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Millecinquecento anni di storia e non sentirli. Riapre al pubblico sabato 21 giugno la collezione d’arte del Museo Cristiano e del Tesoro del Duomo di Cividale del Friuli, uno dei molti, straordinari gioielli di cui il nostro Paese è ricco, ma che come tanti è ingiustamente poco conosciuto al di fuori della stretta cerchia degli appassionati e degli specialisti. Oltre agli studiosi di alto Medioevo e di storia della religione, questa istituzione ha invece molto da offrire anche al profano e al semplice curioso. Il Museo Cristiano, infatti, fu fondato nel 1946 ed è sempre stato conosciuto per due straordinarie testimonianze dell’arte longobarda, l’Altare di Ratchis e il Battistero di Callisto. Ora, diretto dall’arciprete del Duomo mons. Guido Genero, si è rinnovato e ampliato e presenta in bell’ordine l’intera collezione di oggetti di oreficeria e di uso liturgico, preziosi manoscritti e codici, paramenti sacri, ma anche sculture e capolavori tra i quali il “Noli me tangere” del Pordenone e due opere del Veronese. Tutti lavori che testimoniano il prestigio e l’importanza di una città, Cividale, che dopo essersi distinta – con Aquileia – come uno dei centri propulsori della diffusione del Cristianesimo in età paleocristiana, divenne capitale del primo ducato longobardo d’Italia e poi roccaforte nevralgica dell’espansionismo carolingio verso il mondo slavo, distinguendosi come crogiolo di diverse culture. Dell’età longobarda (568-774) Cividale conserva ampie tracce, a cominciare dal bellissimo tempietto – oggi Oratorio di Santa Maria in Valle – con i importanti fregi e i rari affreschi. I capolavori più noti sono però senza dubbio l’Altare di Ratchis e il Battistero di Callisto: il primo, databile tra il 737 e il 744, è composto da un solo blocco di pietra d’Istria e rappresenta nelle quattro facce episodi religiosi quali la Maestà divina, l’Adorazione dei Magi e la Visitazione, eseguiti in uno stile piuttosto statico e strabordante – secondo l’uso cosiddetto “barbarico” – di decorazioni geometriche e vegetali; il secondo, coevo, accoppia alla consueta forma ottogonale del battezzatoio archi a tutto sesto sostenuti da una teoria di colonne corinzie in calcare bianco e bassorilievi con simboli cristologici e degli Evangelisti eseguiti, probabilmente, dallo stesso autore dell’Altare. Il Museo e i suoi tesori, ora tornati all’iniziale splendore grazie anche a un restauro che, nel caso dell’Altare, ne ha rivelato la policromia originale, candidano Cividale insieme ad altri centri (Brescia, Castelseprio, Spoleto, Campello sul Clitunno, Benevento e Monte Sant’Angelo) ad entrare nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco come parte dell’itinerario seriale “Italia Langobardorum”. (elena percivaldi)