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18
gennaio 2009
L’ENNESIMA MORTE DELL’ARTE
Politica e opinioni
Esiste una via di fuga per l’arte oppure è senza scampo? Che cos’è l’arte contemporanea? Una lucida analisi di Germano Celant. Alla luce dei mutamenti genetici di un settore che ha perso la sua dimensione profetica. Per diventare funzionale a un nuovo colonialismo...
“L’arte è senza scampo”. Se fosse un interrogativo, avrebbe le fattezze inquietanti di un imminente panorama apocalittico. Trattandosi invece del monito senza alcuna via di fuga tracciato da uno dei più importanti critici internazionali, Germano Celant, allora vuol dire che la fine è già in corso.
In centinaia – tra amanti dell’arte, critici, studenti, artisti – hanno assistito all’incontro promosso dal Comune di Milano in collaborazione con Acacia, svoltosi martedì scorso al Pac, primo appuntamento del ciclo di conferenze volute dall’assessorato alla cultura sul tema Che cos’è l’arte contemporanea?, che sempre in quella sede vedrà ogni martedì incontri con Angela Vattese (27 gennaio), Carolyn Christov-Bakargiev (3 febbraio) e Massimiliano Gioni (17 febbraio).
Perché non c’è più scampo per l’arte? Interrogandosi su “che ruolo può avere l’arte nella contemporaneità” e, ancora, su “quali sono le sue risposte”, Celant ha focalizzato l’attenzione su vere e proprie mutazioni genetiche del settore, in larga parte generate dall’avvento tracotante di nuove forme di colonialismo culturale, vedi le nuove frontiere di Russia, Cina e Paesi islamici, in primis la capitale degli Emirati Arabi Uniti, Abu Dhabi, dove l’arte è vissuta esclusivamente come strumento per magnificare l’onnipotenza degli sceicchi.
“Oggi l’arte serve solo a rassicurare. L’arte è sempre più un veicolo ansiolitico!”, tuona Celant. Insomma, per il padre dell’Arte povera, a parte esempi emblematici come Maurizio Cattelan, l’arte contemporanea ha colpevolmente smarrito una tra le sue maggiori peculiarità: la virulenza critica, la capacità di denuncia e sovversione dell’ordine stabilito. “Se l’arte è stata un processo profetico, oggi invece è esclusivamente rivelazione di un nuovo potere, di un territorio. L’arte è un veicolo di esotismo, di mera pubblicità turistica”.
Sviluppando questa tesi, Celant ha parlato dei suoi viaggi e del suo lavoro con un team di quattordici curatori e architetti come Zaha Hadid, impegnati a erigere oltre cento grattacieli per la nuova Abu Dhabi, dove entro dieci anni, al posto di dune desertiche, sorgeranno i più grandi musei di arte del mondo. “C’è ormai una visione totalmente distante dalla vera arte. Ormai si tratta solo di un’espressione di potere, basti pensare che non è più l’arte a sollecitare la nascita di un museo, ma sono i musei a sollecitare arte”.
Smarrita la dimensione “profetica”, per Celant l’arte è ormai un “progetto funzionale”. Insieme all’architettura, serve a far conoscere luoghi dapprima ignoti o quasi. Sicché, “nel deserto e in contesti che paiono vere e proprie favelas, arte e architettura sono discese come astronavi”. A questo dominio in cui “arte non è più rottura ma struttura”, che vede la fine dell’artista maledetto per un artista che lavora in team alla realizzazione di un progetto funzionale all’interpretazione del presente, come potrà resistere l’asse America/Europa, che ovviamente rappresenta un mondo in via d’estinzione?
E venendo all’Italia, come sostenere la sfida della realizzazione di un nuovo museo d’arte contemporanea a Milano? (Non a caso, l’input per il ciclo di conferenze viene dall’assessore Finazzer Flory, proprio per “alzare il tiro del dibattito e coinvolgere nuovi saperi e competenze sociali”.) Nessuna risposta “certa” per Celant, solo una consapevolezza: l’arte non può sottrarsi alla responsabilità di offrire un contributo scientifico. E un museo non potrà più contare sul “muro bianco”, ma dovrà impegnarsi a contestualizzare.
Stando al numero imponente di presenze – al Pac sono giunte oltre seicento persone, mandando anche in crisi per qualche decina di minuti il servizio d’ordine – è chiaro quanto sia crescente il desiderio di partecipazione al dibattito sul “futuro dell’arte”. E osservando il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano stracolmo di gente accalcata tra le opere della mostra Il Nouveau Réalisme dal 1970 ad oggi, guardando le centinaia di spettatori in rigoroso silenzio all’ombra di Attenti di Rotella, del Bifore Cellular di Arman… beh, pare impossibile che si stia celebrando un funerale.
In centinaia – tra amanti dell’arte, critici, studenti, artisti – hanno assistito all’incontro promosso dal Comune di Milano in collaborazione con Acacia, svoltosi martedì scorso al Pac, primo appuntamento del ciclo di conferenze volute dall’assessorato alla cultura sul tema Che cos’è l’arte contemporanea?, che sempre in quella sede vedrà ogni martedì incontri con Angela Vattese (27 gennaio), Carolyn Christov-Bakargiev (3 febbraio) e Massimiliano Gioni (17 febbraio).
Perché non c’è più scampo per l’arte? Interrogandosi su “che ruolo può avere l’arte nella contemporaneità” e, ancora, su “quali sono le sue risposte”, Celant ha focalizzato l’attenzione su vere e proprie mutazioni genetiche del settore, in larga parte generate dall’avvento tracotante di nuove forme di colonialismo culturale, vedi le nuove frontiere di Russia, Cina e Paesi islamici, in primis la capitale degli Emirati Arabi Uniti, Abu Dhabi, dove l’arte è vissuta esclusivamente come strumento per magnificare l’onnipotenza degli sceicchi.
“Oggi l’arte serve solo a rassicurare. L’arte è sempre più un veicolo ansiolitico!”, tuona Celant. Insomma, per il padre dell’Arte povera, a parte esempi emblematici come Maurizio Cattelan, l’arte contemporanea ha colpevolmente smarrito una tra le sue maggiori peculiarità: la virulenza critica, la capacità di denuncia e sovversione dell’ordine stabilito. “Se l’arte è stata un processo profetico, oggi invece è esclusivamente rivelazione di un nuovo potere, di un territorio. L’arte è un veicolo di esotismo, di mera pubblicità turistica”.
Sviluppando questa tesi, Celant ha parlato dei suoi viaggi e del suo lavoro con un team di quattordici curatori e architetti come Zaha Hadid, impegnati a erigere oltre cento grattacieli per la nuova Abu Dhabi, dove entro dieci anni, al posto di dune desertiche, sorgeranno i più grandi musei di arte del mondo. “C’è ormai una visione totalmente distante dalla vera arte. Ormai si tratta solo di un’espressione di potere, basti pensare che non è più l’arte a sollecitare la nascita di un museo, ma sono i musei a sollecitare arte”.
Smarrita la dimensione “profetica”, per Celant l’arte è ormai un “progetto funzionale”. Insieme all’architettura, serve a far conoscere luoghi dapprima ignoti o quasi. Sicché, “nel deserto e in contesti che paiono vere e proprie favelas, arte e architettura sono discese come astronavi”. A questo dominio in cui “arte non è più rottura ma struttura”, che vede la fine dell’artista maledetto per un artista che lavora in team alla realizzazione di un progetto funzionale all’interpretazione del presente, come potrà resistere l’asse America/Europa, che ovviamente rappresenta un mondo in via d’estinzione?
E venendo all’Italia, come sostenere la sfida della realizzazione di un nuovo museo d’arte contemporanea a Milano? (Non a caso, l’input per il ciclo di conferenze viene dall’assessore Finazzer Flory, proprio per “alzare il tiro del dibattito e coinvolgere nuovi saperi e competenze sociali”.) Nessuna risposta “certa” per Celant, solo una consapevolezza: l’arte non può sottrarsi alla responsabilità di offrire un contributo scientifico. E un museo non potrà più contare sul “muro bianco”, ma dovrà impegnarsi a contestualizzare.
Stando al numero imponente di presenze – al Pac sono giunte oltre seicento persone, mandando anche in crisi per qualche decina di minuti il servizio d’ordine – è chiaro quanto sia crescente il desiderio di partecipazione al dibattito sul “futuro dell’arte”. E osservando il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano stracolmo di gente accalcata tra le opere della mostra Il Nouveau Réalisme dal 1970 ad oggi, guardando le centinaia di spettatori in rigoroso silenzio all’ombra di Attenti di Rotella, del Bifore Cellular di Arman… beh, pare impossibile che si stia celebrando un funerale.
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Finazzer in campo, a Milano quattro big a parlare di contemporaneo
caterina misuraca
13 gennaio 2009 ore 18.30
Che cos’è l’arte contemporanea? – Germano Celant
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro, 14 (zona Porta Venezia) – 20121 Milano
Ingresso libero fino a esaurimento posti
Info: tel. +39 0276009085; fax +39 02783330; www.comune.milano.it/pac
[exibart]
Niente paura. Il futuro dell’arte contemporanea di Celant e compagni è di finire i propri disperati e vuoti giorni all’inferno.
mi associo a quanto dice florence
Dando per scontato che qua sopra sia riassunto l’attuale “pensare” di Celant, è una totale contraddizione. O, più sottilmente, Celant fa crepare l’arte per tirarsi indietro e non fare il proprio mestiere?
ma che noia! ma che barba! non succede mai nulla! da quanti secoli si dice che l’arte “contemporanea” è morta? quanti lo hanno gridato? piuttosto non sono forse morti dentro quelli che lo gridano? se è vero che l’arte è morta lo sono anche i critici incapaci di eprimere nuove sentenze e letture. ciclicamente le solite fesserie sul ruolo dell’arte. ma che noia! ma che barba!!
In riferimento a quanto scritto da Florence e co., vorrei ci fosse almeno un argomentare ponderato e propositivo. A cosa serve una frase lapidaria quale quella scritta sul muro dei commenti se non si comunica poi la propria idea o ipotesi sull’ennesima morte dell’arte?
L’arte, fintanto che esisterà l’uomo, inteso come essere pensante capace di descrivere se stesso e la realtà esteriore che lo circonda, non morirà. Questo è certo!
Annunci e proclami in tal senso, sono considerazioni personali e visioni limitate ad un tempo ed ad uno spazio ridotti.
Sono daccordo con Celant.Tutta la cultura e l’intellettualità contemporanea ed in modo particolare gli artisti , nel senso più specifico del termine, hanno rinunciato alla denuncia “umanistica” a favore di una collusione e integrazione co il potere costituito tradendo tutta la carica rivoluzionaria della ciscolazione delle “idee” per una presa di coscienza ed una sensibilizzazione maggiore di tutti. Ciò non esclude la ricerca e l’evoluzione stilisica, ma l’arte oggi non può rinunciare a momenti di rottura, denunciare, anticipare gli sviluppi di una convivenza globale giusta e solidale. Un esempio all’assenza è il risveglio ritardato per le guerre e le violenze che devastano il mondo contemporaneo. Nei confronti di queste situazioni come l’arte deve reagire?, secondo me come Picasso nei massacri di Corea, Guernica ecc.eccc..
quando si è a corto d’idee,si organizza un convegno per decretare la morte……mi sembrano idee,queste,vecchie di un secolo !
l’arte muore quando ci sono persone come Celant (con tutto il rispetto per il suo percorso)che producono solo fenomeni del momento come si produce nell’alta finanza: Bolle, bolle d’aria fritta!ad uso e consumo del mercato! dove tutto è arte anche lo sfogo di un pazzo! La storia dell’arte insegna…(arteterapia) è un’altra cosa. Chi ha potere, conoscenze, visibilità,soldi, fà il bello e il cattivo tempo, se la cantano e se la suonano come si suol dire! ll sensazionismo per lore è arte!l’arte è legata a doppio taglio al pensiero e alla cultura umanistica! se si uccide il pensiero umanistico… rimane… l’arte un contenitore di vuote cianfrusaglie!
La figura dell’artista maledetto e la funzione eversiva dell’arte sono alcune delle tante modalità in cui l’arte si è espressa, e probabilmente ancora si esperime e se ci sarà l’occasione si esprimerà nel futuro. L’arte, per fortuna, è sempre stata una questione legata al potere, per fortuna perchè il potere è forza e solo l’arte forte ha diritto di esistere e conservarsi. Dobbiamo ringraziare emirati arabi, russie e cine se ci sarà ancora qualche cosa di interessante nell’arte. Forse la cosa che disturba di più è il colore della pelle e della provenienza della nuova committenza. Il discorso di Celant sarà anche bello ma è a uso e consumo proprio, buono per un convegno e per affermare la propria esistenza, non caschiamo in una visione strettamente ideologica: la morte dell’arte? ma per favore, ricordo da giovane quanto ci sguazzava Argan e tutto il pensiero ad esso collegato, per fortuna si sbagliava, e Celant persiste nell’errore.
Non può morire ciò che in eterno può attendere e dopo strane ere anche la morte muore.
Abdul Alhazred
E’ vero che il potere usa l’arte a proprio vantaggio, ma l’artista può smarcarsi e ha grandi margini di manovra, anche contro la sua strumentalizzazione. E poi gli imperi cadono,
e le opere significative invece restano…
Bravo il grande guru del sistema dell’arte contemporanea.
Passare dall'”Arte Povera” di Paolini, Penone e C. all'”Arte Ricca” di Cattelan e C. è proprio una gran dimostrazione di coerenza ideologica/ intellettuale.
Se non ci fossero stati i ricchi di “allora” e gli “straricchi di adesso” ma chi sarebbe il Signor Celant?
Cmq ogni occasione è buona per accennare a Cattelan…ed alla sua “Dimensione Profetica”.
Oramai lo si mette dappertutto!!!
Il dramma dell’Arte Contemporanea non è la sua presunta e sbandierata morte ma il servilismo intellettuale di tantissimi personaggi che mentre pontificano dall’alto del proprio Potere/Sapere pur di rimanere vivi hanno anche la faccia di bronzo di “sputare nel piatto dove a quattro ganasce continuano a mangiare”.
Ma gridiamolo senza ipocrisia:”Viva i soldi e chi li possiede” perchè l’arte si nutre solo di essi. Il sogno americano docet.
Se l’essenza dell’arte è la denuncia, Celant avrebbe sprecato un’ottima occasione: perchè non fare almeno un cenno al fatto che gli esecutori materiali dei cento grattacieli e dei futuri più grandi musei d’arte del mondo sono dei veri e propri schiavi moderni, emigrati dai paesi asiatici, sottopagati, alloggiati in condizioni disumane e privati dei diritti civili più elementari ( per tornare in patria devono avere l’autorizzazione del datore di lavoro)? ( fonte: un Corriere della Sera di qualche mese fa, forse inchiesta di Ettore Mo, non ricordo bene).
Frequentando un po’ la storia, mi risulta poi che l’arte è esistita prevalentemente perchè manifestazione del potere di qualcuno….
dopo aver promosso l’arte povera,la non arte,ecc..non poteva che finire così,non credete anche voi?una cosa è certa:continuare sulle strade attuali non è più possibile.Necessità di contestualizzare l’arte tornando a fare arte,non solo abili esercizi di equilibrato cromatismo su tela..
“C’è ormai una visione totalmente distante dalla vera arte. Ormai si tratta solo di un’espressione di potere, basti pensare che non è più l’arte a sollecitare la nascita di un museo, ma sono i musei a sollecitare arte”.
Basti pensare al museo mondiale ci si rischiarerebbe tutto d’un botto in una idilliaca smisurata volgarità
Che miscela sonate in sonetti .
“nel deserto e in contesti che paiono vere e proprie favelas, arte e architettura sono discese come astronavi”.
La fatturazione del descrivibile incontra oceani di diverse ma stabilite dimensioni ; spregiudicate infatti le favelas si rivolgono spesso ai contenuti piuttosto che ai contenitori . Se lo strato sulla quale camminano i nostri piedi viene a contatto con la fatturazione dell’arte significa a rigor di logica che le tanto discusse astronavi rivolgendosi a spazi sempre e in ogni caso incontaminati pongono spinte ahimè alterate dalle strutture. Arte e architettura non sono mai state separate (senno d’artista n.d.r.)
“arte non è più rottura ma struttura”,
arte e catastrofe prima semmai pure dopo (-contemporaneità-n.d.r. )
Passa in secondo piano l’elemento cardine della questione apocalittica sulla rottura . I fenomeni meno rilevanti sfogano le loro traiettorie su leggi statiche .Qualche volta infatti penzola materia dalla materia e il responsabile si preoccupa di una accurata e disinvolta speculazione dell’”apocalisse sulla rottura”. Certo , son d’accordo che l’arte si specula a se stessa per emanciparsi ,evoluzione dettata dal ritmo dei nostri passi astronavi tuttavia la razza umana era sopravvissuta ,….all’arte ?
“alzare il tiro del dibattito e coinvolgere nuovi saperi e competenze sociali”
.)Di tanto in tanto arrabbiarsi d’arte è cosa piacevole . Opportunamente qualche bel nome include procaccianti idee nell’armamentario bellico-sociale . La questione dello spazio affiora in ogni dove Professore . Se rifiutassimo idee e baratti potremmo far fluire dell’arte in ex ospedali piuttosto che riprodurre un’infinità di carta carbone usurata fatta rifatta sbrindellata di passato .
“muro bianco” a mio avviso inteso come fraintendiamoci oppure si presta affinché si sviluppi un colloquio certo tra arte e fautori d’arte ?
“Oggi l’arte serve solo a rassicurare. L’arte è sempre più un veicolo ansiolitico!”
L’arte povera si articola facilmente all’interno di contesti storici escludendo quelli sociali di rilevanza o più semplicemente tornare indietro sulla questione degli spazi. Indubbiamente dobbiamo ammettere che la questione è più ampia dell’immaginabile (…) e che avvalorati gli elementi di risalto restano poche changes .Buttare giù strutture è impossibile . Non saprei rispondere , potrebbe trattarsi di una preoccupazione di limite come una barriera sulla carta ,visibile agli occhi impalpabile di presenza .
“Se l’arte è stata un processo profetico, oggi invece è esclusivamente rivelazione di un nuovo potere, di un territorio. L’arte è un veicolo di esotismo, di mera pubblicità turistica”
L’arte è sia processo profetico (gr) che veicolo esoterico . Il resto è dittatura .
“L’arte è senza scampo”.”
Senza nulla togliere al rilievo storico della figura di Celant è paradossale che colui che, dal 1984 in poi, si è posto al servizio del sistema internazionale bloccando lo sviluppo della contemporaneità italiana con i metodi che sappiano si erga ora a moralizzatore
Arte e denato sono simbiotici da sempre e ancora oggi.
Ma posso fare una domanda? Come definireste l’artista che non ha come obbiettivo la vendita? può il meschino esistere e autodefinirsi artista? E possibile che l’unità di misura sia solo il denaro?
Grazie J
Per fortuna il campo o l’arena dell’arte è da sempre senza tempo e spazio e non capisco come possa dirsi e intendersi una frase tipo: “l’arte è senza scampo”…
L’arte è già evasa da un bel pò, non ha bisogno alcuno di scampare nuovamente….anzi…Forse sarebbe utile finalmente che gli si dia il suo campo e la sua rilevanza.
Non parlo di opere di edilizia nei paesi del medioriente, ma la giusta rilevanza che merita nel settore del pensiero costruttivo e del sincretismo culturale senza alcuna volontà di supremazia e di potenza…
Tra il polo sud e il polo nord vige il polo pop, ma questo ai “potenti” che comprano ancora interi continenti come giocassero a Risiko, poco importa…
Terre in vendita come nel feudalesimo medievale, non mi stupirebbe sapere che la mia Italia possa essere un recente acquisto di Hollywood…
Comprate pure la terra, ma le culture non possono essere comprate, tantomeno gli individui.
La grandezza di Celant nessuno la mette in dubbio, ma se a parlare fosse stato un GIOVANE probabilmente la visione sarebbe stata diversa. Grande Celant, ma ha già dato e tutto lo vedrà con occhi da REMEMBER…quando in carriera hanno fatto cose grosse si tende in automatico a dire…eh si, negli anni settanta si che….ma Un Celant di 20 anni nn c’è? Facciamo parlare Paganini e sicuramente dirà. AI MIEI TEMPI SI CHE—
Io propongo un’altro quesito – affermazione tratto nell’articolo:(…) dove l’arte è vissuta esclusivamente come strumento per magnificare l’onnipotenza degli sceicchi (…)
DOMANDA di un piccolo Uomo del Sud, e scusate la mia ignoranza dall’alto della Vostra preparazione: Ma perchè l’arte prima com’era vissuta?
I Medici, I Borbone e gli altri mecenati illuminati cosa facevano se non propaganda?
E gli altri…, ancora in vita anche se ormai giurassici, cosa hanno fatto dagli anni ‘5o in su, se non propaganda elettorale e panini alla festa dell’Unità..?
Esempio ancora attuale – vintage: Vedi Napoli e, poi, artisticamente muori. O balli in discoteca…
Ringraziando Dio, oggi, oltre alle chiacchiere dei nuovi esclusi ed oltre ai grossi finanziamenti per sostenere sempre gli stessi grigiori, è ritornata la speranza primordiale di una vera libertà intellettuale!
A chi rode se lo gratti. Tanto a Lugano c’è sempre da ritemprarsi per questi…
basta celant vieni nel mio regno, ormai siamo nell’era della genetica…………ma per te questo è troppo difficile….levati dalle piramidi
Sono un giovane scultore di varese e vorrei fare un piccolo appunto personale.
Dunque, non credo nella maniera più assoluta che l’arte sia morta, ma piuttosto che l’arte non sia più amata,esistono artisti di grande qualità che producono lavori e ricerche di grande pregio,a cui purtroppo il sistema delle gallerie d’ arte non si preoccupa minimamente di visionare il lavoro.Non propriamente l’arte quindi, ma l’artista è destinato a morire.Se volessimo essere più precisi, a mio avviso si dovrebbe scrivere, l’ennesimo artista morto. Fortunatamente non per tutti è così, esitono artisti che vivono e meritano il successo, il vero problema è solamente che non non esiste più un incontro reale, un confronto, un dialogo fra chi è costretto a vivere la sua condizione di artista e chi ama l’ arte quanto un artista pur non essendolo, questi ultimi sono tutti morti o irraggiungibili.