vena polemica, con un
voluto atteggiamento di pro e di contro. Bisogna dire che il Futurismo,
avanguardia militante, sociologicamente motivata e attivista sul piano
politico, non poteva lasciare indifferenti.
Il progetto futurista era stato quello di dare all’Italia
una identità culturale e artistica moderna, di introdurla così nel concerto
delle nazioni europee a pari grado con gli altri Paesi, cioè non in quanto “museo
a cielo aperto”
(Quatremère de Quincy), come era stato stabilito subito dopo la Rivoluzione
francese. Quando la Francia rubò all’Italia la leadership della cultura
europea, assumendosi il ruolo di portavoce della modernità, il nostro Paese si
trovò ormai relegato ad essere la “terra dei morti” (Lamartine), cioè dei musei, dei
monumenti e dell’archeologia.
Fondando polemicamente il Futurismo, Marinetti voleva che
l’Italia diventasse una nazione uguale alle altre, capace di dare il suo
contribuito al presente e alla storia collettiva della cultura europea e
internazionale. Il Futurismo è stato essenzialmente questo ed è soprattutto su
questo che andava giudicato all’ora del suo primo centenario.
Invece di collocare definitivamente il Futurismo nella
storia, a una sana equidistanza dalle passioni e dalle partigianerie politiche,
si è ancora fermi allo spirito polemico di chi nega il suo valore a causa delle
idee che l’hanno portato a naufragare nel ventennio fascista, oppure di chi lo
rivendica con orgoglio considerandolo come la punta di diamante di una cultura
di destra che non esita dichiararsi erede del fascismo. In definitiva, questa
continua, contraddittoria e semplicistica insistenza sul legame tra fascismo e
Futurismo nuoce all’immagine della nostra avanguardia, negandogli un giusto
riconoscimento nel panorama internazionale.
Non è un caso se sono stati soprattutto i comuni e le
regioni d’Italia dove le destre sono al potere ad interessarsi al centenario
con manifestazioni e iniziative di ogni tipo. Strumentalizzando il Futurismo ai
fini dell’attualità politica, parecchie di queste celebrazioni non sono
riuscite a valorizzarlo in quanto tale, cioè come parte fondamentale del
patrimonio culturale del nostro Paese. E si tratta di un errore, anche perché i
caratteri essenziali del Futurismo non possono essere identificati nell’evoluzione
contingente che ha finito per chiuderlo nel gioco politico dell’Italia ormai
alla deriva del primo dopoguerra.
Per raggiungere una visione oggettiva dei fatti storici,
ma anche per superare i meri eventi di cronaca e per non essere più imbrigliati
in pregiudizi grossolani e stereotipi banali, c’è ancora molto su cui lavorare.
In quanto avanguardia che ha dato molto in termini di costruzione dell’identità
culturale italiana post-risorgimentale, il Futurismo meriterebbe un
affrancamento dalla schiavitù ideologica cui è sottoposto da decenni.
Il suo primo centenario rischia di essere, da questo punto
di vista, un’occasione clamorosamente perduta.
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*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n.
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