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Ventiquattro mesi e otto artisti, provenienti dai quattro punti cardinali del mondo. L’Hangar Bicocca presenta il suo programma a cadenza biennale 2019-2020 e non lesina certo sulle sorprese, con una nutrita ed eterogenea selezione di nomi, ricerche, tensioni e linguaggi. D’altra parte l’attesa era tanta, come dimostra l’ampio numero di persone intervenute alla presentazione, appena conclusa. E alta era anche la curiosità, motivata da una serie di operazioni ben bilanciate tra sperimentazione e storia dell’arte, tra impegno e raffinati intellettualismi, passando con disinvoltura da Mario Merz e Matt Mullican a Leonor Antunes e Christian Boltanski. Insomma, riprendendo il laborioso spirito milanese, una fabbrica dove si produce arte?
Secondo Marco Tronchetti Provera, senza dubbio. «Milano dà l’idea di essere la città in cui poter costruire un futuro migliore, un posto in cui dover essere», ha detto il presidente dell’Hangar. Dello stesso avviso Giuseppe Sala, che dal presente guarda lontano, «È una città a lungo termine». E qual è il suo segreto? Per il Sindaco è il «Meccanismo collaborativo che si è instaurato tra le istituzioni e il territorio», un circolo virtuoso dove tutti giocano la propria parte, prendendosi responsabilità e onori del caso, comprese università e musei, le cui operazioni hanno il merito non solo di formare e aprire le menti ma anche di creare un nobile senso di appartenenza. «Far parte di questa città è un piacere», ha affermato Sala, visibilmente emozionato e già carico di applausi. D’altra parte, i numeri del turismo sono in forte ascesa, con 8 milioni di visitatori all’anno e questo vorrà pur dire qualcosa. In tempi bui per la Penisola, allora, si apre uno spiraglio, «Ci batteremo sempre per combattere arroganza e ignoranza», aggiunge Tronchetti Provera.
E quindi, chi animerà i prossimi due anni dell’Hangar Bicocca? Mantenendo la consueta e caratterizzante divisione degli spazi, un aspetto sottolineato anche da Vicente Todolì, nei 5500 metri quadrati della Navata esporranno Sheela Gowda (Bhadravati, Karnataka, India, 1957), Cerith Wyn Evans (Llanelli, Wales, UK, 1958), Chen Zhen (Shanghai, 1955-Paris, 2000) e Steve McQueen (London, 1969), mentre nei 1400 metri quadrati dello Shed sarà la volta dei più giovani Giorgio Andreotta Calò (Venezia, Italia, 1979), Daniel Steegmann Mangrané (Barcelona, 1977), Trisha Baga (Venice, Florida, USA, 1985) e Neïl Beloufa (Paris, 1985). Dunque, generazioni diverse e geografie distanti in dialogo ma questo aspetto non deve affatto stupire: «L’arte non entra con il passaporto ma si nutre di tanti equilibri, arricchisce e crea complessità», ha specificato il direttore artistico, che ha sviluppato il programma espositivo in collaborazione con il dipartimento curatoriale.
Il primo appuntamento sarà con Andreotta Calò, il 14 febbraio, a cura di Roberta Tenconi, quindi, il 4 aprile, vedremo Sheela Gowda, a cura di Nuria Enguita e Lucia Aspesi. Saltando l’estate, ci ritroveremo a settembre, con Daniel Steegmann Mangrané, a cura di Aspesi e Fiammetta Griccioli, affronteremo l’autunno con Cerith Wyn Evans, a ottobre e a cura di Tenconi e Todolí. Il 2020 aprirà con Trisha Baga, a febbraio, a cura di Aspesi e Griccioli, quindi Chen Zhen, a cura di Todolí, Neïl Beloufa, a cura di Tenconi, e per finire Steve McQueen, a ottobre 2020, a cura di Todolí e Clara Kim con Fiontán Moran e in collaborazione con la Tate Modern. McQueen sta infatti preparando una grande mostra proprio al museo inglese ma a Milano «Ribalterà completamente il display espositivo, perché saranno tutte mostre uniche e irripetibili», ha assicurato Todolì.