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12
dicembre 2008
fino al 4.I.2008 Objectivités Paris, Musée d’Art Moderne
around
Il dibattito sull'oggettività del medium fotografico spinge lo spettatore a una riflessione su una realtà filtrata attraverso le immagini. L'iperrealtà viene criticamente messa a nudo. E gli esperimenti sul mezzo sono accompagnati da una critica sociale. Targata Germania...
Al Mam sono esposte opere caratterizzanti lo sviluppo artistico nel contesto di Düsseldorf dagli anni ’60 ai giorni nostri. Il quadro storico è quello di una Germania uscita dall’esperienza nazista. Se gli artisti informali, nel resto d’Europa, preferiscono distogliere lo sguardo dall’incubo della realtà, a Düsseldorf Joseph Beuys si affida alla redenzione dell’uomo attraverso la pratica artistica, mentre d’altra parte i coniugi Bernd e Hilla Becher fanno dell’osservazione del reale il motivo profondo della loro ricerca.
La mostra parigina si divide essenzialmente in tre sezioni. Una dedicata ai Becher e i loro allievi che, in concomitanza con i cambiamenti storico-sociali, mutano modalità e sviluppi dell’investigazione dei maestri. Una seconda a quegli artisti che, continuando nella scia dadaista e più puramente concettuale, indagano ontologicamente il concetto di autorialità e il ruolo dell’artista. Infine, in una terza e ultima sezione, s’indaga un atteggiamento altrettanto sperimentale, al quale corrispondono immagini politicamente impegnate, con la desolazione dei luoghi e la solitudine dei corpi. Difficile perciò trovare un filo conduttore, se non nella meditazione sullo statuto dell’immagine nella società contemporanea e in una tendenza alla catalogazione e alla riscrittura del reale.
Il grande formato, prerogativa di molte fotografie in mostra, pone l’autore in uno spazio esperibile necessariamente attraverso il tempo. Il soggetto è inserito nella mise en scène silenziosa di “spazi pittorici” (Elger Esser) o nei luoghi della significazione (Thomas Struth). Nelle immagini di Andreas Gursky, lo spettatore, in quanto soggetto umano apparentemente ignaro della propria condizione, si posiziona al di fuori di una messa in scena del sublime. Nelle fotografie pixelate di Thomas Ruff la realtà, codificata attraverso l’informazione, risulta una costruzione metaforica dell’esistente, in cui ai fatti si sostituiscono i simulacri.
Il minimalismo delle immagini di Hans-Peter Feldmann è lacerato da una temporalità in antitesi con l’istante fotografico. L’“è stato”, già messo in discussione attraverso le pratiche di post-produzione, si dilata fino a comprendere ogni possibilità narrativa. Nel lavoro di Ursula Schulz-Dornburg la meditazione sul tempo si concentra sui movimenti di luce e ombra e su luoghi in cui vi è un cortocircuito fra storie accadute e possibili. La storia logora la forma.
Nella sua pratica narrativa, Gerhard Richter utilizza indistintamente scatti personali e fotografie trovate. L’atto creativo non consiste nella produzione, bensì nella selezione dell’esistente e nella successiva composizione di momenti trascorsi. Infine, Spicher di Jorg Sass, in cui il fruitore è invitato a montare, tra le varie fotografie messe a disposizione in un box, una storia dalla significazione aleatoria. È la morte dell’autore in senso barthesiano.
La mostra parigina si divide essenzialmente in tre sezioni. Una dedicata ai Becher e i loro allievi che, in concomitanza con i cambiamenti storico-sociali, mutano modalità e sviluppi dell’investigazione dei maestri. Una seconda a quegli artisti che, continuando nella scia dadaista e più puramente concettuale, indagano ontologicamente il concetto di autorialità e il ruolo dell’artista. Infine, in una terza e ultima sezione, s’indaga un atteggiamento altrettanto sperimentale, al quale corrispondono immagini politicamente impegnate, con la desolazione dei luoghi e la solitudine dei corpi. Difficile perciò trovare un filo conduttore, se non nella meditazione sullo statuto dell’immagine nella società contemporanea e in una tendenza alla catalogazione e alla riscrittura del reale.
Il grande formato, prerogativa di molte fotografie in mostra, pone l’autore in uno spazio esperibile necessariamente attraverso il tempo. Il soggetto è inserito nella mise en scène silenziosa di “spazi pittorici” (Elger Esser) o nei luoghi della significazione (Thomas Struth). Nelle immagini di Andreas Gursky, lo spettatore, in quanto soggetto umano apparentemente ignaro della propria condizione, si posiziona al di fuori di una messa in scena del sublime. Nelle fotografie pixelate di Thomas Ruff la realtà, codificata attraverso l’informazione, risulta una costruzione metaforica dell’esistente, in cui ai fatti si sostituiscono i simulacri.
Il minimalismo delle immagini di Hans-Peter Feldmann è lacerato da una temporalità in antitesi con l’istante fotografico. L’“è stato”, già messo in discussione attraverso le pratiche di post-produzione, si dilata fino a comprendere ogni possibilità narrativa. Nel lavoro di Ursula Schulz-Dornburg la meditazione sul tempo si concentra sui movimenti di luce e ombra e su luoghi in cui vi è un cortocircuito fra storie accadute e possibili. La storia logora la forma.
Nella sua pratica narrativa, Gerhard Richter utilizza indistintamente scatti personali e fotografie trovate. L’atto creativo non consiste nella produzione, bensì nella selezione dell’esistente e nella successiva composizione di momenti trascorsi. Infine, Spicher di Jorg Sass, in cui il fruitore è invitato a montare, tra le varie fotografie messe a disposizione in un box, una storia dalla significazione aleatoria. È la morte dell’autore in senso barthesiano.
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a cura di Armin Zweite e Fabrice Hergott
Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris
11, avenue du Président Wilson – 75016 Paris
Orario: da martedì a domenica ore 10-18
Ingresso: intero € 7; ridotto € 4
Catalogo Schirmer & Mosel, € 48
Info: tel. +33 0153674000; fax +33 0147233598; www.mam.paris.fr
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