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L’ARTE DALLO SPIONCINO
Progetti e iniziative
Bruna Roccasalva, Anna Daneri e Vincenzo de Bellis. Un trio riunito intorno a... un Peep-Hole. Un progetto curatoriale complesso, che organizza conferenze e allestisce mostre, pubblica una rivista e collabora con istituzioni italiane e straniere. E presto si accaserà a Milano, in quella zona nuovamente fervente che è Porta Venezia. A raccontarci la scommessa è Vincenzo de Bellis...
espositivi, pubblicazione editoriale. Non sembra una gran novità, negli ultimi
tempi. In cosa si distinguerà l’approccio di Peep Hole?
Fare una cosa “nuova” non è nelle nostre intenzioni. A
volte la preoccupazione di inventarsi un nuovo formato, una nuova teoria, un
nuovo approccio fa perdere di vista cose basilari che diamo per assodate e che
invece andrebbero continuamente stimolate, come la centralità dell’opera
d’arte, la capacità di “guardarla” e quella di esporla nelle migliori
condizioni possibili. Peep-Hole è un project space, un alternative space, e
nella forma è simile a tanti altri esistenti. La programmazione, i progetti di
varia natura che produrremo, questo vogliamo che sia il nostro vero marchio. Peep-Hole
vuole essere diretto e semplice, laddove per semplicità s’intende l’andare
diritto all’obiettivo mettendo un po’ da parte le tante sovrastrutture critiche
che questo mondo si porta dietro, per mettere in evidenza invece l’opera e
l’artista.
Concretamente?
Un esempio è proprio il primo progetto che abbiamo
iniziato: “Peep-Hole Sheet” è un trimestrale di scritti d’artista. Ogni numero
è dedicato a un singolo artista, invitato a contribuire con un testo inedito i
cui contenuti e il cui formato sono completamente liberi. Una sorta di Carte
Blanche, uno spazio in cui si lascia completa libertà di azione se non per i
limiti imposti dal formato. Prendiamo questo come una sorta di approccio
programmatico anche alle mostre, in cui vorremmo che a emergere fosse il lavoro
dell’artista, cercando di imporre meno limiti possibili.
Ci sono realtà internazionali cui vi sentite
particolarmente vicini?
Ci sono molte persone e progetti di diversa natura che
stimiamo, tra cui Brown e 1:1 Projects in Italia, FormContent e New Jerseyy
all’estero. Detto questo, ci sentiamo leggermente differenti da questi perché,
pur definendoci come project space, sia per attitudine personale sia per
tipologia di spazio ci sentiamo più vicini a realtà un po’ più strutturate.
Senza andare a scomodare esempi storici come White Columns e Artists Space,
pensiamo all’esperienza passata di Attitudes a Ginevra, oppure ancor di più,
perché ancore attive, a quelle di Casco a Utrecht o di Studio Voltaire a
Londra. Ovviamente in un contesto come quello in cui vogliamo operare non si
può e non si deve dimenticare il grande lavoro di ViaFarini, che per anni è
stata l’unica vera realtà non profit italiana, simile a quelle internazionali.
Peep-Hole è un po’ una project room di un museo, senza il museo intorno. E
questo approccio, già testimoniato dalla collaborazione con la Kunsthalle di Zurigo
per In Other Words,
verrà fuori in maniera più evidente e sistematica attraverso una serie di
progetti che abbiamo in cantiere.
Chi sei?
Dopo aver collaborato per due anni con lo staff
curatoriale della Gamec di Bergamo, dal 2006 al 2008 sono stato al Center for
Curatorial Studies del Bard College a New York. In mezzo a questo c’è stata
anche un’importante collaborazione con Museion di Bolzano. Sono rientrato in
Italia da poco più di un anno dopo la fantastica esperienza a NYC e, non
credendo nella professione di curatore indipendente, ho iniziato a lavorare
insieme a Bruna Roccasalva, alla creazione di una, seppur piccola, istituzione.
Abbiamo poi coinvolto Anna Daneri, che condivideva con noi le ragioni e la
necessità di questo progetto.
Peep-Hole. Un nome che è tutto un programma. Con quale
filosofia lo avete scelto?
Peep-Hole racchiude in una sola parola il nostro approccio
curatoriale e anticipa un po’ le modalità con cui vogliamo operare. In inglese
‘peephole’ è
lo spioncino: permette di osservare l’esterno senza farsi vedere, inoltre pur
essendo dotato di un foro molto piccolo ha un punto di vista molto ampio perché
è dotato di una lente fisheye che allarga il campo visivo. Se a questo aggiungi
che nella teoria compilativa peephole è un sistema di ottimizzazione che
elimina le informazioni in eccesso nei programmi per semplificare i processi
informatici e trasli queste tre cose mettendole insieme, viene fuori un po’ il
manifesto del nostro progetto. Sbirciare nella pratica artistica di un artista,
nel modo più diretto e lineare possibile, dando grande rilievo all’opera.
Il primo evento sarà… svizzero! Ce ne parli?
In Other Words è un lungo e complesso progetto che si svolgerà nell’arco
di circa sei mesi. Consiste in una serie di eventi di diversa natura e durata –
panel discussion, talk, conversazioni, conferenze, performance ecc. – che
analizzano quelle pratiche artistiche che utilizzano la scrittura come medium
fondamentale.
Il progetto, organizzato da Peep-Hole e dalla Kunsthalle
di Zurigo in collaborazione con l’Istituto Svizzero di Roma, si concentra
sull’analisi dell’atto di “traduzione” da una forma di produzione a un’altra,
la circolazione di linguaggio e significati tra diversi formati di espressione
artistica e il fondamentale ruolo che la parola scritta e la narrazione giocano
in questo processo. Il tutto è iniziato con un panel tenutosi alla Kunsthalle
di Zurigo a cui hanno partecipato John Miller, Claire Fontaine, Jutta Koether e
Falke Pisano. Una seconda puntata si terrà invece l’8 ottobre nella sede di
Milano dell’Istituto Svizzero. Qui, nel contesto della mostra di Luca Frei,
abbiamo organizzato una serata-evento di talk, performance e lecture con
artisti come Aleksandra Mir, Melanie Gilligan, Benoit Maire, lo stesso Luca
Frei e altri. Dopo questi due appuntamenti il progetto si svilupperà in modo
più “random” con talk singoli e conversazioni fra artisti che avverranno nella
stagione sia a Milano sia a Zurigo. Il tutto si concluderà poi in una
pubblicazione che darà la possibilità di approfondire ulteriormente i temi.
Una galleria, pubblicazioni da stampare e spedire, i
viaggi per restare aggiornati. Una struttura come la vostra non costa molto, ma
neppure poco. Come vi sostenete economicamente?
Ci finanzieremo, almeno inizialmente, grazie al sostegno
di molti artisti che hanno condiviso il nostro desiderio di dar vita a
un’iniziativa del genere e che, ben consapevoli di quanto sia difficile nel
nostro Paese avere finanziamenti per attività simili, ci hanno incoraggiato e
voluto aiutare, dandoci la possibilità di partire.
Ogni artista che ci supporta diviene membro onorario
dell’organizzazione, un po’ come fanno da anni ormai i già citati spazi
alternativi come White Columns, Artists Space e Studio Voltaire. Avere il loro
sostegno per noi ha un significato importantissimo che va ben al di là di una
questione economica… Per noi dà un valore aggiunto a quello che facciamo,
perché è la dimostrazione che la nostra necessità di dar vita a questa attività
è condivisa.
Anche le persone direttamente legate a ognuno di questi
artisti, ad esempio i galleristi, sono state rese partecipi. Si è attivata una
bella situazione e ne siamo orgogliosi oltre che entusiasti.
A quest’iniziale forma di fundraising legata alle
donazioni degli artisti affiancheremo una campagna di fidelizzazione di singole
persone che vogliano supportarci attraverso elargizioni liberali, diventando
anch’esse supporter ufficiali di Peep-Hole. Vorremmo usare queste occasioni
anche per sensibilizzare le persone verso il lavoro che vogliamo fare.
Tutto questo serve appena a coprire le spese per lo spazio
e per i progetti, perché il tutto è assolutamente non profit. Per questo
speriamo di riuscire ad avere anche delle sponsorizzazioni aziendali, anche se
siamo consapevoli che non sarà facile in questo momento iniziale. Siamo alla
ricerca di aziende che vogliano unire il loro brand alla produzione del sapere.
Ovviamente speriamo che si tratti solo di una situazione iniziale, perché
ambiamo a ottenere finanziamenti pubblici, prima o poi.
Come spazio espositivo avete scelto la zona di Porta
Venezia: un caso o una scelta? Riuscite ad anticiparci le prime cose che
organizzerete già alla fine del 2009?
La zona di Porta Venezia era tra le nostre preferite
perché è a due passi dal centro, perché è una zona viva, multietnica e ci sono
altre realtà sia storiche come la Galleria Marconi e, non distanti, Raffaella
Cortese e Guenzani, ma anche più recenti come Brown e Kaleidoscope.
Detto questo, era lo spazio in sé ad avere una grande
importanza. Volevamo uno spazio interessante che potesse stimolare gli artisti.
Ne abbiamo trovato uno che speriamo stimoli anche il nostro pubblico, visto che
ha una storia alle spalle nella scena milanese degli ultimi vent’anni. Dal 1987
al 1992 è infatti stata la prima galleria di Massimo De Carlo, dove si sono
tenute le prime personali europee di artisti come Felix Gonzalez-Torres o Cady
Noland, la prima mostra milanese di Maurizio Cattelan, solo per citarne alcuni.
Dopo alcuni anni era diventato la casa-studio di Patrick
Tuttofuoco, che però da qualche anno si è trasferito a Berlino. Una serie di
coincidenze hanno fatto sì che questo spazio diventasse la sede espositiva che
cercavamo da ormai un anno. Avremo lo spazio solo a metà ottobre e speriamo di
riuscire a iniziare la programmazione già a dicembre, con il progetto di un
artista internazionale giovane ma con già diverse partecipazioni in istituzioni
europee e mondiali.
Poi, fino a giugno del 2010, abbiamo in programma quattro
progetti espositivi di cui uno segna l’inizio di una serie di collaborazioni
con istituzioni italiane e internazionali. Senza dimenticare nel corso
dell’anno una serie di eventi più snelli come talk e presentazioni che
rientrano nel programma di In Other Words.
a cura di massimiliano tonelli
Info: www.peep-hole.org
[exibart]
I presupposti per fare bene ci sono. Mi auguro riescano tutti a guardare in faccia la propria natura in rapporto al contesto contemporaneo, superando, una volta per tutte l’esterofilia italiana (che non significa invitare personalità estere, ma scimmiottare gli altri ed essere quello che non si è).Buona fortuna!
Basta Luca Rossi, muto zitto, non ti sopportismo piùùùùùùùùùùùùùùùù
sinceramente non riesco a vedere nulla di interessante in tutto cio’… mi sembra solamente
l’adozione di una ulteriore maschera, quella dell’umilta’, in un periodo di crisi economica dove forse non si puo’ fare d’altro: de Bellis e Roccasalva ( sorella dell’omonimo) provengono da una situazione che ha contribuito a determinare lo sfascio dell’arte contemporanea in italia ( la Gamec che ha formato tutte le carriere degli artistucoli larve che infestano la “simulazione di sistema” italiana).
In piu’ il posto dove vanno a stare e’ infestato dei fantasmi di chi , in un modo o nell’altro, ci ha ridotti in queste condizioni,il fatto che il trio vanti questo tipo di genealogia mi sembra estremamente indicativo.
Credo piuttosto che questo sia il modo che il “sistemino” stia adottando per occupare tutti gli spazi disponibili a tutti i livelli: da Bellini reuccio del Castello fino allo stanzino in Porta Venezia dove l’arrivo di una pizza non stonera’ con l’ambiente dimesso e retroproletario (ed ecco disinnescato un gesto realmente destabilizzante).
Il fatto che l’arbitrarieta’ e l’arroganza del potere stiano diventando sempre piu’ evidenti (anche grazie ai commenti su Exibart) sicuramente induce il sistema ad adottare strategie di questo tipo per tentare di legittimare anche dal “basso” i suoi prodotti.
Vincenzo De Bellis, Bruna Roccasalva e Anna Daneri fondano questo nuovo progettto chiamato peep-hole sheet. Mi sembra interessante non credere nel curatore indipendente ed avere l’esigenza di definire un nuovo spazio d’azione. Un project room senza museo intorno con l’appoggio di pubblicazioni fatte da scritta da artista. Bene. Mi chiedo una cosa. Vincenzo De Bellis ha scritto recentemente su flash art un overture sul giovane artista svizzero Luca Frei che sarà anche coinvolto in questi talks, projects and writing di peep hole. Frei rappresenta la quinta essenza dell’artista conformato ad un modello dove può succedere tutto e il contrario di tutto, a patto che tutto venga formalizzato in modo stuzzicante e secondo l’archetipo (ormai spuntato) della “giovane arte contemporanea”. Su questo modello ci sono migliaia di artisti in italia, europa e mondo. Mi sembrano sfumature sulla tavolozza, colori in mano alle istituzioni e ai curatori. Ingredienti per una “peep hole sheet torta” che viene preparata e cucinata dai tre curatori. In questo non c’è niente di male, ma bisognerà esserne consapevoli. I tre curatori stanno evolvendo il linguaggio dell’arte. Hanno una funzione indefinita che è comunque “artistica” nel senso diffuso del termine. Peep hole sheet mi sembra quasi la versione ” dentro al sistema” di Whitehouse. Poi è chiaro che si cercano alleanze oltre confine e artisti di chiara fama per legittimare subito bene il progetto. Ripeto l’operazione mi sembra utile, ma bisogna essere consapevoli su quale sia il vero centro del progetto. Luca Frei (come esempio dell’artista inteso in termini tradizionali) è una sfumatura di un’opera più grande che non appartiene più a Luca Frei. Bisogna ragionare su questo punto.
zitto santissimo, luca rossi non si tocca