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Donna-albero, donna-pesce, donna-uccello. Sono solo alcune delle identità e metamorfosi assunte e vissute da Cecilia Paredes (Lima, 1967; vive a Philadelphia e San Jose). L’artista peruviana -attraverso performance, che diventano fotografie, e installazioni- rappresenta il suo mondo interiore sulla base di due grandi temi: la natura e la donna.
Come una strana creatura che fonde in se stessa sacro e profano, spiritualità e materialismo, Paredes reinterpreta la natura nella natura stessa. Grazie a diverse ore di trucco, l’artista si trasforma in una figura mitologica, mezzo animale e mezzo donna, metafora della doppia identità che caratterizza ogni essere umano, costituito da una parte più cerebrale e da una più istintiva, troppo spesso repressa. Ma questa sorta di ambiguità, di passaggio, di fase di mezzo tra due dimensioni contrapposte e, allo stesso tempo, complementari è anche metafora di un desiderio, di un’aspirazione a una libertà assoluta. Rappresentandosi come uccello, Paredes punta a raggiungere uno stato di grazia oppure, come pesce, a riscoprire le origini evolutive dell’uomo.
La natura è vista come estensione del corpo. Per questo l’artista, attraverso le sue opere, cerca di fondersi con essa. E lo fa mimetizzandosi su sfondi fioriti, creando abiti e manti con conchiglie, rovi, piume. Attraverso le sue “reincarnazioni”, lancia però anche un segnale d’allarme, sensibilizzando sul tema dell’ambiente, inteso non solo nei termini dell’inquinamento e del suo essere perennemente a rischio, ma anche dell’allontanamento dell’uomo dal suo habitat originario e del suo rinchiudersi in ambienti artificiali e aridi.
Anche il corpo femminile è, in fondo, come la natura. Anch’esso è stato da sempre abusato, maltrattato, usurpato. Le opere di Peredes, quindi, diventano un modo per l’artista, ma soprattutto per la donna, di riappropriarsi del proprio corpo, di rivendicare la propria indipendenza, di manifestare i propri desideri.
Questa mostra, sapientemente orchestrata, riassume varie tappe della sua opera; crea un percorso misterioso e suggestivo, all’interno del quale risulta difficile non sentirsi totalmente immersi, in una dimensione a metà tra il sogno e la veglia, dove le suggestioni visive e tattili manifestano un Eden dimenticato e familiare.
L’allestimento è intimo e raccolto, silenzioso. A ogni opera viene data la possibilità di respirare. Le fotografie di grande formato e le installazioni sono presentate singolarmente affinché ogni parete e ogni stanza della galleria sia un racconto isolato e, allo stesso tempo, costruisca, tassello dopo tassello, lo straordinario immaginario di questa camaleontica artista.
Come una strana creatura che fonde in se stessa sacro e profano, spiritualità e materialismo, Paredes reinterpreta la natura nella natura stessa. Grazie a diverse ore di trucco, l’artista si trasforma in una figura mitologica, mezzo animale e mezzo donna, metafora della doppia identità che caratterizza ogni essere umano, costituito da una parte più cerebrale e da una più istintiva, troppo spesso repressa. Ma questa sorta di ambiguità, di passaggio, di fase di mezzo tra due dimensioni contrapposte e, allo stesso tempo, complementari è anche metafora di un desiderio, di un’aspirazione a una libertà assoluta. Rappresentandosi come uccello, Paredes punta a raggiungere uno stato di grazia oppure, come pesce, a riscoprire le origini evolutive dell’uomo.
La natura è vista come estensione del corpo. Per questo l’artista, attraverso le sue opere, cerca di fondersi con essa. E lo fa mimetizzandosi su sfondi fioriti, creando abiti e manti con conchiglie, rovi, piume. Attraverso le sue “reincarnazioni”, lancia però anche un segnale d’allarme, sensibilizzando sul tema dell’ambiente, inteso non solo nei termini dell’inquinamento e del suo essere perennemente a rischio, ma anche dell’allontanamento dell’uomo dal suo habitat originario e del suo rinchiudersi in ambienti artificiali e aridi.
Anche il corpo femminile è, in fondo, come la natura. Anch’esso è stato da sempre abusato, maltrattato, usurpato. Le opere di Peredes, quindi, diventano un modo per l’artista, ma soprattutto per la donna, di riappropriarsi del proprio corpo, di rivendicare la propria indipendenza, di manifestare i propri desideri.
Questa mostra, sapientemente orchestrata, riassume varie tappe della sua opera; crea un percorso misterioso e suggestivo, all’interno del quale risulta difficile non sentirsi totalmente immersi, in una dimensione a metà tra il sogno e la veglia, dove le suggestioni visive e tattili manifestano un Eden dimenticato e familiare.
L’allestimento è intimo e raccolto, silenzioso. A ogni opera viene data la possibilità di respirare. Le fotografie di grande formato e le installazioni sono presentate singolarmente affinché ogni parete e ogni stanza della galleria sia un racconto isolato e, allo stesso tempo, costruisca, tassello dopo tassello, lo straordinario immaginario di questa camaleontica artista.
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a cura di Rosetta Gozzini
Galleria Michela Rizzo
Fondamenta della Malvasia Vecchia (San Marco 2597 – Vallaresso) – 30124 Venezia
Orario: da martedì a sabato ore 10-12.30 e 15.30-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0412413006; info@galleriamichelarizzo.net; www.galleriamichelarizzo.net
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