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19
febbraio 2008
fotografia_opinioni Marche ingrate
Fotografia e cinema
Mario Giacomelli amava profondamente la sua terra. E l’aveva continuamente ritratta, in ogni sfaccettatura, dal volto della madre al lavoro nei campi. Un amore ricambiato? Nient’affatto. Una denuncia e una speranza...
di redazione
“Le mie foto sono nate tutte qui” era solito ripetere Mario Giacomelli (Senigallia, 1925-2000) se chiamato a raccontarsi e a raccontare la propria opera. “Sono nate tutte qui”, nelle Marche, che è quasi come dire: le mie fotografie sono il frutto della suggestione provata per una terra, un umore, un corpo sociale preciso e riconoscibile.
Se le si guarda, se si ha la pazienza di scorrere tutte le serie fotografiche in una sua qualsiasi monografia che le raccolga, sarà facile confermare quanto dichiarato dall’autore stesso. Le Marche sono visibili nel volto riconoscibile della propria madre ritratta in uno dei suoi primi, fortunati scatti. Sono nelle storie di terra da lui reiterate in serie narrative ossessive –Metamorfosi della terra, Il mare dei miei racconti e Presa di coscienza sulla natura, quest’ultima compilata come fosse un testamento autobiografico- così come negli scatti dei contadini al lavoro, seguiti, amati, conquistati di La buona terra e Cantamaggio e Pasquella. Ma, soprattutto, sono nella riflessione lungamente meditata, vissuta, fortemente sentita delle serie scattate prendendo come spunto A Silvia e L’Infinito, momenti altissimi della poesia italiana e dalla produzione poetica di colui che quell’umore di cui si parlava ha sopra tutti definito: Giacomo Leopardi.
A questo punto pare superfluo proseguire in un esercizio che si rivela sin troppo facile. Chiunque abbia presente gli scatti di Giacomelli sa bene ciò che finora si è voluto brevemente riassumere: la sua poesia -pur avendo un valore universale, come ogni grande espressione che possa essere nominata come tale- fonda se stessa soprattutto nella terra e nelle genti marchigiane. Viene da chiedersi invece cosa sia successo a un’eredità tanto fondamentale. Che cosa sia stato fatto nelle Marche per mantenere viva questa eredità. Ma, soprattutto, cosa c’è qui, oggi, a testimoniare l’importanza delle immagini, del sogno, di un fotografo che sta al pari di Henry Cartier-Bresson o Robert Capa?
Le risposte che chiunque potrebbe fornire attraverso una non troppo complessa indagine sono sintetizzabili e riassumibili con altrettanta facilità di come si è fatto in precedenza.
Niente. Non è successo nulla. Non si è fatto nulla. Nemmeno un Premio -istituito a Benevento, sia mai nelle Marche-, nemmeno un Festival, nemmeno -ed è questo a scandalizzare in misura maggiore- un qualche indizio di presenza nelle numerose collezioni pubbliche che si dicono contemporanee. Non c’è infatti traccia di una foto di Giacomelli al Museo di Arte Contemporanea di Recanati, nella Pinacoteca Civica e Galleria d’Arte Contemporanea di Jesi, nelle Pinacoteche di Camerino e Macerata, nella Galleria d’Arte Contemporanea di Ascoli Piceno, nella Galleria d’Arte Moderna di Civitanova Marche e nemmeno nella Pinacoteca di Ancona, tutte istituzioni museali che presentano artisti del XX secolo anche locali ma non, guarda caso, Giacomelli.
È vero, si sta parlando di istituire una Fondazione; ma lo si fa da otto anni. Quando si riuscirà a definire un progetto con un timing serio? E poi, è mai possibile che nelle varie politiche di acquisizione di questi musei -che certo non brillano in disponibilità finanziare ma pare molto meno in gestione culturale- non sia mai rientrato Giacomelli? È mai possibile che un artista così importante, così fondamentale per la storia della fotografia mondiale e così fortemente legato alla propria Regione non debba avere un giusto riconoscimento da parte delle istituzioni del territorio?
C’è un Museo, il Musinf, nella sua città natale, Senigallia, che ne raccoglie le opere assieme a quelle del Gruppo Misa, ma che -bisognerà pure che qualcuno lo dica- le presenta in maniera scandalosa, su pannellature inguardabili e in una modesta selezione e, soprattutto, senza attività collaterali di rilievo che tengano vivo l’interesse sulla fotografia come linguaggio né sulla figura di Giacomelli.
Ciò accade per una direzione oramai decennale che è, a dir poco, non commentabile. Una direzione assunta e condotta da un insegnante di diritto che segue da sempre più la sua passione per i libri d’artista e per la mail art che per la fotografia. Per non parlare dello stato di conservazione delle opere donate. In una scultura di Alfio Castelli, ad esempio, situata all’ingresso del Museo, navigano oramai microrganismi transgenici, e la scultura di Patrizia Molinari ha mutato la propria condizione da opera d’arte a raccoglitore dell’acqua dei panni stesi dalla signora della palazzina di fronte.
Dulcis in fundo, è proprio il caso di intristirci, quando la Regione organizza una grande mostra sui maggiori artisti marchigiani del XX secolo, lo fa escludendo Giacomelli. Fermiamoci però qua. Proseguire potrebbe significare inoltrarci nei territori più puri dell’assurdo. Mario Giacomelli è morto nel 2000. Sono passati otto lunghi anni da allora. Poco, troppo poco, direi niente di veramente importante è stato fatto a sua memoria nelle Marche.
Sono stato spinto a rivolgere particolare attenzione alla mia terra marchigiana da tanta bellezza di forme che essa sprigiona, con forza espressiva ed emotiva, da farti sentire onorato di esserle fratello. Parole d’amore che oggi sembrano davvero non essere ricambiate.
Se le si guarda, se si ha la pazienza di scorrere tutte le serie fotografiche in una sua qualsiasi monografia che le raccolga, sarà facile confermare quanto dichiarato dall’autore stesso. Le Marche sono visibili nel volto riconoscibile della propria madre ritratta in uno dei suoi primi, fortunati scatti. Sono nelle storie di terra da lui reiterate in serie narrative ossessive –Metamorfosi della terra, Il mare dei miei racconti e Presa di coscienza sulla natura, quest’ultima compilata come fosse un testamento autobiografico- così come negli scatti dei contadini al lavoro, seguiti, amati, conquistati di La buona terra e Cantamaggio e Pasquella. Ma, soprattutto, sono nella riflessione lungamente meditata, vissuta, fortemente sentita delle serie scattate prendendo come spunto A Silvia e L’Infinito, momenti altissimi della poesia italiana e dalla produzione poetica di colui che quell’umore di cui si parlava ha sopra tutti definito: Giacomo Leopardi.
A questo punto pare superfluo proseguire in un esercizio che si rivela sin troppo facile. Chiunque abbia presente gli scatti di Giacomelli sa bene ciò che finora si è voluto brevemente riassumere: la sua poesia -pur avendo un valore universale, come ogni grande espressione che possa essere nominata come tale- fonda se stessa soprattutto nella terra e nelle genti marchigiane. Viene da chiedersi invece cosa sia successo a un’eredità tanto fondamentale. Che cosa sia stato fatto nelle Marche per mantenere viva questa eredità. Ma, soprattutto, cosa c’è qui, oggi, a testimoniare l’importanza delle immagini, del sogno, di un fotografo che sta al pari di Henry Cartier-Bresson o Robert Capa?
Le risposte che chiunque potrebbe fornire attraverso una non troppo complessa indagine sono sintetizzabili e riassumibili con altrettanta facilità di come si è fatto in precedenza.
Niente. Non è successo nulla. Non si è fatto nulla. Nemmeno un Premio -istituito a Benevento, sia mai nelle Marche-, nemmeno un Festival, nemmeno -ed è questo a scandalizzare in misura maggiore- un qualche indizio di presenza nelle numerose collezioni pubbliche che si dicono contemporanee. Non c’è infatti traccia di una foto di Giacomelli al Museo di Arte Contemporanea di Recanati, nella Pinacoteca Civica e Galleria d’Arte Contemporanea di Jesi, nelle Pinacoteche di Camerino e Macerata, nella Galleria d’Arte Contemporanea di Ascoli Piceno, nella Galleria d’Arte Moderna di Civitanova Marche e nemmeno nella Pinacoteca di Ancona, tutte istituzioni museali che presentano artisti del XX secolo anche locali ma non, guarda caso, Giacomelli.
È vero, si sta parlando di istituire una Fondazione; ma lo si fa da otto anni. Quando si riuscirà a definire un progetto con un timing serio? E poi, è mai possibile che nelle varie politiche di acquisizione di questi musei -che certo non brillano in disponibilità finanziare ma pare molto meno in gestione culturale- non sia mai rientrato Giacomelli? È mai possibile che un artista così importante, così fondamentale per la storia della fotografia mondiale e così fortemente legato alla propria Regione non debba avere un giusto riconoscimento da parte delle istituzioni del territorio?
C’è un Museo, il Musinf, nella sua città natale, Senigallia, che ne raccoglie le opere assieme a quelle del Gruppo Misa, ma che -bisognerà pure che qualcuno lo dica- le presenta in maniera scandalosa, su pannellature inguardabili e in una modesta selezione e, soprattutto, senza attività collaterali di rilievo che tengano vivo l’interesse sulla fotografia come linguaggio né sulla figura di Giacomelli.
Ciò accade per una direzione oramai decennale che è, a dir poco, non commentabile. Una direzione assunta e condotta da un insegnante di diritto che segue da sempre più la sua passione per i libri d’artista e per la mail art che per la fotografia. Per non parlare dello stato di conservazione delle opere donate. In una scultura di Alfio Castelli, ad esempio, situata all’ingresso del Museo, navigano oramai microrganismi transgenici, e la scultura di Patrizia Molinari ha mutato la propria condizione da opera d’arte a raccoglitore dell’acqua dei panni stesi dalla signora della palazzina di fronte.
Dulcis in fundo, è proprio il caso di intristirci, quando la Regione organizza una grande mostra sui maggiori artisti marchigiani del XX secolo, lo fa escludendo Giacomelli. Fermiamoci però qua. Proseguire potrebbe significare inoltrarci nei territori più puri dell’assurdo. Mario Giacomelli è morto nel 2000. Sono passati otto lunghi anni da allora. Poco, troppo poco, direi niente di veramente importante è stato fatto a sua memoria nelle Marche.
Sono stato spinto a rivolgere particolare attenzione alla mia terra marchigiana da tanta bellezza di forme che essa sprigiona, con forza espressiva ed emotiva, da farti sentire onorato di esserle fratello. Parole d’amore che oggi sembrano davvero non essere ricambiate.
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Giacomelli da Valentina Moncada a Roma
Redazione Exibart
*Le citazioni di Giacomelli sono tratte da Germano Celant, “Mario Giacomelli”, Photology-Logos, Milano 2001
[exibart]
Riferendomi all’ articolo ” marche ingrate “.
Trovo così banalmente prosaico addossare colpe e mancanze,in italia e in questo caso alla provincia marchigiana
, a enti e pinacoteche varie.
Quando se fosse realmente interessato il sign. Tinti potrebbe curare una mostra di Giacomelli a Senigallia, collaborando già con il comune.
Oltretutto é marchigiano, credo sia consapevole del campanillismo e della chiusura esistente tra provincie.
organizzi la mostra, senza dare colpe a addetti vari e a funzionari, troppo facile creare polemica!
Si dia da fare, organizzi una mostra o una collezione permanente di Giacomelli!
Questo é il vero smacco, troppo facile lamentarsi e dare colpa al prossimo.
CAMILLA BOEMIO curatrice. critica d’ arte contemporanea
italo.inglese
Cara Camilla,
innanzi tutto non credo sia cosa facile assumersi la responsabilità di una denuncia, tanto più se si opera nello stesso territorio oggetto della denuncia stessa.
Inoltre mostri di essere male informata Camilla – forse in quanto curatrice italo-inglese e (poco addentro?) alle esperienze della nostra Provincia -, visto che il sottoscritto non collabora affatto con il Comune di Senigallia né con alcuna istituzione della Regione Marche.
Devo poi porre alla tua attenzione ciò che è ovvio e che risulta conseguente rispetto quanto detto qui sopra:
io non ho il potere e non sono assolutamente nelle condizioni – come lo sono invece le Istituzioni e le personalità che queste dirigono – di “organizzare” come dici una collezione permanente o una fondazione Mario Giacomelli.
Il mio auspicio in questa sede è di leggere e discutere di interventi più seri.
grazie gabriele per le preziose parole che hai voluto dedicare a Giacomelli, al suo straordinario lavoro e soprattutto grazie per aver rivolto una nota di rimprovero a quanti dovrebbero occupare in maniera più seria il ruolo che rivestono o, in alternativa, lasciare tali competenze a chi ha ancora la capacità di raccontare qualcosa.
Questa denuncia, la tua denuncia, Gabriele, è vecchia di anni. Il problema cade sempre in secondo piano, mascherato dalle attività di un impianto burocratico implosivo, che esiste solo per reggere se stesso e che, in vero, nulla fa per la cultura. Un patrimonio sciupato da un atteggiamento grave, reso possibile dal qualunquismo di un’opinione pubblica assente.
Puntualizzo, con punta d’amarezza tutta la veridicità dell’articolo.
Trovo assurdo personalmente, non omaggiare chi ha solcato in maniera indissolubile la scena artisticafotografica italiana.
Mi auguro semplicemente che qualcuno di importante, leggendo l’articolo, possa essere stimolato ad una buona iniziativa di ricordo e promozione di questo grande artista, e poi, spero che qualche addetto alla sezione cultura della regione suddetta, riesca ad essere toccato come me, dalla bravura e dalla potenza espressiva delle foto di Giacomelli.
Sarei curioso di sapere, in oltre, che risposta potrei ricevere, se proponessi alla regione Marche, una scelta tra due retrospettive da promuovere con il suo patrocinio… Cartier-Bresson o Giacomelli?
Io, credo di conoscerla…
articolo molto bello e circostanziato… da parte mia mi rendo disponibile a sensibilizzare la questione con gli enti presenti sul territorio
mi dispiace dirlo…sono marchigiana e non posso che essere daccordo sul fatto che sia una cosa scandalosa!!ma non mi stupisce…in questa regione c’è un’iniziativa privata che non trova appoggio e spazio da parte delle istituzioni. Un paese come Recanati che dovrebbe “vivere” di cultura in realtà è un paese dove della cultura non c’è più nemmeno l’aria..
Il problema del nostro paese è che non riesce ad accantonare la retorica dell’idealismo
delle arti. La fotografia resta sempre una forma di espressione “artigianale”, non elevabile ad “arte”, nonostante ci siano operatori che vengono accolti al Moma.
Questo atteggiamento è molto diffuso nella “provincia” italiana, nell’accademismo di ambienti culturali significativi, nelle istituzioni, e ci costringe ad essere sempre
la “periferia” della cultura europea.
Antonio Tateo
Sono d’accordo sul fatto che i lavori per la Fondazione Giacomelli stiano andando a rilento, cosi’ come è scandaloso il modo in cui è gestito il Musinf, il deposito in particolare è pieno di fotografie che andrebbero realmente catalogate e a rotazione esposte; Il problema in questo caso pero’ non rigurda il museo in se, ma il Comune di Senigallia, anzichè presentare un progetto smembrando la collezione del Gruppo Misa e facendo una fondazione soltanto in onore di Mario Giacomelli, se pur doverosa, dovrebbe pensare a rinnovare tutta l’immagine del Musinf: dalla sede non adeguata agli standard museali, alla direzione passando per un servizio di bookshop, audioguide, insomma dotandosi di tutto i servizi aggiungitivi della nota Legge Ronchey del 1993. Ma come si fa a far capire che la città di Senigallia anzichè spendere soldi soltanto per il Summer Jamboree dovrebbe pensare prima a questo museo che ha un’ottima collezione ma lasciata lentamente morire?
Cara Camilla,
noi marchigiani che viviamo ancora tra le colline di Giacomelli sappiamo benissimo che il Prof.Tinti non ha assolutamente utilizzato l’articolo per fare pura lamentela..da noi le Istituzione arrivano al nocciolo delle questioni sempre con una quindicina di anni di ritardo…quando va bene!e se proponi molte volte vieni tagliato fuori!..Io credo che per organizzare una dignitosa mostra in onore del grande Giacomelli non ci si possa improvvisare come dice lei, credo sia peggio del non fare nulla!!comunque se non è ancora convinta che qui le cose vanno così la invito volentieri a passare del tempo insieme a noi e a verificare tutto quello che lei pensa essere solo frutto di fantasia di Tinti.
La situazione nelle marche é : disastrosa , ancestrale e disarticolata .
Esistono interessanti realtà ma coloro che semi emergono fanno terra bruciata a tutti gli altri .
Non é fanta realtà .
Conbosco degli amici , che lavorano in altre regioni , che volevano portare ARAKi per una mostra inedita e ad Ancona sono stati zititti .
Cosa scrive Tinti che fa parte della cricca che non ha potere !
Forse chi lo sostiene non ha tanto potere ?
Al meno Ginesi é simpatico .
tinti deve tutto al suo maestro .
Oltre ad essere un pessimo curatore e “critico” e un borghesotto protetto in quel desolato di Ancona da amici del nonno (che fu un democristiano) .
Non ha nessuna reale relazione con l’ arte .
Le marche sono sopratutto tanta tanta non professionalità e nessuna gioia di vivere .
Le marche sono una pattumiera .
Cultura ?
Quale quella degli assesorurcoli che predilicono i cani del potere che organizzano mostre di “artistiù” locali inguardabili .
Tinti ?
Perché non va ad insegnare alle medie invece di occuparsi di mostre orribili .
perchè ripescare la notizia dopo tanto tempo
Non c’é mai fine al trash in una regione così periferica nella quale individui raccomandati hanno il campo libero .
Capra capra tinti capra
Gli ultimi commenti trasudano tristezza, piaggiera e testimoniano che quando si toccano i poteri – quelli veri, in questo caso quello della Parlamentare romana che è dietro il fantomatico Direttore del Museo dell’Informazione – ci si deve aspettare di tutto!! Tinti è l’unico professionista ancora attivo nelle Marche finché non deciderà anche lui – come Enrico David, Enzo Cucchi e tanti altri artisti/scrittori e critici – di non fare più nulla in questa Regione….