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Helen Cammock, Céline Condorelli, Eloise Hawser, Athena Papadopoulos, Lis Rhodes e Mandy El-Sayegh, sono le finaliste della settima edizione del Max Mara Art Prize for Women. L’annuncio è stato dato in occasione dell’inaugurazione dell’opera di Emma Hart, vincitrice della precedente edizione, svoltasi presso la sede della Collezione Maramotti a Reggio Emilia. Nella giuria di quest’anno, presieduta come sempre da Iwona Blazwick, Direttrice della Whitechapel Gallery e curatrice del progetto, anche Vanessa Carlos, gallerista di Carlos/Ishikawa, Laure Prouvost, che vinse la quarta edizione del Premio, la collezionista Marcelle Joseph e la critica Rachel Spence. Il Prize, a cadenza biennale, venne istituito nel 2005, dalla Whitechapel Gallery, storica galleria d’arte pubblica inglese, in collaborazione con Max Mara, riflettendo lo stretto rapporto tra la maison di moda e il mondo dell’arte, specificamente declinato al femminile. L’obiettivo infatti è promuovere e sostenere la ricerca artistica di genere, oltre che lo scambio tra due contesti. Infatti, se il premio è rivolto alle artiste che lavorano nel Regno Unito, in palio c’è una residenza di sei mesi in Italia, propedeutica all’elaborazione di un progetto artistico da esporre prima alla Whitechapel e, quindi, nella prestigiosa Collezione Maramotti, allestita nell’originario stabilimento di moda Max Mara, a Reggio Emilia.
E infatti, Mamma mia!, l’installazione presentata da Emma Hart, consiste di grandi sculture in ceramica a forma di brocca antropomorfa, prodotte dall’artista a Faenza, insieme agli artigiani del luogo, in seguito a una ricerca sui disegni e sulla pratica della tradizione italiana della maiolica.
Le sei artiste nella shortlist di quest’anno, quasi tutte nate tra gli anni ’70 e gli ’80, privilegiano temi relativi all’identità, intesa sia come organismo biologico che nella dimensione politica e culturale, esplorando la complessa realtà del contemporaneo attraverso diverse modalità di narrazione. Helen Cammock, (1970) predilige la musica e la letteratura, e ha tratto ispirazione da figure come Nina Simone, Philip Larkin e Winifred Holtby. Céline Condorelli (1974) si dedica alla performance e all’installazione e ha collaborato con Gavin Wade e James Langdon. Eloise Hawser (1985), che a breve aprirà una mostra alla Somerset House, è attenta alla relazione quotidiana tra il corpo umano e i sistemi architettonici. Athena Papadopoulos (1988) lavora sulla stratificazione dell’immaginario, realizzando disegni e fotografie con l’uso di cosmetici e medicinali. Lis Rhodes (1942), fin dagli anni ’70, realizza film sperimentali e radicali che si soffermano sulle strutture di potere del linguaggio e sfidano lo spettatore a ripensare il film come mezzo di comunicazione e di presentazione dell’immagine, del linguaggio e del suono. Una sua opera di cinema espanso, Light Music, è stata esposta alla Tate Moderne nel 2012. Mandy El-Sayegh (1985) indaga sulla frammentazione del sé e della società nel senso più ampio del termine, a partire dalla scrittura, come in uno suo lavoro sulla grafia inglese e araba.
«Per molti anni il lavoro delle donne artiste è sembrato sfuggire all’interesse del mondo dell’arte, ma grazie a questo importante premio artiste di diverse generazioni hanno avuto l’opportunità di vivere mesi di formazione esplorando l’Italia e di ottenere le risorse per creare un’importante commissione che le ha portate all’attenzione internazionale», ha commentato Iwona Blazwick.
La vincitrice sarà annunciata nei primi mesi del 2018.