19 dicembre 2005

Best of New York

 
Fine dell’anno, è tempo di bilanci. Irresistibile, (in)utile e divertente, il gioco delle classifiche torna puntuale a scovare i migliori e i peggiori. Non è esente il mondo dell’arte. Dopo le 100 potenze di ArtReview, il New York Magazine racconta la Grande Mela che conta, sciorinando i The Best del 2005. Ecco, nero su bianco, tutti i giudizi...

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E dopo le power list di Art Review –con la top 100 dei personaggi più influenti dell’art system internazionale e quella degli artisti emergenti- ecco un’altra guida al “meglio dell’arte”, proposta stavolta dal New York Magazine. Passiamo dunque da Londra a New York, per tornare poi a Londra tra qualche giorno, quando parleremo della artist – parade sempre di Art Review.
Un’area di osservazione peculiare (la babelica Nyc con la sua valanga di artisti, galleristi, collezionisti, mostre, musei, curatori), per un bilancio strategico che svela vizi e virtù, onori e clamori di uno dei più grandi art-headquarter del mondo. Quindici categorie, per una sfilza di primi posti assegnati qua e là da un punto all’altro della città. Si comincia con i Migliori artisti, quelli con la A maiuscola, esponenti della vecchia guardia americana che continuano a seminare successi. Sono il fotografo Lee Friedlander, classe ’34, che il MoMA omaggia con una grande retrospettiva: quasi 50 anni di scatti restituiscono un indimenticabile ritratto del XX secolo in America. Poi altre due grandi personali, entrambe dedicata alla pittura: Elizabeth Murray, classe ’40, anche lei ospite del MoMA, e Jane Freilicher, ultraottantenne, celebrata alla galleria Tibor de Nagy.
Per la categoria Miglior mostra in museo, ex aequo per tre mostre con diversissimi approcci: l’eleganza medidativa delle fotografie di Hiroshi Sugimoto (con History of History alla Japan Society); un salto nella storia con i disegni di Van Gogh e la pittura di Fra’ Angelico al Metropolitan; e infine una selezione dei più interessanti giovani artisti newyorkesi, con i loro guizzi irriverenti proposti dal P.S. 1 (Greater New York 2005).
Phoebe Washburn, Somebody
E a proposito di nuovi talenti, non poteva mancare la categoria Migliore artista emergente, che premia la ricerca digitale di Cory Arcangel (con una personale alla Team Gallery ed una mostra –curiosamente non menzionata- da Jeffrey Deitch a febbraio), il nichlismo ironico-funereo di Adam McEwen (divertenti i suoi falsi necrologi di celebrità vive e vegete, da Bill Clinton a Jeff Koons a Nicole Kidman, esposti da Nicole Klagsbrun), e le fantastiche, provocatorie architetture di Phoebe Washburn, assemblaggi caotici e precari fatti con materiale di riciclo.
Tre i Miglior opera: 40-Part Motet, installazione sonora di Janet Cardiff, tra le ultime acquisizioni del MoMA (in mostra fino a giugno 2006 per Take Two. Worlds and Views: Contemporary Art from the Collection); l’installazione di Rudolf Stingel da Paula Cooper (un ritratto della gallerista piazzato in galleria come una reliquia in una asettica chiesa futuristica); e il video Zarin della sempre straordinaria Shirin Neshat, esposto da Barbara Gladstone: un lavoro impegnato e lirico che racconta la storia di una prostituta precipitata lentamente nel baratro della follia.
La Miglior arte apocalittica –si sono sbizzarriti con le categorie…- è quella di Takashi Murakami, ospite d’onore della Japan Society, ma in veste di curatore. Suo è il progetto di arte pubblica Little Boy – The Art of Japan’s Exploding Subculture, uno spaccato coloratissimo del fenomeno otaku, subcultura giovanile giapponese devota a fiction fantascientifiche, video games, pop-gothic, fantasy, manga e animazione.
E veniamo alle gallerie. Una sezione a sé è riservata alla zona di Chelsea, cuore pulsante e trendy del mercato dell’arte contemporanea newyorkese. La Miglior nuova galleria di Chelsea è Freight & Volume, che esordisce con i video e le tele di Ludwig Schwartz, mentre il big Matthew Marks si aggiudica lo scettro di Miglior megagalleria di Chelsea, sempre più vicina allo status di mini-museo con progetti di alto livello e nomi di prestigio, dall’inquietante Robert Gober al classico e intenso Peter Hujar, fino alla prima presentazione delle nuove pitture di Jasper Johns dopo la grande retrospettiva al MoMA del ’96.
Damien Hirst, Addicted to Crack, Abandoned by Society, 2004-2005 - olio su tela -esposto da Gagosian a marzo 2005 E infine, per chiudere il paragrafo gallerie, Reena Spaulings –tra i protagonisti più attesi della prossima Whitney Biennial- vince il titolo di Miglior nuova galleria non di Chelsea: Reena Spaulings è anche il nome collettivo dietro cui si cela un artista immaginario creato dai tipi della Bernadette Corporation, un gruppo franco-americano di stampo post-situazionista (attivo dal ’94 con produzioni di film, libri, dischi e riviste) di cui fanno parte anche John Kelsey ed Emily Sundblad, co-direttori della galleria Reena Spaulings Fine Art a Lower East Side.
E non potevano mancare le due star Damien Hirst + Larry Gagosian, artista e gallerista, che con la personale dello scorso marzo conquistano la palma per il Migliore (e più ridicolo) opening: vernissage affollato e mondanissimo, con tanto di t-shirt del divo Hirst in vendita, mega-party da Lever House e costi delle opere imbarazzanti (compreso l’artist book, in vendita a soli 250 dollari). La Migliore collettiva? Bridge Freezes Before Road da Barbara Gladstone (estate 2005), a cura di Neville Wakefield; lo Scatto di carriera più sorprendente è quello di Debra Singer, che vola alto e diventa curatore dell’eclettico e sperimentale spazio The Kitchen (specializzato in eventi performativi), arricchendone la proposta con ottimi programmi video, special event e –cosa che non guasta- biglietti piuttosto economici; la più scaltra Acquisizione curatoriale è invece quella del New Museum che –in attesa della nuova sede a Little Italy- si è accaparrato la brava Laura Hoptman (ex assistant curator del MoMA, poi passata al Carnegie Museum).
Adam Cvijanovic,Love Poem-10 Minutes After the End of Gravity, 2005 - settembre 2005 da Bellwether gallery
Quindi, una breve cernita dei Migliori dipinti esposti nel corso dell’anno (e la pittura torna spesso tra gli art affair newyorkesi, nel pieno di un revival che il NY Magazine registra a dovere): il cruento Presentation di Dana Schutz (al MoMA), Untitled (Boxer) dell’ever-green Jean-Michel Basquiat (retrospettiva al Brooklyn Museum), Do the Dance di Elizabeth Murray (ancora Moma), The Secretary of State di Luc Tuymans (da David Zwirner), e l’etereo-surreale Love Poem di Adam Cvijanovic (da Bellwether Gallery).
E ancora, una chicca. Il Miglior titolo di mostra, che è anche il titolo più lungo dell’anno: “I find a Burberry scarf and matching coat with a whale embroidered on it (something a little kid might wear) and it’s covered with what looks like dried chocolate syrup crisscrossed over the front”. Non un delirio megalomane dell’artista David Ratcliff, ma una citazione da American Psycho di Bret Easton Ellis, scelta come frase-simbolo del suo show.
La lunga e minuziosa classifica si conclude con uno sguardo sull’architettura, che elegge i cinque Miglioni nuovi edifici di Nyc. In una metropoli che esplicita tutta la sua potenza anche attraverso straordinarie costruzioni urbane, si distinguono nel 2005: il Nolen Greenhouses for Living Collections presso il New York Botanical Garden (Bronx), di Mitchell-Giurgola: due serre in stile vittoriano versione hi-tech interamente computerizzate; il raffinato West Midtown Ferry Terminal di William Nicholas Bodouva, tutto giocato sulla trasparenza del vetro; la Higgins Hall Center Section del Pratt Institute (Brooklyn), progettata da Steven Holl; la nuova luxury tower di Richard Mayer sulla 165 Charles Street tra il Village e il fiume; e infine –come non premiarlo?- l’incredibile Nomadic Museum di Shigeru Ban (edificato sul Pier 54, un vecchio molo sul fiume Hudson): a volerlo è stato il fotografo globe-trotter Gregory Colbert, che per esporre le sue foto scattate in giro per il mondo si è inventato questo museo nomade -fatto con rotoli di carta riciclata, container merci e centinaia di bustine da tè usate- da smontare e riassemblare città dopo città (da NY, a Los Angeles, da Pechino a Parigi).
Il Nomad Museum, sul Pier 54
Ecco dunque New York, raccontata tutta d’un fiato. Il succo più gustoso di tutto un anno d’arte, almeno secondo il giudizio dei critici del NY Magazine. Per chi si fosse perso qualcosa, un ottimo résumé da spulciarsi punto per punto, preparandosi magari a un imminente soggiorno oltreoceano…

helga marsala

[exibart]

5 Commenti

  1. Brava Helga: leggibile, didattica e umanitaria, con questo biglietto per tutti i (tanti) tapini che la grande mela, al massimo, se la sbucciano in cucina. Grazie!

  2. Il fatto che ci siano categorie come “Miglior arte apocalittica” fa pensare…
    Davvero l’apocalissi è diventata una categoria artistica?
    Di artisti in grado di prevedere l’apocalissi credo ce ne siano ben pochi che possano farlo con… lasciate passare il termine… “cognizione di causa”. Gli altri sono quelli che ribattono la notizia come l’eco, come fa mia nonna dopo aver sentito il tg senza averlo capito. Si sintetizza, si perturba la forma esterna, si estetizza… si plastifica.

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