03 febbraio 2019

Tutto Bologna/11. The Dodder di Marina Gasparini e Serena Piccinini alla Conserva di Valverde

 

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In occasione della settima edizione di Art City, gli spazi della Conserva di Valverde, meglio noti come Bagni di Mario, ospitano un interessante progetto site-specific intitolato “The dodder”, a opera di Marina Gasparini e Serena Piccinini, curato da Leonardo Regano
La cisterna d’epoca rinascimentale, ideata dall’architetto palermitano Tommaso Laureti nel 1563, per alimentare la Fontana del Nettuno, la Fontana Vecchia e l’orto dei Semplici di Ulisse Aldrovandi, sorge sui colli bolognesi adiacenti a Porta San Mamolo ed è stata riaperta a novembre del 2017 dall’Associazione Succede solo a Bologna. Gli evidenti riferimenti strutturali all’architettura romana come la forma ottagonale delle stanze con forte richiamo alle terme e ai ninfei dell’età imperiale e la cupola dall’apertura centrale riecheggianti la Domus Aurea neroniana e lo stesso Pantheon, depistarono le indagini a tal punto da attribuirle la funzione di luogo termale di epoca romana. 
Lo spazio dell’antica cisterna, dove avveniva la raccolta e ridistribuzione delle acque, suggerisce alle artiste una riflessione sul viaggio come conoscenza di sé e come esplorazione di universi inconsci sotterranei e paralleli. 
L’artista bolognese Serena Piccinini interviene sullo spazio con frammenti di un viaggio immaginifico proponendoci tappe dell’Odissea: all’ingresso della sala ottagonale ci accoglie Cariddi, suggestiva installazione ottenuta dall’incastro di tasselli bianchi su pavimento al cui centro sorge il pozzo della cisterna-bocca vorace del mostro che ricrea il moto ondoso della creatura mitica e costringe il visitatore a un percorso forzato e precario. Disseminati sulla parete di un cunicolo ci si imbatte poi nei fiori di loto, una rilettura in chiave astratta dei Lotofagi, piante dell’oblio che, attraverso il loro essere, fanno perdere la memoria: si tratta di origami voluttuosi e carnali, pop- up leggeri dalla predominanza bianca dal quale si stagliano tonalità colorate. A separarli, un altro condotto che ospita la terza tappa di questo percorso che si tinge di fiabesco e pop: l’incontro con i soffioni – alti fiori colorati dal gambo esile e dai petali a pompon che spuntano all’interno di una nicchia – innesca una riflessione sull’origine del desiderio che non si può compiere (ci troviamo infatti in una dimensione bloccata in cui i petali non si possono soffiare). 
Qual è il motivo di un desiderio che non si può esprimere? – si chiede l’artista, e prosegue – Forse Ulisse non voleva realmente tornare a casa. Un viaggio che parla dell’acqua (veicolo tra l’uomo e l’ignoto) e del suo fluire, in una navigazione verso l’origine delle cose contro l’ozio e la fissità dello sguardo. 
Il secondo intervento, in dialogo col precedente, è a opera dell’artista marchigiana Marina Gasparini, da sempre interessata all’indagine dell’uso della scrittura e dei luoghi dell’abitare. L’approccio al viaggio questa volta è indirizzato alle altre dimensioni ed è suggerito all’artista dalla lettura dei testi di Catherine-Elise Müller, più nota come Hélène Smith: medium, protagonista di viaggi astrali, artista surrealista svizzera vissuta tra XIX e il XX secolo, personaggio bizzarro studiato da Jung, de Saussure, Flournoy, che con la sua scrittura automatica ispirò, tra gli altri, André Breton. Smith sosteneva d’entrare in contatto con mondi ultramarziani e marziani e si faceva interprete di un linguaggio costituito da geroglifici legati al viaggio e alla ricerca dell’acqua. 
Marina, colonizza lo spazio della cisterna con sculture misteriose che si ispirano agli ideogrammi marziani (Chercher de sources, Creuseur, porteur d’Eau sacreé, Voyageur), e installa a terra la materializzazione delle onde celebrali della medium in stato di trance; l’impiego di fili luminosi metallici relazionati all’ambiente si riallaccia a un discorso per certi versi già intrapreso nel precedente progetto Chora. Il rosso delle sculture collocate all’interno della rossa struttura rinascimentale rinsalda questo legame con Marte, pianeta rosso per eccellenza, rimarcato anche nella radice rosso scuro del dodder, pianta parassita più conosciuta come Cuscuta che si nutre d’acqua e percorre i cunicoli della Conserva. Ed è il dodder che si snoda libero in reticoli spontanei ed artificiali – perché in parte ricreati da Marina con la stoffa – e la sua caratteristica d’avere un fusto filiforme, a suggerirci analogie con una lingua che la Smith conosceva bene, il Sanscrito. 
Dunque il viaggio diventa anche viaggio nel segno, un inabissarsi in una semiotica enigmatica dove tracce dall’andamento sotterraneo e misterioso come vene scoperte sulla roccia, rimandano a linguaggi altri, antichi come quelli vedici, depositari di saperi alti e mistici. (Tristana Chinni)

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