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fototalking intervista ad Augusto Pieroni
Fotografia e cinema
Critico, curatore, docente universitario di Storia della fotografia, alla Sapienza di Roma, e autore di saggi come il fortunato Fototensioni. Exibart incontra Augusto Pieroni. Tema: la fotografia contemporanea…
Tra le sue occupazioni c’è l’insegnamento universitario, poche sono però le realtà italiane che affrontano l’argomento fotografia in maniera seria, fuori dagli stereotipi obsoleti dei circoli fotoamatoriali, è sufficiente secondo lei per far avanzare la cultura fotografica nel nostro paese?
Certo che no. Io due anni fa ho aperto un ciclo di insegnamento che, sembra assurdo per un ateneo come La Sapienza, ma non era stato previsto fino ad allora. Certo che dal 1839 al 2000 ce n’è stato di tempo. Mi domando però se sia l’insegnamento ad aver fatto avanzare la cultura artistica italiana negli ultimi dieci anni, posto che sia avanzata. No di certo. Può più una legge Ronchey di mille facoltà: apri un bar fico dentro il museo dell’immondizia e la tua arte sarà popolare. Inutile il sessantottismo di portare l’arte concettuale nei bar: continuano a scambiarla per arredamento. E lei che pensava di poter continuare a fingeredi essere arredamento. Resta valido che “il significato è l’uso”. Per la fotografia come techne non saprei, ma in fondo non so cosa la diffonda più e meglio dei famigerati circoli amatoriali. Quando la vediamo come ricerca e quindi anche come parte dell’arte, il discorso torna quello di prima. In verità l’editoria ha in questi settori un peso a tutt’oggi notevolissimo. La quantità di materiale assunto per via foto-video-infografica dalla gente deve essere ragguardevole prima che una cultura fotografica possa essere tale e non il mascheramento di peregrinazioni mercantili o di annoiati rilanci modaioli: come che sia, elitari e imperscrutabili.
Esistono differenze rilevanti tra l’immagine chimico-analogica e quella matematico-digitale o è l’automazione del prelievo e quindi la sua semplicità operativa, seppur a volte scomodamente calata nella realtà, ciò che contraddistingue una fotografia?
E’ duro fornire una definizione di fotografia che ricomprenda dagherrotipi e stampe plotter, no? Jeff Wall ha provato a imperniare la definizione sul binomio lente-otturatore prediligendo questo a quella che in fondo non è essenziale. La definizione di photographic image nella tradizione anglosassone estende infatti il proprio ombrello alle più diverse tecniche di ripresa: tv, video, cinema, infografia etc. E però ancora qualcosa non va. Io avevo provato a giocare con le generalizzazioni dicendo che si poteva definire fotografia ogni amministrazione di flussi fotonici – quali che ne siano le sorgenti – attraverso dispositivi meccanici e/o organici di modulazione, memorizzazione e presentazione in forma. E questa definizione temporaneamente definitiva include un corollario: è da considerare oggetto d’analisi la presentazione finale e non le fasi intermedie. Detto altrimenti: l’opera è la stampa finale, non il negativo o il file. Ma ci sono ogni giorno nuovi ibridi che bussano alla porta.
Si è spesso rivelato un ottimo “talent scout”, ci nomini qualche giovane e interessante autore.
L’ultima mostra personale che ho curato, nella strana e interessante realtà pugliese, ha rivelato un giovane fotografo e videomaker leccese di cui, credo, sentiremo presto parlare assai bene. Carlo Michele Schirinzi (foto in questa intervista) ha una rara intelligenza artistica perché non solo sa fare – che non guasta, ma è il meno – ma è capace di vedersi pensare. Ha ironia, autoironia anche, cultura vasta e non solo settoriale o pratico-operativa. Tiene a bada il difficile confine tra eccesso e cattivo gusto. Riesce a tenere le redini del Perché del proprio agire – che è autentica concettualità – invece di effondersi teatralmente in opere e operazioni da rampante, baracconi di concettualismo riciclato ai limiti del preterintenzionale. E pensare che non volevo rispondere: quasi quasi gliela telefono anche a Schirinzi, ‘sta risposta. Sa come sono, gli artisti…
Quale iter dovrebbe privilegiare un autore sconosciuto per ottenere una qualche visibilità, gallerie, critici, concorsi… ?
L’arte non è né un mistero né un ministero. Nessuno ignora chi e cosa gira intorno all’arte e però nessuno può dire con certezza quali moduli compilare per finirne al centro. Nemmeno la presenza fisica è una vera ricetta. La costanza invece sta nel lavoro sopratutto e poi anche nei contatti. La capacità di non saltare come Tarzan di liana in liana con le persone utili: l’intuito nel seguire per un po’ qualcuno che ti sembra dotato di “qualcosa” e non solo perché ha l’agenda piena di indirizzi – magari ce li ha pure – ma perché ha una sua visione, e questo aiuta la tua arte. Non servono solo procacciatori e agenti, ma interlocutori coi quali confrontarti. Perché quando la tua invenzione è sterile, senza nerbo, è come viaggiassi con la marcia in folle: hai preso l’abbrivio ma non sai dove ti fermerai, solo è sicuro che ti fermerai, e presto. Una cultura fotografica comincia anche quando gli artisti smettono di fare le pop stars e cominciano a curare la qualità del loro pensiero e della loro azione: in una parola, la necessità della loro visione entro il contesto in cui tutti viviamo e non solo nel mondo in cui vive chi paga.
Sta preparando una nuova pubblicazione o organizzando qualche prossimo evento?
Lavoro ad un testo di guida alla lettura dell’immagine fotografica per le edizioni EdUP di Roma. Il testo, come sempre, sarà agile e illustrato mirando ad un pubblico non esperto: un po’ come ho fatto col fortunato Fototensioni, ma senza il suo stile radiofonico e la sua enfasi critico-militante. Sarà basato sull’armamentario mentale come il recente fotografia<arte<PENSIERO, ma senza il suo accademismo e la sua concettuosità. E sarà più interattivo di entrambi. Suona bene, no?
Quale futuro per la fotografia?
Vorrei rispondere alla Philip Dick: il migliore dei futuri possibili. In realtà penso proprio che da questo secolo in poi non ci si potrà proprio più scordare di lei, viste le infinite facce che può avere. Ritengo comunque che abbia consolidato la propria posizione strategica: ora ha – lo vedono tutti – una storia, antenati, eroi eponimi, branche settoriali, partiti stilistici, fazioni tecniche. E socialmente pesa, pesa molto; può creare pressioni altissime: vedi casi opposti come Letizia Battaglia o Jo Spence, Salgado o Toscani. Poi, quanto alla fotografia come disciplina di studio, il futuro spero di essere io (scherzo…).
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roberto maggiori
ph. courtesy paolo erbetta arte contemporanea, foggia
[exibart]