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11
ottobre 2014
Grand tour d’artista
Politica e opinioni
Un tempo erano gli scrittori, o quelli che oggi si chiamano critici (specie in via d’estinzione). Ma, come è risaputo, a viaggiare in lungo e in largo oggi sono gli artisti. Per sei mesi, due mesi o solo quindici giorni. L’importante è che siano in residenza. Ovunque. Siamo andati a vedere che succede a Bolzano, dove un collezionista, Antonio Dalle Nogare, ha avviato il suo programma di residenze, mentre la Kunstverein locale lo fa da tempo
di Paola Tognon
Bolzano apre nuove opportunità per l’arte contemporanea basate sulla relazione tra istituzioni, enti, aziende, collezionisti, galleristi, artisti, designer e architetti in un assetto fluido e attento ai dispositivi internazionali, ma al contempo capace di promuovere le energie locali. Nascono così due nuove programmi di residenza, quello progettuale presso ar/ge kunst – con la nuova direzione di Emanuele Guidi – e quello dentro la Collezione Antonio Dalle Nogare.
Nel corso di cinque residenze presso ar/ge kunst, tra il 2013 e il 2014, l’artista irlandese Gareth Kennedy ha sviluppato una ricerca sulle tracce della SS Ahnenerbe Kulturkommission, attiva nel Sud Tirolo dal 1939 al 1942 per «raccogliere e conservare tutto il materiale e il patrimonio intellettuale… della popolazione di etnia tedesca». La scienza scomoda, titolo della mostra nelle due sale di ar/ge kunst (fino al 15 novembre), è il risultato dell’intera residenza che dispiega l’obiettivo di Kennedy: riappropriarsi e indagare nella dimensione autoriale gli esiti di quella che si può definire la più approfondita (e scomoda) indagine su lingua e folclore mai realizzata dentro un’«operazione etnografica di salvataggio eseguita su un diktat politico».
Per questo, dopo le ricerche negli archivi e nei musei di Bolzano, Innsbruck e Vienna, Kennedy ha scelto di mettere in scena una sorta di teatro che gioca sulla relazione tra realtà e finzione, tra storia e scienza, tra ricerca e interpretazione. Cinque grandi maschere lignee di personaggi coinvolti nella vicenda ne sono la prima evidenza, mentre la documentazione della tradizionale attività d’intaglio commissionata dall’artista è il soggetto di un film documentario che è presentato nella prima sala espositiva convertita in una “stube” appositamente realizzata dal designer Harry Thaler. Nella seconda sala invece, come nel retro di un palcoscenico, Kennedy propone un film documentario dell’epoca e alcune tra le fotografie scattate dalla commissione tedesca: tutti materiali che mostrano il meccanismo di una ricostruzione a tavolino voluta dall’istituzione storica, culturale e archeologica del Terzo Reich. La residenza, anima e struttura del progetto espositivo, dentro l’interesse per le espressioni della cultura popolare che caratterizza l’opera di Kennedy, ha permesso di costruire nella sede di ar/ge kunst un palcoscenico efficace per riflettere, attraverso l’arte, sulla compromissione tra ideologia e discipline scientifiche.
In una modalità solo apparentemente tradizionale, inserito in un contesto di particolare qualità storico-artistica, si presenta invece il nuovo progetto di residenza all’interno delle attività della Collezione Antonio Dalle Nogare (ADN collection) che avvia, nei suoi ampli spazi di Bolzano, un’apertura ai giovani talenti internazionali.
Il progetto, che prevede ogni anno l’invito ad alcuni giovani artisti, si caratterizza con autonomia rispetto ad altre residenze italiane e straniere, per la volontà di affidare loro, a turno, una sala degli spazi della collezione per vivere, lavorare, creare e interagire con essa. Obiettivo dichiarato è quello di un approfondimento del contesto contemporaneo attraverso un contatto diretto con le nuove generazioni di artisti che, grazie al sistema residenziale e ad un’esposizione finale, possono costruire liberi dialoghi relazionali con il patrimonio della collezione. La collezione, che ha solide radici nella storia dell’Arte Concettuale e Minimal e rivela un profondo interesse verso agli anni ’60-’70, si propone così come piattaforma accogliente in grado di sollecitare una riflessione tra radici culturali e nuove forme espressive.
La prima residenza del progetto (a cura di Eva Brioschi, esposizione fino al 2 novembre) ha visto la chiamata di Landon Metz (1985, Phoenix, AR, dal 2009 vive e lavora a New York), pittore a tutto tondo che si è misurato con una delle sale più complesse della collezione srotolando e fissando le sue amplissime tele su enormi piani rettilinei e curvi. Il risultato ha innescato, nel biancore a volte quasi eccessivo delle sale della collezione, un meccanismo di contemplazione straniante di cui la pittura a pigmenti naturali rilasciata sulle tele, è elemento catalizzatore.
Per il giovane Metz, riservato e quasi minuto mentre si aggira per i grandi spazi della collezione, è appropriato parlare di una pittura inclusiva e insieme allusiva: astratta e solo apparentemente casuale nella sua formalizzazione, risulta essere calcolata e studiata anche nelle parti più performative, tanto da raggiungere un grado di liricità distaccata generato dall’estremo rigore procedurale. È infine importante registrare una conseguenza sensibile di questa prima residenza: nel confronto diretto tra le opere raccolte intorno alle scelte di un collezionista, l’azione site e place specific di Landon Metz sembrano aver già influenzato lo spirito della collezione che ne emerge più accogliente e vitale.