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È stata presentata oggi, all’Unicredit Tower di Milano, la 26ma edizione di Artissima, che dall’1 al 3 novembre 2019 all’Oval di Torino ospiterà 208 gallerie provenienti da 43 Paesi. Riconfermato l’impianto di apertura alla sperimentazione che da sempre contraddistingue la fiera torinese, tra progetti ben consolidati, come Back to the Future, che quest’anno festeggia il decimo anno, progetti che proseguono come Artissima Digital e Artissima Experimental Academy e novità come Alfabeto Treccani. 21 multipli d’artista, solo per citarne alcuni.
Tra le altre novità, l’ampliamento del comitato di selezione delle gallerie partecipanti in Main Section, New Entries, Dialogue e Art Spaces & Editions. Il team di galleristi internazionali composto da Isabella Bortolozzi e Gregor Podnar (Berlino), Paola Capata di Monitor (Roma/Lisbona) e Alessandro Pasotti di P420 (Bologna) si arricchisce infatti di due nuovi membri, Raffaella Cortese (Milano) e Claudia Altman Siegel (San Francisco). Riconfermata Lucrezia Calabrò Visconti come consulente per la sezione New Entries riservata alle gallerie emergenti. Rinnovati anche i comitati di selezione delle sezioni Back to the Future (composto da Lorenzo Giusti come coordinatore e da Cristiano Raimondi e Nicolas Trembley) e Present Future (con llaria Gianni quale coordinatrice, affiancata da Juan Canela e Émilie Villez). Riconfermati João Mourão e Luís Silva per la sezione Disegni.
In programma, tra i progetti speciali, anche Hub Middle East, un nuovo focus che, in collaborazione con Fondazione Torino Musei, vuole «Offrire una ricognizione sulle gallerie, le istituzioni e gli artisti attivi in un’area geografica centrale per gli sviluppi della società contemporanea». Tra le iniziative di quest’edizione il nuovo progetto espositivo vietato ai minori di 18 anni Abstract Sex. We don’t have any clothes, only equiments, ospitato negli spazi di Jana, storica boutique torinese. La mostra, in cui tutte le opere saranno in vendita, nasce da un’idea di Ilaria Bonacossa, è curata da Lucrezia Calabrò Visconti e Guido Costa e «si interroga sulla rilevanza del desiderio nella ricerca artistica e culturale più recente, attraverso video, sculture, opere su tela o carta e oggetti selezionati dalle gallerie che partecipano ad Artissima 2019».
Nella sala gremita di giornalisti, abbiamo posto due domande a Ilaria Bonacossa.
Sei alla direzione di Artissima dal 2017 ed è da poco stata annunciata la tua riconferma per un altro biennio, fino all’edizione 2021. Che cosa hai provato e che cosa hai potuto constatare, in questi anni, sulle fiere?
«Per me è un grande soddisfazione. Fondazione Torino Musei è contenta del lavoro fatto, non solo per qualità e risposta di addetti ai lavori e pubblico, ma anche perché a livello finanziario la fiera ha avuto un successo economico mai conosciuto prima. Quando ho iniziato mi sembrava che tre anni fossero un tempo giusto, in realtà l’apprendimento di come si fa una fiera è lento e vedo che nell’edizione di quest’anno ho la conferma che alcuni aspetti, come la presenza di certe gallerie o la possibilità di realizzare determinati progetti, sono frutto di un lavoro lungo e il rinnovamento richiede processi che si sviluppano di edizione in edizione. Parallelamente mi sono resa conto che le fiere vivono in un tempo velocissimo, in qualche modo, per assurdo, il tempo della fiera è più in sincronia con la velocità del mondo contemporaneo e il fatto che abbiano un’economia sana, che i musei non sempre riescono ad avere, permette loro di essere molto più sperimentali di quanto non possano essere, in generale, i musei. Una libertà che per un curatore è impagabile».
Il tema di Artissima di quest’anno è desiderio/censura. Perché lo avete scelto?
«È nato all’inverso: il primo pensiero è stato “viviamo in tempi grami”, è una sensazione condivisibile: solo una decina d’anni fa c’erano ottimismo e un’economia positiva. Improvvisamente si è ribaltato tutto, nuovi conflitti, nuovi confini e la messa in discussione di idee come quella di Europa, dei suoi aspetti positivi, che tempo fa non ci sarebbe mai sognati di attaccare. Partendo da questo senso di crisi, ci siamo interrogati – nei limiti di quanto può fare una fiera – e il tema del desiderio è diventato una specie di canale di rottura dove è possibile infrangere dei taboo e dei codici facendo vedere delle cose inaspettate e in qualche modo mettendo in discussione concetti e pratiche date per scontate nella società. La scelta della bipolarità desiderio/censura nasce anche dal fatto che con i social media l’arte contemporanea, che negli ultimi vent’anni era al di là delle regole, inizia a essere censurata. L’arte per anni è stata un campo libero, ad esempio il problema del nudo nella storia dell’arte era sdoganato, oggi Instagram censura Rubens. Può esistere pure una questione di percezione culturale, ma invece di trattare questo attraverso il dibattito si passa alla censura diretta. Quindi, se da un lato stiamo diventando una società dalla facciata sempre più perbenista, dall’altro YouPorn è uno dei siti più visti al mondo. Anni fa anche la pubblicità utilizzava l’immaginario del desiderio sessuale per vendere prodotti, ora certi riferimenti nella pubblicità non si osa nemmeno farli. L’arte è accesso al desiderio, ma se le cose stanno in questi termini, l’arte può ancora indagare questi temi? Crediamo sia necessario interrogarsi su quali siano i limiti dell’immagine e sulla direzione che stiamo intraprendendo». (Silvia Conta)
In alto: Ilaria Bonacossa, ph. Silvia Pastore / Artissima