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21
gennaio 2009
fino al 22.II.2009 William Turner Ferrara, Palazzo dei Diamanti
bologna
Viaggio nel Belpaese. Con William Turner, il più grande paesaggista di tutti i tempi, a far da guida. Quadri sublimi, che risentono delle suggestioni antiche, di Ovidio e Virgilio, e contemplano fasti perduti. Raccolti in una mostra impeccabile ma fredda. E l’emozione?...
Le sontuose e terribili rovine di Roma, i sinuosi e arcadici paesaggi della campagna italiana. Ma anche la luce tenue e vibrante della laguna di Venezia, colta nei suoi scorci più intimi e raccolti. Questi gli highlights della mostra Turner e l’Italia, che espone un’ampia selezione di oli, acquerelli, tele, disegni e incisioni del grande pittore inglese che rivoluzionò l’arte di ritrarre il paesaggio, superando i limiti della raffigurazione prospettica e restituendo gli aspetti più segreti dello spettacolo della natura.
A curare l’evento James Hamilton, tra i maggiori esperti di William Turner (Londra, 1775 – Chelsea, 1851) e autore di una rivoluzionaria biografia (Turner: A Life, 1997), che ha contribuito a sfatare miti e leggende negative sull’uomo – tra cui quella, dura a morire, del suo egoismo e della sua misantropia -, ricollocando nel contempo l’artista tra i grandi di ogni tempo.
La rassegna a Palazzo Diamanti promette sulla carta, sin dal titolo, un viaggio a ritroso nelle suggestioni di un’Italia che già da secoli non c’era più, filtrata dagli occhi di un inglese – di un nordico – ammaliato dal sole mediterraneo, dalla letteratura classica e dalle atmosfere arcadiche narrate nelle Bucoliche di Virgilio. Da Domodossola a Rimini, da Torino a Napoli, da Venezia a Roma, da Ancona a Paestum, Turner visitò la Penisola in lungo e in largo.
Qui e là, come nella Scena di montagna in Val d’Aosta, la tela immortala la natura arcigna, gli horridi montes amati-odiati dai romantici, in quanto riflesso della loro anima tormentata. Ma nel suo immaginario prevale (si vedano Roma vista dal Vaticano, 1820; Palestrina e La visione di Medea, 1828) l’idea di un’Italia pallida e assorta, cadente e riflessa sui suoi antichi fasti perduti, languida e malinconica, come una signora sfiorita che ripensa alla gioventù ormai lontana. E sono i colori di Tiziano e Veronese, uniti alle grandiosità sceniche di Salvator Rosa e agli equilibri formali di Poussin, a saltare all’occhio in questi paesaggi, luoghi eletti e oasi dove nutrire e rinfrancare lo spirito, forse non troppo guerriero, che dentro gli ruggiva.
Ma occorre dirlo. Non scopriamo niente di nuovo nell’esposizione ferrarese. Per chi conosce Turner, visitarla non è l’occasione per vedere qualcosa di più, semmai per vedere qualcosa tutto insieme: molti quadri e soprattutto incisioni, la cifra del business che il pittore seppe mettere in piedi, sfruttando la bramosia dei suoi conterranei di possedere immagini del Belpaese con il sogno di poterci un giorno andare di persona.
E se le luci morbide e soffuse dell’allestimento ben si addicono alla vibrante, a tratti liquida e nel corso degli anni sempre più rarefatta pittura turneriana, l’impressione di fondo è che nella mostra – impeccabile, ma fredda – manchi tutto sommato qualcosa. Forse proprio la capacità di emozionare.
A curare l’evento James Hamilton, tra i maggiori esperti di William Turner (Londra, 1775 – Chelsea, 1851) e autore di una rivoluzionaria biografia (Turner: A Life, 1997), che ha contribuito a sfatare miti e leggende negative sull’uomo – tra cui quella, dura a morire, del suo egoismo e della sua misantropia -, ricollocando nel contempo l’artista tra i grandi di ogni tempo.
La rassegna a Palazzo Diamanti promette sulla carta, sin dal titolo, un viaggio a ritroso nelle suggestioni di un’Italia che già da secoli non c’era più, filtrata dagli occhi di un inglese – di un nordico – ammaliato dal sole mediterraneo, dalla letteratura classica e dalle atmosfere arcadiche narrate nelle Bucoliche di Virgilio. Da Domodossola a Rimini, da Torino a Napoli, da Venezia a Roma, da Ancona a Paestum, Turner visitò la Penisola in lungo e in largo.
Qui e là, come nella Scena di montagna in Val d’Aosta, la tela immortala la natura arcigna, gli horridi montes amati-odiati dai romantici, in quanto riflesso della loro anima tormentata. Ma nel suo immaginario prevale (si vedano Roma vista dal Vaticano, 1820; Palestrina e La visione di Medea, 1828) l’idea di un’Italia pallida e assorta, cadente e riflessa sui suoi antichi fasti perduti, languida e malinconica, come una signora sfiorita che ripensa alla gioventù ormai lontana. E sono i colori di Tiziano e Veronese, uniti alle grandiosità sceniche di Salvator Rosa e agli equilibri formali di Poussin, a saltare all’occhio in questi paesaggi, luoghi eletti e oasi dove nutrire e rinfrancare lo spirito, forse non troppo guerriero, che dentro gli ruggiva.
Ma occorre dirlo. Non scopriamo niente di nuovo nell’esposizione ferrarese. Per chi conosce Turner, visitarla non è l’occasione per vedere qualcosa di più, semmai per vedere qualcosa tutto insieme: molti quadri e soprattutto incisioni, la cifra del business che il pittore seppe mettere in piedi, sfruttando la bramosia dei suoi conterranei di possedere immagini del Belpaese con il sogno di poterci un giorno andare di persona.
E se le luci morbide e soffuse dell’allestimento ben si addicono alla vibrante, a tratti liquida e nel corso degli anni sempre più rarefatta pittura turneriana, l’impressione di fondo è che nella mostra – impeccabile, ma fredda – manchi tutto sommato qualcosa. Forse proprio la capacità di emozionare.
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dal 15 novembre 2008 al 22 febbraio 2009
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a cura di James Hamilton
Palazzo dei Diamanti
Corso Ercole I d’Este, 21 – 44100 Ferrara
Orario: tutti i giorni ore 9-19
Ingresso: intero € 10; ridotto € 8
Catalogo Ferrara Arte
Info: tel. +39 0532209988; fax +39 0532203064; diamanti@comune.fe.it; www.palazzodiamanti.it
[exibart]
Sono abbastanza d’accordo. Aggiungerei però che turner è artista piuttosto sopravvalutato fino agli anni ’20. In mostra si vede bene come poi invece, dagli anni ’30, si lascia alle spalle il gravame accademico e lo scavalca decisamente. E’ lì che si vede il meglio. La mostra si gioca tutta in due sale e mezza, alla fine. 5 quadri valgono il prezzo del biglietto. Turner è pittore che, rispetto all’arte internazionale, parte in ritardo e arriva in anticipo. Forse in questo sta la sua vera grandezza.