Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
25
ottobre 2009
MEDIOEVO CONTEMPORANEO
Personaggi
In occasione del RomaEuropaFestival, Jan Fabre torna in Italia con una mostra e uno spettacolo teatrale. In cui emerge, come racconta a Exibart in questa intervista, la figura di un artista-non artista contemporaneo...
L’Italia quest’anno ti accoglie in duplice modo:
a Venezia come artista visivo nel corso della 53. Biennale e a Roma a teatro,
come regista dello spettacolo Orgy of Tolerance per RomaEuropaFestival. La tua arte è molto teatrale anche quando è “solo”
visiva. Preferisci esprimerti con un mezzo in particolare o non fai distinzioni?
Scelgo sempre il mezzo migliore per l’idea che
voglio sviluppare. Sono un servo della bellezza e non voglio chiudermi nelle
categorie. Ogni mezzo ha le sue regole precise, così come ogni sistema ha le
proprie.
Sarai a Roma anche con la mostra Le temps
emprunté al Museo Carlo
Bilotti. A quale tempo di riferisci? Perché è un tempo “preso in
prestito“?
Il titolo rimanda all’idea di vivere in un’era postmoderna,
un tema importante e ricorrente nel mio teatro e nelle mie arti visuali. Da
giovane sono stato in coma due volte. Questo fatto ha creato in me una stretta
connessione tra la celebrazione della vita e quella della morte.
Nella mostra al Museo Bilotti saranno raccolti
i tuoi disegni, i modellini e i bozzetti di diversi spettacoli teatrali, ma
anche fotografie dei tuoi spettacoli scattate da grandi autori come Mapplethorpe
e Newton…
Tutti gli artisti hanno usato e interpretato il mio
lavoro per creare le loro opere secondo il proprio stile. Hanno trasformato nel
significato il mio universo. Ci hanno messo il loro punto di vista. Qualche
volta hanno anche enfatizzato simboli e metafore che ho usato nel mio lavoro.
Con Le temps emprunté è la prima volta che faccio un accostamento tra
opere che riguardano il mio lavoro teatrale e i disegni. Questi ultimi
sono come un diario permanente del mio pensiero: idee per il palco, idee per i
costumi, per gli oggetti, per il design e per la coreografia. Alcuni dei
disegni conducono poi alle sculture, altri invece mi ispirano nello scrivere i
testi. Vedendo la mostra puoi trovare una sorta di coincidenza tra i vari
lavori (un “jumping together of knowledge by the linking of facts and
fact-based theory across disciplines to create a common groundwork of
explanation“, concetto di William Whewell).
Alcuni elementi dei disegni fatti nel 1984 ricompaiono
sul palco nelle foto di pezzi realizzati 15 anni dopo. Mi capita spesso di dare
un’occhiata ai vecchi disegni, mi fanno scattare l’immaginazione per una nuova
fase di lavoro o per dare nuove idee ai miei attori o stimolare i ballerini a
improvvisare. Credo che tutte le fotografie, i disegni e i modi di pensare
presenti in questa mostra contribuiscano a raccontare qualcosa circa lo stato
di cambiamento, di metamorfosi, di diventare qualcos’altro: cambiamenti
biologici, tra l’umano e l’animale.
Il tuo linguaggio usa metafore e simboli che
vengono compresi più lentamente che attraverso i mass media. Non usi i mezzi
espressivi che usano spesso i tuoi colleghi artisti contemporanei…
Io non sono un artista contemporaneo. Sono un
artista del medioevo. Non uso pittura ma tutto il mio lavoro è sulla pittura. I
miei maestri oggi sono Bruegel, Bosch, Van Eyck; sono loro la mia vera fonte d’ispirazione.
Per me sono loro i contemporanei e hanno un’attitudine più sovversiva di quella
che vedo nell’arte contemporanea. Essenzialmente io sono un artista romantico.
Credo nel messaggio profondo di Octavio Paz, quando diceva che il romanticismo è
vera avanguardia.
Dalla fine degli anni ‘70, sia con le foto che con
i film, ho “disegnato con la luce“. Preferisco i film ai video, per i loro dettagli e per la loro
qualità. Amo l’alchimia, la chimica e la qualità della luce nei film. Sono
anche attratto dal processo di produzione, che è molto lento. Dal 1978 giro un film
in 8 mm. Non avevo denaro per lavorare a quel video. Usavo la fotocamera della
mia famiglia.
“Some images can upset the sensibility
of the audience“.
Questa avvertenza accompagna lo spettacolo Orgy of Tolerance. Sembra che, più che piacere agli spettatori,
ti interessi coinvolgerli e provocare una loro reazione…
Il pubblico è libero di amare o disprezzare il mio
lavoro. Il mio scopo come artista non è la provocazione fine a se stessa degli
spettatori. Difendo più che altro l’idea di provocazione intesa come
un’evocazione della mente, uno stimolo.
Secondo alcuni, nella mostra di Venezia From
the Feet to the Brain l’installazione
Testa funzionava concettualmente
ma non esteticamente…
Quella di rendere l’estetica in maniera arcaica è
una mia scelta consapevole, quasi come se l’opera fosse uscita da un
vecchio museo di anatomia. Posso immaginare perché gli artisti contemporanei
reagiscano così: perché il mio lavoro non sembra affatto contemporaneo. Ha una
qualità manuale. Non è pulito, non è come gli altri lavori contemporanei. Penso
che il mio lavoro non sia solo estetico. L’estetica è trucco. Il mio lavoro
difende i valori etici. Tutti i materiali e i colori usati nell’istallazione
sono collegati tra loro e hanno un contenuto.
Qual è l’ultima mostra che hai visitato?
Ho visto Cy Twombly al Museo Ludwig di Vienna e mi è
piaciuto molto. Dopo aver visitato la mostra ho incontrato nel museo d’arte
storico lo staff che lavorava lì e ho passeggiato attraverso i depositi del
Kunstkammer. Non ci sono dubbi: per me è una delle più belle mostre che ho
visto durante gli scorsi mesi.
Hai avuto modo di visitare il Padiglione Italia
alla Biennale?
Sì, ed ero veramente contrariato. Ho pensato che fosse
mal curato e i lavori di cattiva qualità.
Ti ha influenzato più Rubens o Darwin?
Tutti e due sono stati importanti per me. Sono nato
ad Anversa e mio padre mi ha portato a vedere la casa di Rubens quando ero
piccolo. Rubens era un artista visionario. Era una specie di Andy Warhol del
XVI-XVII secolo. Era un pittore che dipingeva anche scenografie immense e
processioni che si svolgevano in città. Aveva uno studio con molti assistenti.
Fin dall’inizio della mia carriera, alla fine del
1970, gli scienziati sono stati i miei idoli e la mia principale fonte d’ispirazione.
Scienziati e artisti sono connessi dal fatto che entrambi agiscono come se
spiccassero un salto nell’ignoto.
a Venezia come artista visivo nel corso della 53. Biennale e a Roma a teatro,
come regista dello spettacolo Orgy of Tolerance per RomaEuropaFestival. La tua arte è molto teatrale anche quando è “solo”
visiva. Preferisci esprimerti con un mezzo in particolare o non fai distinzioni?
Scelgo sempre il mezzo migliore per l’idea che
voglio sviluppare. Sono un servo della bellezza e non voglio chiudermi nelle
categorie. Ogni mezzo ha le sue regole precise, così come ogni sistema ha le
proprie.
Sarai a Roma anche con la mostra Le temps
emprunté al Museo Carlo
Bilotti. A quale tempo di riferisci? Perché è un tempo “preso in
prestito“?
Il titolo rimanda all’idea di vivere in un’era postmoderna,
un tema importante e ricorrente nel mio teatro e nelle mie arti visuali. Da
giovane sono stato in coma due volte. Questo fatto ha creato in me una stretta
connessione tra la celebrazione della vita e quella della morte.
Nella mostra al Museo Bilotti saranno raccolti
i tuoi disegni, i modellini e i bozzetti di diversi spettacoli teatrali, ma
anche fotografie dei tuoi spettacoli scattate da grandi autori come Mapplethorpe
e Newton…
Tutti gli artisti hanno usato e interpretato il mio
lavoro per creare le loro opere secondo il proprio stile. Hanno trasformato nel
significato il mio universo. Ci hanno messo il loro punto di vista. Qualche
volta hanno anche enfatizzato simboli e metafore che ho usato nel mio lavoro.
Con Le temps emprunté è la prima volta che faccio un accostamento tra
opere che riguardano il mio lavoro teatrale e i disegni. Questi ultimi
sono come un diario permanente del mio pensiero: idee per il palco, idee per i
costumi, per gli oggetti, per il design e per la coreografia. Alcuni dei
disegni conducono poi alle sculture, altri invece mi ispirano nello scrivere i
testi. Vedendo la mostra puoi trovare una sorta di coincidenza tra i vari
lavori (un “jumping together of knowledge by the linking of facts and
fact-based theory across disciplines to create a common groundwork of
explanation“, concetto di William Whewell).
Alcuni elementi dei disegni fatti nel 1984 ricompaiono
sul palco nelle foto di pezzi realizzati 15 anni dopo. Mi capita spesso di dare
un’occhiata ai vecchi disegni, mi fanno scattare l’immaginazione per una nuova
fase di lavoro o per dare nuove idee ai miei attori o stimolare i ballerini a
improvvisare. Credo che tutte le fotografie, i disegni e i modi di pensare
presenti in questa mostra contribuiscano a raccontare qualcosa circa lo stato
di cambiamento, di metamorfosi, di diventare qualcos’altro: cambiamenti
biologici, tra l’umano e l’animale.
Il tuo linguaggio usa metafore e simboli che
vengono compresi più lentamente che attraverso i mass media. Non usi i mezzi
espressivi che usano spesso i tuoi colleghi artisti contemporanei…
Io non sono un artista contemporaneo. Sono un
artista del medioevo. Non uso pittura ma tutto il mio lavoro è sulla pittura. I
miei maestri oggi sono Bruegel, Bosch, Van Eyck; sono loro la mia vera fonte d’ispirazione.
Per me sono loro i contemporanei e hanno un’attitudine più sovversiva di quella
che vedo nell’arte contemporanea. Essenzialmente io sono un artista romantico.
Credo nel messaggio profondo di Octavio Paz, quando diceva che il romanticismo è
vera avanguardia.
Dalla fine degli anni ‘70, sia con le foto che con
i film, ho “disegnato con la luce“. Preferisco i film ai video, per i loro dettagli e per la loro
qualità. Amo l’alchimia, la chimica e la qualità della luce nei film. Sono
anche attratto dal processo di produzione, che è molto lento. Dal 1978 giro un film
in 8 mm. Non avevo denaro per lavorare a quel video. Usavo la fotocamera della
mia famiglia.
“Some images can upset the sensibility
of the audience“.
Questa avvertenza accompagna lo spettacolo Orgy of Tolerance. Sembra che, più che piacere agli spettatori,
ti interessi coinvolgerli e provocare una loro reazione…
Il pubblico è libero di amare o disprezzare il mio
lavoro. Il mio scopo come artista non è la provocazione fine a se stessa degli
spettatori. Difendo più che altro l’idea di provocazione intesa come
un’evocazione della mente, uno stimolo.
Secondo alcuni, nella mostra di Venezia From
the Feet to the Brain l’installazione
Testa funzionava concettualmente
ma non esteticamente…
Quella di rendere l’estetica in maniera arcaica è
una mia scelta consapevole, quasi come se l’opera fosse uscita da un
vecchio museo di anatomia. Posso immaginare perché gli artisti contemporanei
reagiscano così: perché il mio lavoro non sembra affatto contemporaneo. Ha una
qualità manuale. Non è pulito, non è come gli altri lavori contemporanei. Penso
che il mio lavoro non sia solo estetico. L’estetica è trucco. Il mio lavoro
difende i valori etici. Tutti i materiali e i colori usati nell’istallazione
sono collegati tra loro e hanno un contenuto.
Qual è l’ultima mostra che hai visitato?
Ho visto Cy Twombly al Museo Ludwig di Vienna e mi è
piaciuto molto. Dopo aver visitato la mostra ho incontrato nel museo d’arte
storico lo staff che lavorava lì e ho passeggiato attraverso i depositi del
Kunstkammer. Non ci sono dubbi: per me è una delle più belle mostre che ho
visto durante gli scorsi mesi.
Hai avuto modo di visitare il Padiglione Italia
alla Biennale?
Sì, ed ero veramente contrariato. Ho pensato che fosse
mal curato e i lavori di cattiva qualità.
Ti ha influenzato più Rubens o Darwin?
Tutti e due sono stati importanti per me. Sono nato
ad Anversa e mio padre mi ha portato a vedere la casa di Rubens quando ero
piccolo. Rubens era un artista visionario. Era una specie di Andy Warhol del
XVI-XVII secolo. Era un pittore che dipingeva anche scenografie immense e
processioni che si svolgevano in città. Aveva uno studio con molti assistenti.
Fin dall’inizio della mia carriera, alla fine del
1970, gli scienziati sono stati i miei idoli e la mia principale fonte d’ispirazione.
Scienziati e artisti sono connessi dal fatto che entrambi agiscono come se
spiccassero un salto nell’ignoto.
articoli correlati
Fabre
a Venezia
a cura di valentina bernabei
dal 28 ottobre 2009 al 31 gennaio
2010
Jan Fabre – Le temps
emprunté
Museo Carlo Bilotti – Aranciera di
Villa Borghese
Viale Fiorello La Guardia, 4 – 00197 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 9-19; la biglietteria chiude alle ore 18.30
Ingresso: intero € 6; ridotto € 4
Catalogo Skira
Info: tel. +39 0682059127; a.crevaroli@romaeuropa.net; romaeuropa.net
[exibart]