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fototalking Intervista a Mauro Galligani
Fotografia e cinema
Fotoreporter di fama internazionale, picture editor prima di Epoca e poi di Panorama. Abbiamo incontrato Mauro Galligani. Per parlare del fotogiornalismo di oggi, delle sue novità, delle sue manipolazioni e della ‘concorrenza’ della tv...
Vista la consapevolezza sempre crescente delle infinite possibilità manipolative della realtà mediale, quale pensi sia il grado di credibilità della fotografia giornalistica oggi?
Dipende dalla serietà della fonte da cui proviene l’immagine e dal giornale che la diffonde. La scarsa professionalità e la mancanza di serietà sono purtroppo perlopiù una peculiarità della scena italiana, certamente un giornale come il Times non manipolerà mai un’immagine, può solo rimetterci.
L’utilizzo dei nuovi corredi digitali ha cambiato qualcosa, o sono ancora usati marginalmente?
A livello professionale sono ormai quasi indispensabili e quindi vengono usati molto, anche se ultimamente c’è un ridimensionamento, dopo l’entusiasmo iniziale. Certo, consentono una comoda e veloce spedizione del materiale, ma a livello qualitativo non raggiungono ancora la vecchia pellicola. Io, personalmente uso molto marginalmente la fotografia digitale, di fatto giro ancora con il mio corredo analogico.
Come si rapporta il fotogiornalismo con la spettacolarità necessaria per essere concorrenziale alla TV?
Non si relaziona, una foto è un momento di riflessione ed ha quindi un tipo d’approccio differente dal modello d’immagine “usa e getta” della televisione. Una foto potenzialmente si può vedere a lungo e più volte, la TV è un’altra cosa. Lo dimostra il fatto che mentre puoi citarmi numerosi bravi fotografi, difficilmente ricorderai il nome di qualche cameraman, anche se bravo.
Insieme a Lotti, Mori, Leto, Del Grande, Bonatti e De Biasi, hai fatto parte del mitico staff di Epoca, l’elite del fotogiornalismo italiano. Cosa è rimasto del lavoro di quelli che Carlo Verdelli ha scherzosamente soprannominato “quelle impareggiabili teste di cazzo”; vedi degli eredi a cui passare la staffetta?
Innanzitutto non penso che Verdelli scherzasse quando ci apostrofava, comunque rispondo alla tua domanda dicendoti subito che quella di Epoca è stata un’esperienza che rimarrà unica e ovviamente non lo dico perché ne ho partecipato, ma semplicemente perché non ci sono più i presupposti perché ciò si ripeta. Non ci sono più gli investimenti per un’informazione di qualità da parte delle testate e probabilmente non c’è più la professionalità di un Lotti o un De Biasi che a ottant’anni fotografa ancora meglio di tanti fotoreporter in erba. Ricordo poi che non scendevamo mai a compromessi per fare il nostro lavoro, per esempio: se la luce buona c’era alle quattro di mattina non si andava a dormire e se per occupare il posto giusto bisognava andare 12 ore prima e aspettare, così si faceva. Oggi vedo un maggior pressappochismo. In ambito internazionale è diverso, ci sono talenti straordinari che ai nostri fotoreporter appariranno come marziani. Comunque apprezzo anche il lavoro di qualche fotografo nostrano, Alex Majoli per esempio.
Quali sono oggi le concrete possibilità lavorative per un aspirante fotoreporter?
Nessuna, a meno che uno non abbia ingenti risorse economiche non può permettersi di affrontare le spese relative agli spostamenti e all’alloggio strategico e come ti ho già detto le testate non finanziano più il reportage, se hai qualche conoscenza ovviamente il discorso può cambiare…
Al di fuori della fotografia di reportage c’è qualche autore che ti piace?
Certo, uno di questi è Giuseppe Pino, un bravo ritrattista. Negli Stati Uniti è molto apprezzato, qui in Italia non lo conosce quasi nessuno, come vedi la fotografia nel nostro paese non è il miglior modo per sbarcare il lunario…
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http://digilander.libero.it/cfp/Mauro_Galligani.html
roberto maggiori
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